Lavoro Italiano: il mensile della UIL.
Lavoro Italiano
Il mensile della UIL.
MAGGIO 2018

Il nostro lavoro inizia adesso.

La UIL è così'

In questo numero

Il Fatto

Ci interessa!

di Antonio Foccillo


 

Quello che sta avvenendo in questi giorni sembra interessare solo i politologi, invece interessa tutti, perché riguarda il futuro del nostro Paese e il futuro della democrazia italiana. Le lungaggini incorse nell’arrivare, dopo tre mesi, alla formazione di un governo, lo scontro istituzionale con il Presidente della Repubblica, le dichiarazioni di impeachment, il fomentare la piazza e così via stanno alimentando un clima che ci fa vivere non solo il rischio di scontri ma anche di aver toccato il punto più basso del nostro sistema democratico. In un momento come questo è necessario ponderare le parole ma una grande organizzazione che rappresenta milioni di persone, com’è il sindacato, non può escludersi dal rivendicare senso di responsabilità e chiedere con forza di riprendere una dialettica democratica all’interno delle regole che  la Nazione si è data con la Costituzione.

Scrive Luciano Fontana: “Si è avviata una sfida arrogante, senza mezzi termini, volta ad umiliare la più alta figura della Repubblica in nome di un’investitura popolare … che darebbe diritto a tutto, anche a disprezzo istituzionale, anche alla contrapposizione feroce e insensata¹.

Di fronte a questa situazione che rischia di diventare drammatica, bisogna chiedere con decisione a tutte le forze responsabili di smetterla, di tornare a ragionare con la testa e non con gli umori più bassi. Bisogna reagire per ricostruirne l’autorevolezza e la legittimazione della Politica, quella con la P maiuscola, e ricostruire una ripresa dei soggetti tutti della democrazia. Ristabilire le connessioni della società alle istituzioni, in assenza delle quali la convivenza civile viene meno e una comunità politica si sfalda, precipitando nella decivilizzazione. Purtroppo, in questi ultimi vent’anni della vita politica italiana una parte rilevante del ceto politico ha fatto nascere le ragioni dell’antipolitica ed è sotto gli occhi di tutti come la qualità della rappresentanza sia profondamente degradata e come questo processo degenerativo non abbia trovato nelle élites anticorpi adeguati, bensì spesso collusioni interessate. Tutti sintomi che sembrano preparare l’eclissi della democrazia stessa, che ha sviluppato un percorso non verso un vero e profondo cambiamento ma a fuoriuscite dalla crisi con nuove deleghe in bianco alla tecnocrazia o al populismo.

Questo è avvenuto in Italia e oggi ancora di più si sente il disagio verso il sistema rappresentativo, tanto da portare gli elettori a votare forze di opposizione, con la volontà di cambiare profondamente la realtà politica. È proprio in tal senso il presupposto della democrazia liberale moderna, nel fatto che il principio della rappresentanza sembra essere ormai superato, poiché appare più adeguato un sistema di democrazia diretta che le moderne tecnologie elettroniche e i social hanno alimentato e prodotto attraverso nuove forme di partecipazione. I politici e i cittadini, così, si rivolgono alle persone sul web, sostituendo il classico e tradizionale processo di formazione della politica per mezzo del confronto della cittadinanza con quello di pochi individui che decidono per gli altri. L’evoluzione, o meglio l’involuzione, della politica rappresentativa ha avuto inizio dai partiti di massa, che dal sistema di contatto strutturato con la propria base elettorale di cui percepivano velocemente le necessità e, di conseguenza, ne elaboravano soluzioni e strategie politiche, sono passati a cedere progressivamente alle tensioni oligarchiche che si muovevano al loro interno provocando la crisi di questo sistema. Ma la politica nel rinnovarsi (purtroppo non in meglio) ha compiuto il passaggio dalla leadership delle ideologie alla leadership del leader, sempre più mediatizzata e ridotta a slogan. Tant’è che alcuni studiosi come Colin Crouch hanno cominciato a parlare di post-democrazia e di dittatura dei media che avrebbero condizionato sempre più le intenzioni di voto del popolo sovrano, per evidenziare il percorso che avrebbe portato i sistemi democratici lontano dagli obiettivi della democrazia.

