Il nuovo contratto Istruzione e Ricerca.
FEBBRAIO 2018
Attualità
Il nuovo contratto Istruzione e Ricerca.
di   Antonio Foccillo

 

 

Si è avviata finalmente la fase dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego, dopo che gli ultimi furono firmati nel lontano 2008. Si ripristina così un diritto che è di tutti i lavoratori, anche nel settore pubblico tanto importante per le sue funzioni ma tanto bistratto. Quello che preoccupa è che chi oggi continua a sostenere che questi contratti sono solo mance elettorali non ha mai protestato nel corso di un decennio in cui si è negata la possibilità di incrementare il potere di acquisto di questi lavoratori. Il CCNL dell’Istruzione e Ricerca, firmato venerdì 9 febbraio 2018, è stato tutt’altro che un atto scontato o come millanta qualcuno, chi per un motivo chi per un altro, una regalia elettorale. Questo contratto non è frutto di scelte politiche dell’ultimo minuto figlie di una vicina campagna elettorale, ma è il risultato di un lungo percorso di impegno e concertazione che ha visto coinvolti fattivamente i sindacati confederali e di categoria. Per capirlo bisogna guardarsi indietro, ricordare da dove si è partiti, quanto è stato fatto fin prima dell’accordo del 30 novembre 2016 e in quali condizioni ci si è mossi per arrivare alla firma.
 
Sul piano economico, non si poteva certamente recuperare il gap dei nostri operatori dell’istruzione e della ricerca ma si sono utilizzate tutte le risorse disponibili previste dalle leggi di stabilità ed in più abbiamo portato a contrattazione anche le risorse di una legge, ritenuta dagli operatori della scuola, sbagliata, come testimoniato da uno dei più grandi scioperi mai avvenuti in questo settore. E lo abbiamo fatto spostandole dalla possibile scelta clientelare e monocratica di un singolo alla contrattazione, dove verranno stabiliti criteri oggettivi e di trasparenza. Inoltre, avendo ripristinato la triennalità dei contratti si è prospettato un processo che in fasi successive potrà portare al recupero di ulteriori risorse. L’invasione normativa nelle competenze contrattuali, della legge Brunetta prima e della c.d. Buona Scuola – per l’ex comparto Scuola – poi, ha fatto sì che le relazioni sindacali si riducessero alla sola informazione, legittimando e favorendo l’unilateralità delle amministrazioni nella regolamentazione del rapporto di lavoro.
 
Il ripristino di relazioni sindacali piene e soprattutto a livello di singolo istituto o ente, con un nuovo modello di strumenti di partecipazione rispettoso delle singole specificità del nuovo comparto Istruzione e Ricerca, permette, al contrario, di mettere un freno anche a possibili processi di autoreferenzialità o di decisionismo, come quelli previsti nella norma che nella scuola ha aperto le strade al principio dell’uomo solo al comando. Invece, si ripristinano la collegialità e la partecipazione di tutti i protagonisti del pianeta istruzione e ricerca, rafforzando anche il ruolo delle Rsu, riconoscendone la funzione originale e rilanciandone la capacità di regolamentazione nei luoghi di lavoro. In questi anni di mancato rapporto fra amministrazioni e sindacati le cose sono peggiorate, mentre oggi si conferma che tutti i processi di cambiamento in positivo possono essere affrontati con risultati ottimali solo quando gli operatori interessati ne sono pienamente coinvolti. Le opposizioni demagogicamente, prima e dopo la firma, hanno enfatizzato presunte innovazioni normative che avrebbero ridotto i diritti, invece, usando una tecnica redazionale nuova abbiamo mantenuto il vecchio contratto con le sue norme, integrandolo e modificandolo con nuovi contenuti che erano in contrasto con i cambiamenti.
 
E, infatti, un ulteriore pregio di questo contratto, poi, è quello di riaver riacquisito quelle tutele previste nei precedenti contratti per i lavoratori ed anzi in alcuni casi averle ampliate. Sono state introdotte, infatti, una serie di norme di “civiltà” come, per citarne alcune, quelle sulle ferie solidali, sulle unioni civili e sulle assenze per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici. Altro elemento di rilievo è l’aver salvaguardato la libertà d’insegnamento rinviando la regolamentazione delle norme disciplinari a una sequenza contrattuale, proprio per valutare con molta attenzione come tenere insieme l’esigenza di punire eventuali reati con il diritto dei lavoratori a che queste norme non incorrano in scelte senza motivazione oggettiva e che pertanto non ledano la libertà d’insegnamento. Il tutto nel quadro del nuovo assetto dei comparti che ha portato, in questo caso, a mettere insieme più di un milione e duecento lavoratori degli ex comparti scuola, università, enti di ricerca, afam e agenzia spaziale italiana. Un bacino consistente di addetti che ha richiesto un grande lavoro per salvaguardare le singole specificità degli ex settori e che quindi ha reso ancora più complicate le trattative di questi mesi.
 
Non sottoscrivere questo contratto avrebbe sconfessato tutto quello che abbiamo fatto in questi due anni per arrivare proprio a questa firma. Avremmo perso un’altra triennalità e non avremmo ristorato ancora dopo anni le retribuzioni dei nostri lavoratori della P.A. e a chi dice che sono pochi rispondiamo che a condizioni date abbiamo ottenuto il massimo di quanto possibile anche nella consapevolezza che questo contratto scadrà il prossimo dicembre e si dovranno subito riavviare le trattative per i rinnovi del prossimo triennio. Ancora una volta, anche con questo contratto, vogliamo rivendicare maggiore attenzione dalla politica perché riteniamo che questi settori pubblici, per l’importanza e la qualità che rivestono, permettendo pari opportunità per tutti i cittadini e, nello stesso tempo, crescita e sviluppo dei talenti, hanno bisogno di investimenti per riaffermare la loro centralità nella nostra società. Non era certo il contratto che poteva dare una svolta alla necessità di investire risorse in un comparto che è essenziale per l’economia ma almeno ha cercato di ridare dignità a chi ci lavora, che era stato da anni abbandonato al proprio destino.
 
Rappresenta, però, un segnale anche per il prossimo Governo, affinché cambi impostazione nelle sue scelte e punti su questo importante settore per rilanciare una sicura, e forse unica, ricchezza del nostro Paese: quella della conoscenza e dei cervelli, da noi bistrattati e all’estero cercati, finanziati e ben pagati. Infine, il rilancio dell’economia passa anche sull’innovazione che la ricerca pubblica può contribuire enormemente a sviluppare nel nostro Paese.
 
 
 
 
Potrebbe anche interessarti: