Lavoro Italiano: il mensile della UIL.
Lavoro Italiano
Il mensile della UIL.
MAGGIO 2020

Marzo - Aprile - Maggio 2020

In questo numero

Il Fatto

Vincere la paura e tornare ad un New Deal!

di Antonio Foccillo


 

Questo è il mio ultimo editoriale, dopo tanti anni che ho svolto la funzione di direttore prima di L.I. Notizie e poi di Lavoro Italiano, e quindi consentitemi di ringraziare tutti, dai miei collaboratori che si sono prodigati instancabili, ai tanti dirigenti, a vari livelli, che hanno contribuito ad arricchire con i loro articoli la nostra cultura e conoscenza. Grazie a tutti. La mia analisi non può non partire dalla Pandemia che ci ha costretto a restare tutti in quarantena a casa. Il dramma per tutti è stato quello di non poter essere liberi di vivere la propria normalità e questo, in molti casi, ha anche indotto depressioni, venendo a mancare, all’improvviso, la propria routine quotidiana. Già prima della Pandemia abbiamo attraversato un’epoca in cui i cittadini spesso subivano qualsiasi evento impauriti. La Paura viene promanata in tutte le salse. Questa manipolazione fa parte di un decalogo della distrazione1, che, come ho scritto in un precedente articolo, viene propagandato attraverso il sistema mediatico. Essa consiste nel distogliere l’attenzione pubblica dai problemi importanti e dai cambiamenti determinati dalle élite politiche ed economiche, mediante la tecnica dell’inondazione di continue distrazioni e di informazioni insignificanti […]. Quello di utilizzare l’aspetto emozionale, molto più che la riflessione, è una classica tecnica per provocare un corto circuito nell’analisi razionale e nel senso critico dell’individuo. Su quale emozione si può puntare di più, se non sulla paura! Ogni evento viene enfatizzato premendo sui probabili rischi in cui si può incorrere, proprio per instillare preoccupazione: dai disastri, dalle piogge torrenziali alle emergenze del clima, dai terremoti ai virus. Tutto viene strumentalizzato con grandissima drammaticità per fare in modo che prevalga la paura e di conseguenza per evitare che le persone riflettano e si impegnino su altre questioni più importanti. Negli ultimi vent’anni la realtà socio–politica è diventata estremamente fluida, con enormi costi sociali, ne sono derivati un indebolimento del vincolo sociale, una diminuzione della fiducia, la diffusione dell’alienazione e dell’insicurezza con la conseguenza che il cittadino non si identifica più in questo tipo di società, riscontrandosi così la rottura di un patto sociale, fondamento della precedente società.

La rivoluzione ideologica conservatrice, attraverso varie imposizioni, dalla riduzione della sovranità degli Stati alla criminalizzazione dei partiti e, ancora, con l’introduzione di politiche come globalizzazione, deregulation, mercato, competizione, utili ad affermare la politica di finanziarizzazione dell’economia, ha privato d’interesse valori cardine come quello del popolo sovrano, individuato nel principio di libertà, di indipendenza e di uguaglianza (posti a difesa della pari dignità) che sono diventati subordinati al “mercato”.Il principio generale di libertà è stato interamente assorbito dal principio di libertà economica, che è stato assunto a modello ideologico generale di tutta la società. Ne è nata una crisi, la più devastante e lunga nella storia dell’occidente. E anche in tempo di coronavirus non c’è di meglio che ricordare un aforisma che così si esplica: “La paura controlla l’ignoranza. La conoscenza la Paura”. La Pandemia all’improvviso è apparsa, con una violenza devastante nelle vite di tutti noi, con un carico di morti che ha dato la sensazione di essere in una vera e propria guerra. Anche se, a differenza della guerra, però, il nemico non lo si è potuto vedere ed è stato molto più subdolo. Si sono devastate non solo le nostre certezze ma anche la nostra economia. Come si può facilmente intuire in questa clausura ogni momento è stato vissuto con un misto di sentimenti profani quali l’angoscia, la paura e la speranza. Gli emblemi di questa fase sono stati tanti: le tende; i respiratori; le intubazioni; il suono incessante delle ambulanze; i forni crematori per bruciare i corpi; la lunghissima fila dei camion dell’esercito che trasportavano le tantissime bare; le fosse comuni per le salme dei poveri nella ricca New York; il dovere scegliere chi curare e chi lasciare morire. Ancora le facce stravolte dalla stanchezza e dai lividi delle mascherine degli infermieri e medici instancabili e la disperazione degli operatori sanitari che, stanchissimi per i turni massacranti e provati psicologicamente in modo esponenziale, faranno fatica a ritornare alla normalità. Infine, il dramma dei familiari per l’impossibilità di poter stare vicino ai propri cari durante la malattia, senza poterli neppure piangere e accompagnare nell’ultimo viaggio terreno. Queste povere persone sono morte in completa solitudine, senza una parola di conforto, e privati anche dell’ultimo abbraccio.