È storicamente accertato che le fasi di restaurazione nei periodi di crisi non hanno mai avuto lunga vita, perché la crisi è la prova evidente della fine di un’era. Non è affatto facile confrontarsi sul problema drammatico dell’estinzione del discorso pubblico, soppiantato dalle simulazioni di una politica ridotta a reality, che hanno relegato i cittadini al ruolo passivo di spettatori, cui è consentito – ogni tanto - solo l’applauso o il fischio, il che, nella sostanza, ha fatto regredire la partecipazione a tifo da stadio. In aggiunta, la “deriva leaderistica” ha concorso pesantemente a rafforzare quest’espropriazione del diritto di poter partecipare alle decisioni collettive, autonomamente e criticamente, producendo crescenti fenomeni di rigetto nei confronti di “questa” politica, misurabile nell’aumento esponenziale del non-voto, o di movimenti anticasta la cui identità viene mistificata. Parlandone in termini di “antipolitica”, l’astensionismo viene considerato un banale raffreddamento della passione proprio da parte dei protagonisti della politica-reality, visto che tale fenomeno è la più radicale contestazione dell’esproprio di un bene prezioso quale la democrazia, perpetrato dalla corporazione del Potere.

Per ricostruire un modo di far politica di nuovo democratica e rappresentativa il presupposto è una ricostruzione culturale e sociale della qualità della politica. Noi riteniamo che lo strumento dell’esercizio della democrazia debba essere funzionale al rinnovamento della politica, quindi che la società tutta debba riassumersi – dopo aver esaurito l’orgia distruttiva in atto - il compito di risanare il Paese dal punto di vista etico, reinvestendo se stessa entro il sistema politico e assumendo pienamente le proprie responsabilità pubbliche per divenire protagonista della trasformazione del Paese. La democrazia non sopravvisse alla città antica, potrebbe non sopravvivere alla nazione moderna. Occorre ancorarla a dei valori che la salvino anche nei grandi scenari della deterritorializzazione del potere, delle unioni sopranazionali, delle egemonie transnazionali, insomma di quelle forme inedite che andrà assumendo la globalizzazione e dal populismo imperante. Tuttavia la causa della degenerazione della nostra democrazia non è il sistema elettorale, non sono gli schemi politici ma sono gli uomini e l’attuale classe politica italiana ne è la dimostrazione. Dopo mesi dalle elezioni, dopo aver discusso e concordato un programma, dopo aver individuato un presidente e i ministri è saltato tutto. Non si è voluta cercare una mediazione su un ministro, nonostante il nostro Paese stia vivendo un momento difficile dal punto di vista economico ed avrebbe più che bisogno di un governo.

Invece, si è aperto uno scontro istituzionale che fa ipotizzare momenti molto più gravi se non si mette mano alla deriva. Senonché, proprio quando tutto sembrava paventare un rapido ritorno alle urne, traghettati nel frattempo da un governo, che con tutte le probabilità sarebbe stato anche spoglio di una legittimazione del Parlamento, verso una campagna elettorale da ultima spiaggia, si è trovata la mediazione su un governo politico. Un ritorno al governo c.d. giallo verde che sicuramente va letto come rispettosa e corretta espressione del voto del 4 marzo, ma che soprattutto supera la paventata ipotesi di ritorno al voto immediato e di un ennesimo governo dei tecnici, che probabilmente non ci avrebbero messo al sicuro dalle incombenti priorità che si profilavano da qui alla prossima legge di bilancio. Proprio sull’espressione popolare mi preme fare un doveroso richiamo a quanto sostenuto, in questi giorni, dai giornali tedeschi in termini offensivi nei confronti dell’Italia sia dal Presidente della Commissione Europea, Juncker: “Gli italiani devono lavorare di più, essere meno corrotti e smettere di incolpare l’Ue per tutti i problemi dell’Italia”, che dal Commissario europeo al bilancio, Günther Oettinger: “I mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto”.

Sarebbe necessario che il Paese tutto rispondesse compatto a queste inaccettabili ingerenze, non abbiamo bisogno di ricevere lezioni da nessuno ben che meno, poi, da una sorta di pedagogia dei mercati finanziari. No, non è concepibile. Sì forse di una pedagogia vi è bisogno ma non mi riferisco di certo a una dottrina economico finanziaria immateriale e lontana dai bisogni delle persone. Mi riferisco alla necessità di tornare a far ragionare le persone, ancora di più oggi, all’interno dei partiti o movimenti, facendo appello alla loro responsabilità. Nessuno si può chiamare fuori di fronte alla barbarie, ci vogliono responsabilità e valori verso cui indirizzare la società italiana, la sua democrazia e la società, oltre che la politica. Valori che si devono riscoprire nelle nostre radici democratiche e solidali e non, in quelli che definisco, “disvalori” come il profitto, la competitività e la concorrenza, che non fanno altro che risolversi in una frammentazione delle comunità. Sfasciare ci vuole un attimo, costruire poi ci vogliono decenni.

