Sindacato, quel fare giustizia insieme
MAGGIO 2018
Sindacale
Sindacato, quel fare giustizia insieme
di   Lucia Grossi

 

Finché non diverranno coscienti della loro forza non si ribelleranno, finché non si ribelleranno non diverranno coscienti della loro forza” scriveva Orwell in 1984, opera in cui evocava il Grande Fratello, era quello un mondo fatto da scenari da perseguire, barriere da infrangere, leggi da costruire o da contestare, pratiche da sovvertire, lo stesso Grande Fratello aveva dei contorni, seppur inquietanti. Le prospettive di emancipazione e la libertà in esso contenute avevano possibili sviluppi reali, costruzioni collettive dove la fabbrica costituiva e disciplinava gli individui in corpo, per il doppio vantaggio dell’imprenditore, che sorvegliava ogni elemento della massa, e dei sindacati che mobilitavano una massa di resistenza. Poi, vuoi per la fine degli accordi di Bretton Woods, con la totale smaterializzazione della moneta e l’avvenuta centralità dei mercati finanziari, vuoi per la crisi del classico moltiplicatore keynesiano che ha generato una redistribuzione distorta del reddito o quella che genericamente invochiamo, sia nella speranza che nella paura, la globalizzazione, sta di fatto che l’unica certezza appare essere una strutturale instabilità, un modello dove l’algebra sembra aver soppiantato le braccia e le regole che avevano rappresentato il lavoro fino ad oggi. Una precarietà ed un controllo che sviluppano spesso una condizione di dipendenza, che non si esaurisce nel rapporto di lavoro, ma che ne sta a monte e a valle. Worked, Afferma il tuo eqUILibrio, Worked come lavorato, come lavoro subito, worked come aver lavorato, l’aspirazione di ciascuno di noi di Essere attraverso il lavoro, nella dignità e nella libertà, che poi è quella vecchia storia dell’emancipazione.

Nel decennio tra la fine degli anni ‘90 e la fine degli anni 2000, la percentuale di lavoratori malpagati è aumentata in quasi tutte le economie avanzate. Dopo il crac finanziario la disoccupazione è rimasta alta soprattutto fra i giovani. Le forme di lavoro atipiche che includono il lavoro a tempo parziale, il lavoro in somministrazione ed il lavoro autonomo ormai rappresentano circa un terzo dell’occupazione totale nei paesi dell’OCSE, e comprendono la metà dei posti di lavoro creati dagli anni ‘90 ed il 70% di quelli creati dopo la crisi del 2008. Ma fare un’analisi soltanto italiana sulla precarietà sarebbe relativo: siamo di fronte ad un modello di crescita con alcune eccezioni che però, come si dice banalmente, non fanno altro che confermare la regola. Nel frattempo la Apple, economia prevalentemente virtuale, riesce ad accumulare un utile netto pari al 33% del fatturato e ciò le consente di essere tra le prime aziende al mondo per capitalizzazione finanziaria, superando i 500 milioni di dollari, seguono Alphabet, Microsoft, Amazon, Tencent, Alibaba, Berkshire, Hathaway; nessuna svolge attività economica prevalentemente reale.

Come si valorizza il lavoro? Come si garantiscono diritti sociali e di cittadinanza? La produzione non è più fondata su uno schema unico di organizzazione del lavoro ma da una struttura a rete che si attua sul territorio lungo filiere produttive di subfornitura: è il caso Amazon, azienda che ha guadagnato 175 miliardi di dollari nel 2017 con una crescita annuale del 40% che assume però con contratti di un mese. Sono queste le mirabilie dell’innovazione? Del just in time? E allora sorgono altri interrogativi: come organizzare il conflitto laddove è necessario davanti a questo accresciuto rapporto di forza a favore di quello che un tempo avremmo chiamato “capitale”? O quali strategie partecipative di fatto possono generare più opportunità e risultati per i lavoratori? Una cosa è certa: le prerogative negoziali riconosciute sono deboli per una parte consistente del mondo del lavoro. Siamo in una fase in cui le retribuzioni non si costruiscono solo con la storica valorizzazione del salario, che ha rappresentato per anni la garanzia di tutela per i lavoratori ed il ruolo rivendicativo delle organizzazioni sindacali.

Non pecchiamo di presunzione ritenendo che a tante di queste domande la risposta è: Sindacato, quel fare giustizia insieme. In questa direzione, la nostra capacità di contrattare può svolgere un ruolo importante, incidere sulle fasi di transizione, dare nuova vita a termini come contratto collettivo, bilateralità, welfare, perché la risposta è solo in parte nelle norme giuridiche, credo invece che molte delle risposte siano in questa platea che voglio personalmente ringraziare perché, se fare sindacato è qualcosa di impegnativo e complesso di questi tempi, farlo senza prospettiva di domani è qualcosa che lasciatemi dire ha un significato quasi eroico. Oggi ci sono 20 UILTemp Regionali, perché non c’è territorio, spazio, indotto, rete e di conseguenza lavoratore che non abbia necessità di sostegno, di rappresentanza, supportati da una confederazione che sta facendo uno sforzo massimo di aggiornamento di linguaggi e codici. Siamo consapevoli che le vecchie classificazioni sociali sono saltate, uomini donne, giovani anziani, occupati e disoccupati, il coraggio sta nel sapersi rivolgere ad identità transitorie e spesso temporanee, sia per linguaggio che per funzioni sociali. C’è poco spazio in questi tempi brevi, per un consenso costruito su egemonie ed avanguardie, in questo tortuoso divenire bisogna affermare condivisione, partecipazione, umiltà.