Sembrava di stare in un film di fantascienza e di orrore, con la musica amplificata, sempre più forte, per creare proprio il clima di tensione e di paura. Invece era tutto vero e tutto ciò era la realtà. In momenti come questi, che a detta degli esperti, potranno ripetersi, si deve abbandonare il proprio egoismo e diventare tutti insieme cittadini responsabili e solidali. A qualcuno può sembrare retorica ma è solo una constatazione di fatti reali che possono toccare tutti. Nessuno è indenne o immune. Questi tragici eventi, scanditi da bollettini continui giornalieri, che illustrano i nuovi morti e i nuovi contaminati sempre più elevati, li si può definire con un titolo di un film: Odissea 2000. Chi lo avrebbe detto o pensato che nel 2020 saremmo stati costretti a restare chiusi in casa per debellare un virus! La tecnologia e le conoscenze non ci hanno aiutato e sembrava di essere tornati ai tempi della peste e dell’untore. C’è chi pregava, c’è chi cantava, chi, nonostante i divieti, usciva lo stesso, per lavoro, per portare il cane o per le prime necessità e soprattutto per esorcizzare la paura. Ogni giorno passato in quarantena faceva aumentare la solitudine e l’alienazione e, soprattutto, il bisogno di riacquistare la libertà di abbracciare un parente o un amico, di sentire il profumo di un fiore nella pienezza della primavera, di farsi una risata insieme ad un amico, di fare una passeggiata, di vedere ed ascoltare il mare, di inerpicarsi in un sentiero di montagna, di partecipare ad un evento. In queste settimane di emergenza, con i provvedimenti del Governo, si possono riscontrare una serie di problemi attinenti alla limitazione degli spazi di libertà, quella dei singoli ma anche la libertà di tutti i cittadini e di conseguenza della democrazia. Carlo Rosselli sosteneva: “La libertà comincia con l’educazione dell’uomo e si conchiude col trionfo di uno Stato di liberi, in parità di diritti e di doveri, in uno stato in cui la libertà di ciascuno è condizione e limite alle libertà di tutti”. Se ne discute poco! È sempre più importante, invece, avviare un’ampia riflessione perché si rischia di incidere profondamente su diritti fondamentali e costituzionali, anche se in questa fase la loro restrizione sarebbe giustificata e motivata legittimamente dalla tutela della salute. È ovvio che il diritto alla vita e alla sicurezza dell’individuo prevale rispetto a tutto ma in Costituzione non ci sono diritti di seria A e diritti di serie B, anche nel caso in cui sia la stessa Costituzione a perimetrarne eventuali limiti, come nell’art.162.