Purtroppo nel nostro Paese oggi vengono fuori le magagne di un assurdo attacco a tutto quello che aveva garantito democrazia, sviluppo, benessere e partecipazione, sulla base di una demagogia anticasta che poi si è rivelata falsa quando ha puntato i riflettori su coloro che l’avevano alimentata. In questo modo la Politica è uscita perdente, e le strutture di partito si sono sempre più scollate dai loro rappresentati, chiudendo sedi e sostituendo ai confronti gli slogan al punto che i partiti sono quasi del tutto scomparsi e a loro si sono sostituiti i leader. Ai valori delle singole ideologie si sono sostituiti gli interessi di una personalità, al posto di un simbolo quindi un nome e cognome. Ma come fa un partito a portare avanti una battaglia per dei diritti di qual si voglia natura, se basta una semplice sconfitta elettorale a cancellare quello stesso partito? In sostanza siamo rimasti soli e più deboli! Ma se la Politica ha fallito, tanti altri corpi intermedi, tante diverse forme di associazionismo hanno resistito e sono ancora qui. E mi viene da pensare che, se sono ancora qui, forse non hanno tutte le ragioni quelli che tentano di inculcarci i dogmi della velocità delle decisioni, perché proprio quando si sono rinnegati questi metodi e strumenti democratici, che reggevano fin dal primo novecento, si è dichiarata la propria sconfitta. La società che ci stanno imponendo potrà esser pur veloce ma demolisce non costruisce, separa non include, impaurisce non rassicura. L’esserci chiusi in noi stessi ci ha portato ad avere paura di chiunque sia minimamente diverso dal nostro bagaglio di esperienze acquisito e non a vedere più la diversità in un valore di crescita e arricchimento di quel bagaglio che ci portiamo dietro. Sì paura di esser soli, lasciati al proprio destino. Cosa che non appartiene  in alcun modo a tutte quelle strutture associazioniste che fanno del senso di comunione, solidarietà e inclusione nel rispetto dell’altro un loro punto di forza. E quale migliore esempio di resistenza a questi continui attacchi se non il Sindacato Confederale? Abbiamo dimostrato come, a differenza della politica, il sindacato abbia mantenuto alti livelli di rappresentanza e sia rimasto negli immaginari generali un luogo di garanzia dei diritti sul luogo di lavoro e non solo. Questo testimonia che quel modello, forse per alcuni arcaico, che riunisce organismi, che indice assemblee, che chiama a raccolta le persone, che impregna le sue azioni di valori in cui la persona ridiventa centrale. Quel modello laico, tollerante, pluralista e del rispetto di tutti e dei ruoli di tutti funziona ancora e come! Anzi proprio in quei sentimenti di passione, di coesione e solidarietà e in quei momenti di riunione le persone sentono la voglia di riconoscerci per sentirsi parte di un qualcosa di più grande e che si ponga l’orizzonte del benessere comune, da raggiungere insieme.

Il sindacato l’ha fatto in altri momenti difficili della storia di questo Paese, quando ha difeso le fabbriche nel periodo dell’ultima guerra; l’ha fatto quando il dopo guerra bisognava ricostruire; l’ha fatto nel periodo del terrorismo; l’ha fatto per far entrare a pieno titolo il nostro Paese in Europa; l’ha fatto nel periodo della lunga crisi economica. Lo può continuare a fare per ricreare condizioni in cui si potrà di nuovo sperare in un domani migliore e in cui i cittadini, attraverso la partecipazione democratica, si riapproprino della politica.

 

 

¹  Corriere della sera, Luciano Fontana, una sfida irresponsabile di fronte ad un Paese smarrito, 28.5.2018

 

 

Antonio Foccillo

Antonio Foccillo

Segretario confederale UIL

Intervista a Carmelo Barbagallo

Occorrono terapie adeguate per un rilancio strutturale e duraturo del nostro Paese

di Antonio Passaro


 

Segretario, mentre siamo in stampa, arriva la notizia della formazione del nuovo Governo. Nei giorni precedenti la tensione è stata altissima e si è sfiorata una vera e propria crisi istituzionale, oltreché finanziaria con lo spread che ha toccato quota 320. Alla fine, dopo tanto travaglio, il cosiddetto Esecutivo “giallo-verde” o “pentaleghista”, che dir si voglia, ha preso forma. Qual è la tua prima valutazione su questa formazione governativa del tutto inedita nella politica italiana?

