Claude Monet
FEBBRAIO 2018
Cultura
Claude Monet
di   Maria Dolores Picciau

 

 

E' uno dei pochi pittori che sappia dipingere senza stucchevoli trasparenze, senza riflessi menzogneri. In lui l’acqua è viva, profonda, soprattutto vera!”. Così Emile Zola nel 1878 celebrava il pittore Claude Monet (1840- 1926), che pochi anni prima con l’opera Impressione, sole nascente e la nascita del movimento impressionista avrebbe rivoluzionato la storia dell’arte. A rendere conto di tutta la sua produzione e di quella felice stagione pittorica è una grande mostra dal titolo Monet, curata da Marianne Mathieu e visitabile sino al 3 giugno al Vittoriano di Roma. Sessanta opere provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi che percorrono il lungo itinerario artistico del pittore francese.  Dagli esordi in cui si firma ancora Oscar e dimostra una grande inclinazione per la caricatura, alla virata verso soluzioni anticonformiste, che faranno storcere il naso ai puristi dell’Accademia ufficiale.
 
A seguire le sue orme è una nutrita compagine d’iconoclasti Manet, Renoir, Degas, tra gli altri. Gli impressionisti appunto, decisi a superare le secche stagnanti del Realismo imperante.  Alla pittura in studio e su cavalletto Monet antepone il bisogno di dipingere all’aria aperta “en plein air” davanti al mare, nei boschi, sulle rive della Senna. E più che al soggetto è interessato a catturare la luce, l’aria che gioca tra gli alberi, il movimento delle foglie, le variazioni atmosferiche a seconda dell’ora. Ha l’abitudine di rappresentare lo stesso soggetto in più momenti del giorno, alba, crepuscolo, tramonto. Complici la macchina fotografica e la diffusione delle stampe giapponesi, Monet arriverà persino a dissolvere la forma, ad abolire la prospettiva, a disporre sulla tela il colore a piccoli tocchi. Alle epopee storiche o ai temi sul lavoro del Realismo europeo rivendica la riscoperta della pittura di paesaggio, il rifiuto alle convenzioni, l’esalta zione del colore sul disegno, i rapidi colpi di spatola piuttosto che ampie pennellate di colore.
 
Così nei quadri esposti al Vittoriano, l’artista dipinge i paesaggi rurali e urbani di Londra, le caricature fatte agli amici, i salici piangenti, le ninfee, i ponti, ma anche i covoni e i pioppi, le chiatte e le barche. Deriso al Salon ufficiale dove spesso le sue opere venivano scartate, dovrà affrontare insuccessi, fallimenti, dissesti finanziari. Al turbinio cittadino preferisce rifugiarsi nelle campagne silenziose, nelle rive dei fiumi, nei giardini, che ormai dipinge con virgole serrate, i contorni sfumati con la luce abbagliante. In Il treno nella neve. La locomotiva del 1875 avvolge il soggetto in un pulviscolo quasi irreale, mentre La Senna a Porta Ville. Effetto rosa è un tributo al pittore inglese Turner. C’è la stagione londinese con le vedute del Parlamento che osserva da un ospizio sulla riva opposta del fiume. Spesso lo rappresenta scuro, immerso nella nebbia, avvolto nel mistero. Ancora la nebbia sul Tamigi, le cinquanta cattedrali. “Ahimè – scrive – non posso che ripetere questo: più vado avanti, meno riesco a rendere ciò che sento e lavoro continuamente senza progredire, cercando, tentennando, senza ottenere un granché”. Spesso questi soggetti diventano un pretesto per rappresentare l’atmosfera, interessato com’è a studiare le variazioni temporali e climatiche.
 
Perché l’arte per Monet è espressione di vita in tutte le sue forme e a tutti i livelli, e il suo unico scopo è quello di riprodurre la natura portandola al massimo grado di potenza e intensità. Ci sono i viaggi e le numerose dimore. Dalla Norvegia dove si reca nel 1895 scrive un messaggio all’amico Geffroy: “oggi ho dipinto buona parte della giornata, sotto la neve che cade senza posa; avreste riso nel vedermi completamente bianco, con la barba piena di ghiaccioli a stalattite”.
 
Anche con l’avanzare dell’età e i problemi di cecità continua a dipingere. Nel 1914 nel nuovo atelier di Giverny tesse disporre enormi tele in ovale, così può lavorare a memoria e su schizzi. Le ninfee in vecchiaia diverranno la sua ossessione. Le distrugge, poi ricomincia. “Non dormo più per colpa loro”. Le rappresenta sullo stagno, le circonda di alberi, le raffigura sotto un ponte di legno. Un tormento che lo divora. Nel 1902 dipinge quarantotto paesaggi d’acqua, che rappresentano lo stesso scorcio vegetale. “Ho di nuovo ripreso cose impossibili da fare: dell’acqua con erba che ondeggia sul fondo, è stupendo da vedere, ma è pura follia volerlo fare”. Mentre in Europa si arresta la furia bellica, muoiono i pittori Klimt e Schiele. Afflitto dai lutti famigliari, quasi cieco, le sue condizioni di salute peggiorano. È il 1926 quando Monet spira a Giverny nel letto della sua ultima dimora. Fa freddo e accanto a lui un testamento “ho il solo merito di aver dipinto direttamente di fronte alla natura”. 
 
 
 
 
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