Di fronte a questo perpetuarsi delle misure, tuttavia, è lecito iniziare a disquisire se queste rispecchino tutti i parametri di legittimità, ragionevolezza e proporzionalità previsti dalla Costituzione. Oltre alla questione del bilanciamento dei diritti in gioco e dell’eccezionalità degli interventi limitativi, infatti, bisogna sempre tenere a mente, ai fini della loro legittimità, proprio il principio di proporzionalità. Esso attiene al triplice profilo dell’idoneità a raggiungere lo scopo prefissato, della necessità e dell’urgenza. La compressione di una libertà o di un diritto costituzionalmente tutelato sarebbe illegittima qualora non fosse idonea al raggiungimento dello scopo prefissato. A fronte di un probabile rischio per tutta la nazione, si può consentire ad alcuni di andare a lavorare e ad altri no? Si possono mantenere aperte alcune realtà produttive ed altre no? Oppure bloccare le persone nei luoghi in cui si sono trovati per lavoro, vietandogli di tornare a casa? Tutto questo non lede il principio di uguaglianza di fronte alla legge dei cittadini? È possibile che così si causino delle discriminazioni? Sarebbe interessante aprire un dibattito per ragionare su questi interrogativi, anche per evitare che la Costituzione materiale possa modificare la Costituzione formale3, violandone la ratio originaria, e su come quello che oggi è previsto come eccezionale possa diventare esempio per altre decisioni che potrebbero essere considerate alla stessa stregua eccezionali. Se la legge fondamentale dello Stato deve essere riformata, questo non può avvenire senza il consenso di tutti i cittadini, perché la sovranità appartiene solo al popolo. Non voglio affermare che le mie valutazioni siano giuste in assoluto. Sono tutti temi che avrebbero bisogno di un momento di elevatissimo confronto perché si toccano le regole costituzionali, che la comunità ha scelto di darsi, invece tutto avviene fra apatia, disinteresse e dibattiti al massimo fra pochi intimi. Quello che fa riflettere è l’estrema certezza con cui si affrontano questioni così importanti, senza nessun dubbio e senza nessuna analisi su come si evolverà lo stato delle cose e quali cambiamenti si determineranno sul piano del vivere civile. Finita l’emergenza, occorrerà verificare lo stato di salute del nostro sistema democratico ed impegnare il Parlamento, perché altre future emergenze siano affrontate sulla base di un quadro normativo, certo e puntuale, che non consenta più sconfinamenti dell’esecutivo sul legislativo, che definisca i poteri dell’autorità centrale e gli ambiti di intervento di quelle territoriali, fissando ruoli, competenze e procedure da seguire, che individui momenti di cooperazione tra le istituzioni, che delinei strumenti di controllo. Più che il deficit di libertà si rischia il deficit democratico4! La Democrazia, diceva Platone, rischia per troppa libertà di degenerare in licenza e di provocare così una reazione che porta all’instaurazione di un regime autoritario o dispotico5.

A tale considerazione Popper risponde che di fronte al dispotismo si può correggerlo con la presa d’atto e, quindi, con la partecipazione dissenziente, senza ricorrere alla violenza. “Di fronte a una forma dispotica la risposta può anche essere l’insurrezione, ma in democrazia, se non ci si riconosce in quello che fa la maggioranza, ci si può organizzare come minoranza per cercare di cambiare democraticamente le cose. Popper sottolinea quindi l’enorme portata del dissenso6”. Proprio per questo, quello che stiamo vivendo con le misure finora adottate dal Governo, bisognerebbe avere la forza di esprimere il dissenso. Lo ricorda Gorello, nell’opera che ho citato, sostenendo che: “la Democrazia […] è la volontà di non arrendersi di fronte a qualsiasi forza, a qualsiasi potere che pretenda si essere irresistibile”. Per spiegare il nesso strettissimo che esiste fra diritti dell’uomo e democrazia, Norberto Bobbio scriveva: “Diritti dell’uomo, democrazia e pace sono tre momenti necessari dello stesso movimento storico: senza diritti dell’uomo, riconosciuti e protetti non c’è democrazia; senza democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pratica dei conflitti. Con altre parole, la democrazia è la società dei cittadini, e i sudditi diventano cittadini quando vengono riconosciuti alcuni diritti fondamentali7”. Tutto questo, infatti, dovrebbe far risvegliare le coscienze e far ritornare a propugnare alcuni dei valori considerati antichi, per riaffermare concetti di democrazia, partecipazione, libertà, coesione, solidarietà ed uguaglianza dei diritti. Thomas Hobbes dà una chiara e vigorosa dimostrazione che il “contratto sociale” implica, obbligatoriamente come meta della giusta azione di governo, la salus populi, cioè la protezione e prosperità dei cittadini. Alla Politica i cittadini hanno diritto di chiedere volontà, forza, capacità per decisioni che perseguano e realizzino il “bene comune”. La Politica è un’attività autonoma, che ha solo in sé stessa e non fuori di sé, la giustificazione che la legittima: garantire la concordia interna dei cittadini e la sicurezza esterna dello Stato. Fine dello Stato è la libertà, che significa insieme la meta diretta del benessere materiale e non solo di quello spirituale. È quanto ripete Baruch Spinoza, che sostiene fermamente che non può esserci vera libertà politica per l’uomo, se a questa non si accompagni l’affrancamento dalle immediate necessità economiche.