Per un Sindacato come noi che guarda solo al merito delle scelte, esprimere una valutazione ora sarebbe incoerente. Dico solo che, finalmente, il Paese ha un Governo politico. Ne avevamo auspicato la formazione sin dal 4 marzo, perché c’è l’urgenza di confrontarsi su temi essenziali per la vita dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani. Incalzeremo con determinazione il nuovo Governo e lo misureremo - lo ripeto - esclusivamente sul merito dei provvedimenti che assumerà. È necessario ridurre le tasse ai lavoratori dipendenti e ai pensionati, proseguire nell’opera di modifica della legge Fornero, prevedere investimenti pubblici e favorire quelli privati per realizzare infrastrutture, accrescere l’occupazione, in particolare quella giovanile e nel Sud. Queste sono le fondamenta su cui basare la ripresa stabile e duratura della nostra economia. La volontà e la capacità di accogliere e di trasformare in provvedimenti concreti queste nostre rivendicazioni saranno, come sempre, il metro con cui giudicheremo anche il nuovo Esecutivo.

 

Meglio un Governo politico piuttosto che un Governo tecnico?

Noi abbiamo sostenuto questa posizione già dai tempi del Governo Monti. Ora, aspettiamo il confronto perché siamo un sindacato moderno, riformista e responsabile. Nella campagna elettorale hanno promesso di tutto e di più, adesso bisogna fare i conti con la realtà. Spero che tutti ritornino con i piedi per terra. Abbiamo letto il contratto di Governo, ora però verificheremo la fase applicativa per capire di cosa stiamo realmente parlando.

 

Del nuovo Governo e dei rapporti che si instaureranno con le parti sociali ne parleremo, più nel dettaglio, a tempo debito. Ora torniamo alla cronaca del mese appena trascorso. Alla fine di maggio c’è stato il tradizionale appuntamento in Banca d’Italia. In estrema sintesi, cosa è emerso dalle Considerazioni del Governatore?

A me sembra evidente che il Paese sia ancora in convalescenza: le Considerazioni del Governatore fotografano questa realtà. Ecco perché occorrono terapie adeguate per un rilancio strutturale e duraturo. Occorre avere più coraggio. Peraltro, se la si rapporta a quella che fanno registrare altri Paesi europei, la crescita del Pil italiano resta insufficiente: non si può ancora parlare di una crescita strutturale. Il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro ha contribuito, in modo sostanziale, alla determinazione di un segno positivo. Fino a quando, però, non ci saranno investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, da un lato, e non si ridurranno le tasse ai lavoratori dipendenti e ai pensionati, da un altro, la nostra economia sarà condannata solo a sopravvivere.

 

Altro appuntamento tradizionale di fine maggio è l’Assemblea di Confindustria. Che te n’è parso della relazione di Boccia?

Ho apprezzato che il Presidente della Confindustria abbia evidenziato, nella sua relazione, la necessità di tagliare il cuneo fiscale ai lavoratori. Il nostro Paese ha i salari e le pensioni più bassi della media europea e il livello della tassazione su lavoratori dipendenti e pensionati più alto: al futuro Governo, l’ho già detto, porremo questa rivendicazione. Ho riscontrato, invece, una certa timidezza sul tema della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro: l’ultimo accordo sul tema con la Confindustria risale al 1995. Va rafforzato, dunque, il capitolo del Patto per la fabbrica relativo a salute e sicurezza, costituendo anche gli organismi paritetici, e parallelamente va strutturato quello sulla crescita della produttività basata sul benessere lavorativo.

 

A proposito di benessere lavorativo, parliamo anche di welfare e genitorialità. Unitamente al Segretario generale della Uila, Stefano Mantegazza, avete consegnato simbolicamente al Presidente della Camera, Roberto Fico, le oltre 140mila firme raccolte a sostegno di due proposte di legge di iniziativa popolare proprio su questi temi…

Ho apprezzato la disponibilità del Presidente della Camera che si è impegnato a calendarizzare le proposte di legge di iniziativa popolare non appena le Commissioni saranno pienamente operative. Aver raccolto un numero così alto di firme per i due disegni di legge rappresenta un risultato importante che premia l’impegno della Uil e della Uila. Avendo consegnato in maniera formale le due proposte aspettiamo ora che si avvii il percorso parlamentare.