Una partecipazione che ha l’esigenza di trovare anche luoghi virtuali di mediazione, con messaggi semplici e chiari che schivino il rischio dell’autoreferenzialità. La somministrazione di lavoro è il contratto atipico dove le organizzazioni sindacali sono riuscite a costruire relazioni industriali strutturate e consolidate. Con Nidil Cgil e Felsa Cisl, insieme alle rappresentanze datoriali di Assolavoro e Assosomm, abbiamo saputo costruire elementi di innovazione e sperimentazione nelle relazioni industriali, confrontandoci con una particolare contrattazione che di fatto esclude il salario come elemento caratterizzante. La somministrazione di lavoro è diventato uno dei contratti più utilizzati dalle imprese per reperire dipendenti con caratteristiche specifiche, nel 2017 ha avuto un incremento del 25% con un’incidenza sull’occupazione totale del 2%, una platea di lavoratori il cui 40% è fatto di persone con più di quaranta anni. Il dialogo che abbiamo iniziato con le categorie della UIL è da sviluppare per un maggiore coordinamento perché è palese la trasformazione avvenuta; potrei fare un lungo elenco di aziende in cui i lavoratori in somministrazione sono la maggioranza rispetto ai lavoratori con contratto subordinato a tempo indeterminato. Quella della contrattazione di secondo livello, da allargare a confini più ampi di quelli strettamente aziendali, è per noi la strada per stimolare aggregazioni di istanze individuali, altrimenti estremamente frammentate, che possano cosi accrescere la loro capacità di rivendicazione.

Stiamo vivendo, anche nel nostro campo, penso a settori come la logistica e la grande distribuzione, l’enfasi di una rappresentanza che agita soltanto il conflitto fine a se stesso, conflitto dai tratti populistici fatto di inizi esaltanti e soluzioni spesso ahimè frustranti per i lavoratori, un ottimo metodo per non intaccare i rapporti di forza. Abbiamo quindi il dovere di combattere l’ideologia dell’immediato, allargando la nostra base sociale e alimentando una struttura politica che sia duratura e complessa, in grado di sostenere nuove forme di relazioni sociali. Nell’evoluzione del CCNL della somministrazione abbiamo cercato di superare l’approccio di temporaneità che caratterizzava un tempo la figura del lavoratore interinale, configurando la somministrazione come scelta strutturale nell’organizzazione interna delle aziende, detto questo rispetto al rinnovo in corso non possiamo però guardare inermi al proliferare dei contratti di un giorno o di un mese ripetuti costantemente nel corso di anni. Ciò ci appare, consentitemi, come una sorta di caporalato edulcorato, di estremo condizionamento psicologico, che non fa giustizia a quel sistema di regole e garanzie che insieme sindacati e datori di lavoro abbiamo costruito in questi anni, dove il rapporto triplice che caratterizza il lavoro tramite agenzia viene distorto a vantaggio del cliente. È chiaro però che non basta produrre norme se non si rafforza la rappresentanza, ne è stato un esempio il fallimento Fontemp, il fondo di previdenza integrativo di settore, che nonostante i benefici che prevedeva per i lavoratori, non ha avuto il riscontro sperato. Oggi siamo tutti impegnati a rilanciare l’adesione a Fonte, ma accanto ad un nuovo stimolo per la previdenza complementare, bisogna da subito aprire con il prossimo governo una discussione incentrata sulla previdenza ordinaria delle nuove generazioni.

Riteniamo che le fasi di non lavoro e di formazione possano avere un valore contributivo, visto che ormai il 70% delle nuove assunzioni sono contratti a termine. In tutto ciò la grande retorica nazionale sulle politiche attive sembra aver partorito non un piano, non un progetto ma un acronimo: ANPAL, lasciando spazio a singole sperimentazioni regionali che, seppur con qualche eccellenza, hanno in comune l’assenza di qualunque coordinamento e prospettiva comune. Abbiamo unitariamente caratterizzato questa fase del rinnovo contrattuale, affermando il principio della continuità di reddito, il lavoratore in somministrazione deve essere supportato in tutte le fasi di lavoro e non lavoro. Proprio in questo ultimo anno abbiamo assistito, più o meno inermi, alla cessazione di circa 1000 contratti nel set tore metalmeccanico tra Cassino e Termoli, in questi giorni rischiano di perdere il lavoro 500 lavoratori della Philip Morris di Crespellano, contratti che duravano da anni, probabilmente molti di loro sono giovani, ma dobbiamo a questo punto constatare che il dibattito italiano è troppo impegnato a costruire il “giovane generico” con salario generico, consumi generici, ma quando si tratta delle esigenze reali, in carne ed ossa, è decisamente più distratto. Il Fondo speciale di solidarietà bilaterale, dovrà mettere in campo, soluzioni utili ad intervenire qualora si verifichino complesse crisi aziendali, nel 2017 ha erogato soltanto 5000 domande di sostegno al reddito, numeri che vanno certamente implementati. In questo senso il diritto alla formazione, che fortemente abbiamo voluto, deve essere un momento affermativo del lavoratore che possa migliorare la sua condizione in termini di salario e di realizzazione nel mercato del lavoro, altrimenti è solo la scialba risposta ad un’esigenza di retorica modernista: l’occupabilità è un diritto come, se non più, di un’occupazione misera e dequalificante.

