40 anni dalla morte di Aldo Moro
MAGGIO 2018
Agorà
40 anni dalla morte di Aldo Moro
di   Sara Tucci

 

Il 9 maggio di quarant’anni fa venne assassinato Aldo Moro. Il presidente della Democrazia Cristiana e già più volte ministro della Repubblica Italiana, fu ritrovato morto a Roma in una Renault 4 parcheggiata in Via Caetani, traversa di Via delle Botteghe Oscure, dopo ben 55 giorni di prigionia. Venne rapito il 16 marzo del 1978 da un commando delle Brigate Rosse, organizzazione terroristica di estrema sinistra operante nei cosiddetti “anni di piombo” nel nostro Paese. Iniziò tutto in via Fani, angolo con via Stresa, la mattina intorno alle 9. I brigatisti aprirono il fuoco sulla scorta del presidente della Dc e ne uccisero i cinque agenti. Moro venne quindi prelevato e sistemato a bordo di una Fiat 132 blu per essere poi rinchiuso in quella che dalla Br fu definita la “prigione del popolo”. Il presidente venne sequestrato il giorno in cui il Governo Andreotti IV avrebbe dovuto ottenere il voto di fiducia dal Parlamento, infatti, è proprio lì che Aldo Moro si stava recando. Dalle sue parole scritte in una delle lettere durante la prigionia ed indirizzata a Benito Zaccagnini, l’allora segretario della Dc, emerse sin da subito quanto quella non fosse una coincidenza: “…parlo innanzitutto della Dc alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze che non è difficile immaginare… Parlo innanzitutto del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m’ero tanto adoperato a costituire”.

Il Presidente Moro, infatti, fu uno dei fautori del cosiddetto “compromesso storico” attraverso il quale si aprì un dialogo tra la Democrazia Cristiana (partito egemone nella Prima Repubblica in Italia) ed il Partito Comunista Italiano con guida Berlinguer. Il nuovo Governo Andreotti, monocolore Dc, avrebbe dovuto ricevere l’appoggio esterno del Pci, questo anche a seguito della riflessione del segretario Berlinguer che sulla scorta dell’esperienza cilena col Governo di Unidad Popular voleva dar vita a uno schieramento politico capace di realizzare un programma di profondo rinnovamento della società e dello Stato basato su un consenso così ampio da poter resistere ai contraccolpi delle forze più conservatrici. Questa scelta ebbe forti ripercussioni sia all’interno degli assetti dei partiti e nelle loro varie correnti, sia appunto scatenò la reazione da parte delle Br (stante almeno alla versione ufficiale) che vedevano in Moro il simbolo di quest’accordo e “punendo” lui, “simbolicamente”, volevano punire tutta quella classe politica, dimostrando la loro contrarietà nei confronti dello “stato imperialista delle multinazionali”. Nell’ottica brigatista, infatti, portare a compimento la loro azione avrebbe avuto come risvolto l’arresto della “marcia comunista verso le istituzioni”, per affermare, invece, la prospettiva dello scontro rivoluzionario lottando contro il capitalismo.

Nel primo dei nove comunicati delle Brigate Rosse durante quei cinquantacinque giorni di prigionia, infatti, troviamo queste parole: “… chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il teorico e lo stratega indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la Dc è stata artefice nel nostro Paese – dalle politiche sanguinarie degli anni Cinquanta alla svolta del centrosinistra fino ai giorni nostri con l’accordo a sei – ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste”. Le Brigate Rosse cercarono di avviare una trattativa con lo Stato, anche proponendo di scambiare la vita di Aldo Moro con quella di alcuni esponenti delle Br che vennero arrestati in quel periodo. Sulla possibilità di aprire qualsiasi tipo di trattativa la politica si divise in due fazioni: da una parte il cosiddetto fronte della fermezza, ossia tutte quelle forze politiche che rifiutavano qualunque tipo di dialogo con i brigatisti in quanto la scarcerazione di anche uno solo di questi, avrebbe significato la resa dello Stato alle condizioni del terrorismo ed inoltre avrebbe creato un precedente non di poco conto per possibili ed alquanto probabili ricatti futuri. Tra questi ricordiamo innanzitutto proprio la Dc di cui ne era a capo e uno dei fondatori poi il Pci, il Pli ed i Pri. Addirittura Papa Paolo VI, amico di Moro, chiese la liberazione dell’ostaggio, ma “senza condizioni” tanto che in una lettera dalla prigionia Moro scrisse “Il Papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo”.

A favore della trattativa invece si schierarono la sinistra non comunista, Craxi ed i socialisti insieme ai radicali di Marco Pannella. Prevalse però la linea della fermezza, tanto da arrivare all’epilogo del sequestro. Le Br scrissero il 5 maggio il comunicato numero nove: “Per quanto riguarda la nostra proposta di uno scambio di prigionieri politici perché venisse sospesa la condanna e Aldo Moro venisse rilasciato, dobbiamo soltanto registrare il chiaro rifiuto della Dc. Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato”. Il 9 maggio i sequestratori chiamarono Franco Tritto (assistente di Moro) lasciandogli il seguente atroce messaggio “adempiamo alle ultime volontà del presidente comunicando alla famiglia dove potrà trovare il corpo dell’onorevole Aldo Moro” che fu quindi ritrovato morto nella Renault 4 rossa in Via Caetani poco distante sia dalla sede della Dc che del Pci. Negli anni successivi e fino al 2004, (data dell’ultimo arresto di una brigatista del sequestro), sono stati condannati 14 componenti delle Br coinvolti in questa vicenda: da Mario Moretti colui che interrogava Moro nel luogo della sua detenzione ed imputato anche quale autore materiale dell’assassinio ad Adriana Faranda colei che insieme a Valerio Morucci fungeva da “postino” durante quei giorni. Sono stati inflitti ergastoli, ma anche assoluzioni e sconti di pena per i cosiddetti “dissociati”.

V’è da dire che ancora oggi non si sa ancora tutta la verità sul cosiddetto “caso Moro”, tanto che è stata istituita una commissione parlamentare d’inchiesta apposita (commissione Fioroni) con l’obiettivo dichiarato appunto di “accertare eventuali nuovi elementi che possono integrare le conoscenze acquisite dalle precedenti commissioni (...) e eventuali responsabilità riconducibili ad apparati”. Vi sono molti lati ancora oscuri, tanti ancora da chiarire del tutto. Nel corso degli anni sono state fatte tante accuse e “forse” non tutti hanno pagato per le proprie responsabilità. Resta, questa, una delle pagine più terribili ed oscure nella storia della nostra Repubblica, culmine di un lungo periodo doloroso per l’Italia.

 

 

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