 

Quali sono i contenuti delle due proposte?

La prima proposta di legge riguarda la modifica delle norme a sostegno della genitorialità, dell’occupazione femminile e della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per madri e padri. La seconda è relativa alle modifiche alla Naspi e all’estensione dell’APE Sociale alle categorie di lavoratori che ne sono esclusi.

 

Si decide sempre più di smantellare industrie dall’Italia e trasferirle all’estero, oppure cederle. È il caso, ad esempio, di Honeywell e della raffineria di Augusta. Che ne pensi?

Ribadisco la proposta della Uil: bisogna creare regole europee e internazionali per evitare che le multinazionali facciano inaccettabili scelte unilaterali. Se queste imprese decidono di delocalizzare, devono prima restituire tutti i vantaggi economici, fiscali e contributivi di cui hanno beneficiato operando nei nostri territori. Inoltre, la decisione di Esso di procedere alla cessione della raffineria di Augusta, dei depositi di prodotti petroliferi di Augusta, Palermo e Napoli (di proprietà di Esso Italia) per un numero complessivo di oltre 700 lavoratori diretti e oltre 900 dell’indotto alla algerina Sonatrac, è inaccettabile. Occorre una presa di posizione forte e un’assunzione di responsabilità di tutti per salvaguardare patrimoni industriali e posti di lavoro. Interesseremo immediatamente il Governo per le azioni necessarie del caso. In più, coinvolgeremo i nostri lavoratori nelle azioni necessarie alla difesa dell’occupazione in un territorio come quello siracusano già pesantemente provato.

 

Da Bruxelles è arrivato il via libera, seppur condizionato, dell’Antitrust Ue all’acquisto dell’Ilva da parte di Arcelor Mittal. Ora serve l’accordo sindacale…

Sono stato a Taranto, al congresso della Uil territoriale, dove ho detto che quella è davvero una situazione difficile e dobbiamo coinvolgere i lavoratori e i cittadini, sapendo che senza l’Ilva 20mila famiglie rischiano di non sopravvivere economicamente. Non ci possono mettere di fronte alla scelta se morire di cancro o di fame. Ecco perché dobbiamo riprendere il confronto in sede ministeriale e chiedere che vengano garantiti e tutelati occupazione, reddito, salute e sicurezza. Arcelor Mittal deve modificare il proprio piano: noi diamo piena fiducia alle nostre categorie metalmeccaniche e pieno sostegno alle loro iniziative, a cominciare dallo sciopero qualora non fossero rispettate quelle garanzie.

 

E, ancora, Tim: anche qui ci sono problemi…

Una privatizzazione senza regole e senza controlli ci ha messo in questa condizione: oggi, un fondo americano può decidere la sorte dei lavoratori della Tim, una delle più grandi imprese del nostro paese. È sempre lo stesso discorso: bisogna smetterla di svendere i gioielli di famiglia e si deve regolare la globalizzazione attraverso il controllo delle multinazionali che non possono scorrazzare per il mondo e fare ciò che gli pare e piace.

 

Un’ultima domanda. Siamo in dirittura di arrivo: tra meno di tre settimane ci sarà il Congresso nazionale. È tutto pronto?

Stiamo mettendo a punto gli ultimi dettagli. Bisognerà far partire gli inviti per i nuovi rappresentanti del Governo. Credo che ci siano tutte le condizioni perché il nostro Congresso possa essere un evento. Vedremo. Intanto, noi ci presentiamo a questo appuntamento forti di un consenso diffuso e radicato: le elezioni per il rinnovo delle Rsu stanno facendo registrare un successo per tutte le liste della Uil, ovunque. Così come ovunque, i Congressi territoriali e di categoria hanno messo in risalto una partecipazione convinta e attiva di tutti i nostri quadri e delegati. La Uil gode di ottima salute: lo hanno certificato persino soggetti terzi come il Censis e lo stanno confermando gli esiti di questi appuntamenti. La Uil c’è, sempre, per difendere gli interessi dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani.

 

 

Antonio Passaro

Carmelo Barbagallo

Segretario generale UIL




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