Infatti, il criterio discriminante della libertà è la sicurezza materiale e morale. Uno dei modelli su cui si è costruita questa forma di politica in Europa, è stato il socialismo democratico, quello del welfare State. Per non dimenticare quello che è avvenuto in passato e per evitare che nel ricordo possa diventare nostalgia voglio ricordare a tal proposito quello che sosteneva Carlo Rosselli: “Il problema italiano è, essenzialmente, problema di libertà. Ma problema di libertà nel suo significato integrale; cioè di autonomia spirituale, di emancipazione della coscienza, nella sfera individuale; e di organizzazione nella libertà della sfera sociale, cioè nella costruzione dello Stato e nei rapporti tra i gruppi e le classi. Senza uomini liberi, nessuna possibilità di Stato libero. Senza conoscenze emancipate, nessuna possibilità di emancipazione di classi. […] La libertà comincia con l’educazione dell’uomo e si conclude col trionfo di uno Stato in cui la libertà di ciascuno è condizione e limite delle libertà di tutti8”. Nelle tradizioni costituzionali dell’Occidente il tema della libertà del cittadino è sempre stato uno degli elementi più affrontati e più tutelati. È tradizione che risale già, dopo la proclamazione dell’indipendenza dell’Inghilterra (1776) al Bill of Rights9, negli Stati Uniti nel 1791 alla Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino (1789) e alle Costituzioni nate dalla Rivoluzione Francese. Conformemente a questa tradizione, la Costituzione italiana dedica molte parti alla proclamazione e alla disciplina dei diritti di libertà. In essa il concetto di libertà è sempre garantito al massimo, però, nell’ambito della legge che ne definisce i contorni. Cioè si è liberi, infatti, non in assoluto ma nei limiti dell’ordinamento giuridico. Il grande Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, amato da tutti, sosteneva: “Battetevi sempre per la Libertà, per la pace, per la giustizia sociale. La libertà senza giustizia sociale non è che una conquista fragile, che si risolve per molti nella libertà di morire di fame”. In Europa si erano costituiti modelli di società in cui i valori dei diritti dell’uomo erano altamente riconosciuti.