Una retorica che divide i precari in cool e parassiti, che si indigna con ipocrisia al braccialetto elettronico di Amazon ma contemporaneamente è indifferente ai precari che lasciano il lavoro perché la loro schiena non regge ai turni massacranti dei magazzini della logistica, che bolla i precari del sud come sussidiati e ci racconta come attività innovative la rendita delle piattaforme digitali. Rispetto alle App, non possiamo certo fermarci ad una rappresentazione soltanto emotivamente strumentale, che si ferma davanti al titolo della “GIG ECONOMY”. C’è bisogno che il fenomeno sia inquadrato in una direzione europea. Ma al di là delle norme, riteniamo che una delle soluzioni a questo modello innovativo sia una risposta molto tradizionale fatta di volantinaggi, assemblee, salario in sintesi ridisegnare i diritti perché mentre si discute se si tratta di lavoratori autonomi o subordinati, queste persone guadagnano 3.60€ all’ora, girando intere città, con un cellulare connesso al satellite, su una bicicletta con nessuna tutela in termini di sicurezza. Con una cornice normativa di supporto, dal confronto delle parti sociali possono nascere soluzioni modulari che valorizzino gli investimenti e difendano il lavoro, penso ad esempio al progetto delle “umbrella company”. Un tentativo analogo va esteso anche alle Partita iva. Ma nell’incertezza del futuro, sono stati catapultati anche gli ex collaboratori a progetto che, con il divieto posto dal decreto 81/2015, si sono visti sfuggire anche quella manciata di certezze che di anno in anno gli veniva rinnovata. Nell’ultimo triennio, siamo stati impegnati nel rinnovo e/o sottoscrizioni di diversi accordi sulla disciplina delle collaborazioni, in questi accordi, abbiamo aperto la strada al riconoscimento di maggiori tutele, garanzie e diritti per questi lavoratori a partire dal salario, indennità di maternità, riconoscimento economico dei riposi psicofisici, welfare contrattuale integrativo. Però vista la delicatezza del tema, siamo stati sempre ben attenti a non dare seguito a negoziazioni che avrebbero livellato verso il basso i salari, creando discriminazioni tra lavoratori e schizofrenia contrattuale.

L’anno appena trascorso è stato fondamentale in termini di successi sindacali, su alcune vertenze storiche della UILTemp. L’effetto della “Riforma Madia” e della successiva manovra, ha aperto le porte a oltre 70 mila stabilizzazioni di personale precario. È così partito ufficialmente il piano triennale per la stabilizzazione di circa 50 mila precari storici. Ma la manovra ha anche stanziato risorse ad hoc per la scuola e la ricerca, per la stabilizzazione per oltre 800 ex l.s.u., assimilati A.T.A., che fino ad oggi hanno prestato servizio nelle scuole del centro-sud Italia con contratti di co.co.co. Il fenomeno in esame, ha riguardato maggiormente le regioni del centro sud Italia, con numeri piuttosto rilevanti in Sicilia. Discorso analogo va fatto per gli oltre 500 collaboratori scolastici della provincia di Palermo. Diversa la vicenda degli LSU/LPU calabresi e dei precari inseriti nella legge 15 e nella legge 40, nonché degli LSU ed Asu siciliani. Nonostante per questi lavoratori, la legge di bilancio ne avesse previsto la stabilizzazione, la situazione debitoria della quasi totalità degli enti locali, ne ha praticamente impedito la realizzazione. Abbiamo continuato incessantemente a sostenerli sindacalmente, perché è in terre come queste che noi chiediamo nuovi investimenti per scongiurare lo spopolamento totale. La UILTemp di oggi ha tanti volti e tante storie, sono i nostri rappresentanti, due anni fa in pochi ci avrebbe scommesso. Il sindacato è vita, militanza, mobilitazione, confronto è stare con i deboli altrimenti è altro, noi vogliamo essere questo. Perché come diceva Pietro Nenni: “Nulla si può sperare dall’alto, tutto dal basso”.

 

 

* Segretaria Generale Uil Temp

** Sintesi relazione al 3° Congresso Nazionale della UILTemp

 

 

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