Oggi, invece, non può considerarsi civile e democratica una società se si sceglie di non curare un anziano per salvare un cittadino più giovane; non lo è quando viola la libertà degli individui senza essere legittimata da una regola democratica; non è civile quando impone la scelta fra il diritto alla vita, con la probabile morte da coronavirus, se non si accetta di restare in clausura, e il diritto al lavoro e alla libertà, se si decide di aprire le attività o si va fuori di casa. Questa dicotomia vale per tutti i cittadini, ma è ancora più evidente per i tanti operatori della sanità, delle forze di polizia, per chi vende alimentari, per chi fa le pulizie e quelli che per esigenze primarie sono costretti ad andare a lavorare. Ci vogliono regole che riaffermino il diritto alla privacy, alla libertà, ad essere riconosciuto come soggetto pensante. No a controlli da grande fratello. No ad obblighi imposti. È vero che la libertà del singolo finisce quando intacca la libertà degli altri, ma entro questo limite va comunque difesa da libertà del singolo. Anche sul piano della situazione economica e sociale, che rischia di diventare sempre più esplosiva se non si risolvono le varie problematiche dopo la chiusura delle città e dei settori produttivi, vanno individuati nuovi modelli per avviare uno sviluppo economico diverso, non più solo mercantile, considerando le modalità di un lavoro a valenza sociale complessiva. Bisogna uscire da una logica difensiva, riproporre come centrale il problema del sociale e ripartire all’attacco anche con obiettivi intermedi ma ben definiti e caratterizzati. Un nuovo modello di crescita economica, un forte progetto di rinnovamento che riaccenda le speranze sopite con una seria e corretta politica sociale non più basata sull’assistenzialismo e spese improduttive, ma un percorso verso un progetto per una reale democrazia economica del sociale e del lavoro può ancora realizzarsi, cambiando profondamente i parametri economici e finanziari che sono diventati dogmi ed hanno dominato sui diritti. Non siamo come prima e non ritornerà tutto come prima. Investire in tecnologia, in infrastrutture materiali e immateriali, dare più ricchezza alle persone per rilanciare la domanda interna, cambiare profondamente il fisco e ridurre realmente l’evasione. Bisogna, infine, ritrovare la forza di vincere la paura con il coraggio per permetterci di uscire dalla cura del nostro orticello. La paura, se vince, frena gli ideali, i sogni, le speranze, i buoni propositi. Oggi è ancora più evidente che tutto questo deve far riflettere sulle priorità che ognuno deve darsi. Un ritorno alla spiritualità, alla filosofia, all’approfondimento culturale, ai valori ci può aiutare ad uscire da questo dramma.

 

 

1 Questo testo è stato attribuito impropriamente a Noam Chomsky ma in realtà non è stato elaborato da lui, ma ricavato da alcuni suoi scritti sul tema della manipolazione di massa (come lui stesso disse in qualche occasione). Al di là dell’autore una riflessione è utile per capire come si sono succeduti certi eventi che hanno prodotto una delegittimazione complessiva.

2 Art.16 Cost.: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale. Salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”.

3 La “Costituzione Materiale” è un’ espressione coniata da Costantino Mortati, grande costituzionalista italiano, e con essa si intende l’insieme di principi e regole non scritte le quali, ancorché non presenti nel testo della Costituzione possono ritenersi parte integrante di essa. La costituzione formale è, invece, il documento (scritto) nel quale sono contenuti i princìpi, i valori, le regole e gli istituti fondamentali dell’organizzazione statale. La sua teoria superava la tradizione giuspositivistica, che collocando lo Stato al centro del sistema giuridico riduceva la costituzione a una delle sue fonti, sia pure la fonte suprema. Per quanto mi riguarda sono convinto che le norme della costituzione materiale, affinché siano integrate e con la stessa legittimità di quelle della Costituzione formale, debbano stare entro le finalità della originaria che non può essere stravolta, e devono essere approvate dal Parlamento.

4 Su queste tematiche, per non appesantire ulteriormente il testo, ho fatto un’analisi più dettagliata che allego in appendice per chi volesse cimentarsi sul tema.

5 G. Giorello, 2011, Popper e la filosofia della scienza, cit. pag. 21, Gruppo editoriale l’Espresso, Roma

6 Ibidem, pag. 22

7 N. Bobbio, L’età dei diritti, op. cit. Introduzione, pp. VI - VII

8 G. Limiti, M. Di Napoli, 1993, Carlo e Nello Rosselli Giustizia e libertà, p. 154. Ed. Uil, Roma

9 I primi dieci emendamenti della Costituzione americana

10 G. Neppi Modona (a cura di),1995, Stato della Costituzione, Edizioni CDE, Milano      

 

 

Antonio Foccillo

Antonio Foccillo

Segretario confederale UIL

Intervista a Carmelo Barbagallo

Costruire un nuovo modello di società attraverso un patto per lo sviluppo

di Antonio Passaro


 

Segretario, dal dopoguerra ad oggi, una vicenda dall’impatto così eccezionale il nostro Paese non l’aveva mai vissuta. Un fatto epocale. La pandemia da Covid-19 ha fermato o, quantomeno, ha rallentato il mondo e l’Italia è stata tra i Paesi più colpiti. In questi mesi, sono accadute tante cose e il Sindacato, come sempre, non si è mai sottratto al suo impegno per contribuire a tenere sotto controllo le conseguenza dell’epidemia…

Innanzitutto, il mio pensiero va a tutte le vittime di questa pandemia e a tutti gli anziani abbandonati, ai medici, agli infermieri e a tutti gli addetti alla sicurezza che hanno perso la loro vita. Nei momenti difficili il Sindacato c’è sempre stato e anche questa volta è presente per affrontare una fase così difficile e inedita, per costruire il futuro del lavoro in sicurezza, per dare speranza ai giovani e certezze ai nostri anziani. Uil, Cisl, Cgil, per la loro parte, si sono preoccupate di contenere e ridurre al massimo le ricadute della crisi sanitaria sul tessuto sociale ed economico del Paese, sempre nel prioritario rispetto della salute dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani. Sono stati sottoscritti alcuni importanti accordi tra le parti sociali e il Governo. Il primo è stato quello del 14 marzo.

 

Quell’intesa ha avuto una funzione di vera propria pietra miliare, di punto di riferimento, per il mondo del lavoro. Possiamo rapidamente ricordarne il senso e i contenuti?

Una trattativa lunghissima, una no-stop di quasi 24 ore, ha portato Uil, Cisl, Cgil, Associazioni datoriali e Governo a condividere il Protocollo di regolamentazione per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro. Abbiamo fatto valere il principio della priorità della sicurezza sul profitto, valorizzando il ruolo delle Rsu e degli Rls e Rlst. La gravissima emergenza sanitaria doveva essere gestita tutti insieme: con l’intesa del 14 marzo, fortemente voluta dalla Uil, abbiamo offerto ai lavoratori e al Paese uno strumento, giusto ed efficace, di tutela e salvaguardia della salute. Dall’ingresso nei luoghi di lavoro ai processi di sanificazione; dai dispositivi di protezione individuale alla gestione degli spazi comuni; dall’organizzazione aziendale agli orari di lavoro; dalla gestione di una persona sintomatica in azienda alla sorveglianza sanitaria. Quel Protocollo ha messo insieme una serie di regole che hanno determinato un’omogeneità di trattamento in tutte le realtà produttive e che hanno ribadito, in linea con le disposizioni governative già attuate in quei gior ni, il diritto alla sicurezza e alla salute e l’effettiva fruizione di quelle prescrizioni.

 

Successivamente, ci sono stati ulteriori aggiustamenti e altre intese: il tutto, ovviamente, rigorosamente, in videoconferenza…

Sì, qualche settimana dopo, siamo dovuti intervenire per rivisitare l’elenco delle attività produttive indispensabili. Inoltre, il 24 aprile, abbiamo condiviso un altro documento, per garantire un efficace adeguamento del Protocollo del 14 marzo. Si trattava di assicurare una graduale ripresa delle attività produttive e dell’economia del Paese, nel rispetto della sicurezza e della salute dei lavoratori, dei pensionati e di tutti i cittadini. Va detto, poi, che analoghi Protocolli sono stati sottoscritti per i lavoratori del pubblico impiego e accordi sono stati fatti anche per realtà professionali più specifiche.

 

E poi ci sono stati tanti cambiamenti, tanti eventi pubblici annullati e tanti altri svoltisi solo con l’ausilio delle moderne tecnologie, che hanno mitigato le conseguenze dell’indispensabile distanziamento sociale. Che effetto ti ha fatto, ad esempio, il Primo Maggio senza la piazza?

Un Primo Maggio con le piazze vuote e con un silenzio tanto assordante non si era mai visto. Forse, però, mai come quest’anno, questo evento si è impresso nella mente e nei cuori di tutti noi per una voglia, più forte di sempre, di partecipare e di sentirsi insieme. È vero, gli strumenti tecnologici e mediatici sono stati utilizzati fino all’inverosimile, per sopperire al necessario distanziamento e per far percepire ancora più chiaramente la presenza del mondo del lavoro. In mancanza del tradizionale comizio, che quest’anno si sarebbe dovuto svolgere a Padova, ho trascorso l’intera giornata nella sede nazionale del Sindacato di via Lucullo. Tra interviste, collegamenti e messaggi agli iscritti, abbiamo cercato di far sentire la vicinanza della nostra Organizzazione alle lavoratrici e ai lavoratori, alle pensionate e ai pensionati, alle giovani e ai giovani.

 

La pandemia ha messo a nudo tanti nostri ritardi. Tu hai fatto molte proposte. Puoi ribadirle?

La Uil ha proposto di ridisegnare, tutti insieme, un nuovo Paese, fondato sulla solidarietà e lo sviluppo. Bisogna farlo in fretta, perché tutto il mondo è stato colpito e chi ne uscirà prima, più velocemente e con le idee più chiare avrà un ruolo importante nel prossimo futuro. Chi si attarderà, perderà posizioni e occupazione. Dobbiamo costruire un nuovo modello di crescita per la nostra società e ritrovare le condizioni per lo sviluppo economico, dando speranza ai nostri giovani e certezze ai lavoratori e ai pensionati. Occorre puntare sullo sviluppo, partendo dal sociale, dai servizi alle persone e dalle produzioni strategiche. Dipende solo da tutti noi, se da questa vicenda ne usciremo meglio o peggio di prima. Insieme, giovani e anziani, dobbiamo percorrere una strada che conduca al rilancio dell’economia, che non può essere solo un’economia di mercato, ma deve essere fondata sulle capacità dei nostri giovani, sull’innovazione, la digitalizzazione e il made in Italy. Noi vogliamo fare la nostra parte. Siamo pronti a discutere con tutti.

 

In questi ultimi mesi hai proposto un Patto per il Paese. Qual è la tua idea?

La Uil ha indicato la strada di un Patto per il Paese che coinvolga le Istituzioni, i soggetti politici e le parti sociali in una sorta di rinnovata fase costituente. C’è bisogno di questo impegno collettivo per ripartire e per puntare alla crescita, governando i cambiamenti necessari, resi ancora più evidenti dalla crisi sanitaria. Il Paese va ridisegnato. Noi crediamo che occorra perseguire questo obiettivo, tutti insieme, se vogliamo uscire dal baratro in cui la pandemia ci ha fatto precipitare. Qualunque altra proposta sarebbe riduttiva. Dobbiamo avere un’idea sul progetto di Paese che vogliamo realizzare, nella sua struttura essenziale e complessiva. Noi temiamo che molte imprese non ce la facciano a superare questa crisi: c’è il rischio che tante attività spariscano e che, con esse, troppi lavoratori possano perdere il proprio posto. Il lavoro nero potrebbe aumentare e i salari, insieme ai diritti, diminuire. In particolare le donne, da questa emergenza, potrebbero uscirne più povere. Bisogna evitare che tutto ciò accada.

 

In uno degli ultimi Esecutivi della Uil, svoltosi in videoconferenza, la tua idea è stata condivisa da tutti. In quella circostanza, hai chiesto anche un impegno specifico su questo fronte…

Sì, ho chiesto alle categorie, in particolare a quelle dell’industria e dei servizi, di predisporre uno studio per capire su quali attività produttive potrà fondarsi e prosperare una nuova economia, che valorizzi il lavoro e crei benessere. L’auspicio è che anche tutte le Associazioni imprenditoriali possano condividere questo percorso, a cominciare dalla ‘nuova’ Confindustria. Peraltro, noi chiediamo che non si abbia a riferimento il solo profitto. La sanità, i trasporti, la scuola e le stesse pensioni non possono essere condizionati da logiche di mercato. E poi, una volta per tutte, bisognerà dire basta al potere limitante della burocrazia, valorizzando piuttosto il lavoro pubblico. Né le nostre scelte dovranno dipendere dalle ideologie. Il Mes senza condizioni, ad esempio, dovrà essere accettato, perché mai riusciremo ad avere a disposizione 36 miliardi per ristrutturare, con efficacia, un settore fondamentale per la nostra esistenza come quello della sanità.

 

A proposito di Confindustria, a maggio c’è stata anche l’elezione del nuovo Presidente, Carlo Bonomi. I vertici dell’Associazione di viale dell’Astronomia hanno lasciato intendere che punterebbero a una revisione del sistema contrattuale. Qual è la tua opinione?

La migliore risposta all’ipotesi di riforma del sistema contrattuale prospettata dal neo Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, è rappresentata dai contratti che abbiamo sottoscritto in quest’ultimo periodo. Penso, in particolare, a quello del settore alimentare che, però, guarda caso, non è stato condiviso proprio dalla Federalimentare. In sostanza, credo che sia più utile concentrarsi sul rinnovo dei contratti, molti già scaduti, altri in scadenza. E questo vale per tutti i settori, a cominciare dal pubblico impiego. Piuttosto, ci sono altri problemi che andrebbero affrontati, come ad esempio quello di una più puntuale regolamentazione dello smart working, strumento rivelatosi efficacissimo in questa fase critica, e quello della riduzione dell’orario di lavoro nelle realtà in cui il consolidamento dell’innovazione tecnologica sta determinando il rischio di un ridimensionamento della base occupazionale. In questi casi, piuttosto che fare cassa integrazione o addirittura licenziare, noi abbiamo proposto che si redistribuisca l’orario tra tutti i lavoratori coinvolti, a parità di salario o, nel caso di aumento della produttività, con un incremento dello stesso salario.

 

Per concludere e tornando alla proposta di un Patto per il Paese, possiamo dire che il nuovo modello di sviluppo non potrà essere la fotografia di quello vecchio, troppo timido e ancorato a prudenziali logiche di austerità. È così?

Esatto. I lavoratori dipendenti e i pensionati hanno già fatto i loro sacrifici e l’economia nel suo insieme non ne ha tratto alcun vantaggio. In questo quadro, proprio per evitare gli errori del passato, il punto di partenza dovrà essere una riforma fiscale, la madre di tutte le riforme, capace di redistribuire la ricchezza, in coerenza con un progetto di rilancio alla base del Patto per il Paese. La nostra economia sconta la più alta evasione a livello europeo, oltre 110 miliardi annui. Al contempo, il carico fiscale più alto ricade sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati che, insieme, contribuiscono a versare all’erario, secondo i dati Mef sulle dichiarazioni 2019, il 95% del gettito netto IRPEF. Noi sosteniamo che il costo della crisi non possa essere pagata sempre dagli stessi contribuenti. In estrema sintesi, ci impegniamo a proporre le linee essenziali di un manifesto per dare un contributo a risolvere i problemi dell’Italia e a garantire equità sociale e sviluppo, in un contesto di autentica democrazia. Per trovare soluzioni, conta ciò che scaturirà dal dialogo e dal confronto con tutte le parti sociali, le forze politiche e le Istituzioni. La Uil è pronta ad avviare questo percorso.

 

Antonio Passaro

Carmelo Barbagallo

Segretario generale UIL




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