Pernigotti, cogliamo l´occasione per cambiare le regole del gioco e tutelareveramente il Made in Italy
NOVEMBRE 2018
Sindacale
Pernigotti, cogliamo l´occasione per cambiare le regole del gioco e tutelareveramente il Made in Italy
di   Stefano Mantegazza

 

 

ll gianduiotto Pernigotti che, per circa 160 anni, è stato uno dei simboli più autentici del Made in Italy, oggi rischia di diventare l’emblema della svendita di alcuni tra i nostri marchi più importanti. Da molti anni ormai società estere acquisiscono i nostri brand ma, in molti casi, invece di rilanciarli, ne sfruttano tradizione e visibilità per poi chiudere gli stabilimenti e produrre altrove un prodotto che di Made in Italy non ha più nulla. Eppure da questo caso possiamo coglie re l’occasione per cambiare le regole del gioco e tutelare veramente i gioielli del Made in Italy. La notizia della chiusura della Pernigotti è arrivata come una doccia fredda. Lo storico marchio esistente dal 1860, come noto, era stato ceduto, nel 2013, dagli Averna ai turchi Toksoz e, negli ultimi anni, l’azienda ha accumulato parecchio debito senza fare mai investimenti e spostando circa il 60% della produzione in Turchia.
 
Tuttavia, il 6 Novembre scorso non ci si aspettava che, nell’incontro presso la Confindustria di Alessandria, la proprietà comunicasse la chiusura dello stabilimento di Novi Ligure (Al). A rischio ci sono 250 lavoratori circa, 100 dipendenti e 150 interinali e stagionali. La proprietà turca intende spostare la produzione in Turchia o affidarla a non meglio identificati “terzisti” italiani. Di fatto il marchio continuerebbe ad esistere solo a fini commerciali e, paradossalmente, mentre la Pernigotti chiude e i mastri cioccolatai vengono licenziati, i suoi cioccolatini continuerebbero comunque ad imbandire le tavole. Un’offesa alla storia della nostra industria alimentare e una sorta di truffa nei confronti dei consumatori che dietro al packaging della Pernigotti non troveranno più la qualità, la storia e la sicurezza che ne hanno da sempre caratterizzato la tradizione. Oltre al danno, dunque, anche la beffa. Non solo i lavoratori verrebbero danneggiati, ma anche i consumatori. La Uila è in prima linea per salvare i lavoratori e il marchio. 
 
Stiamo conducendo una vera e propria battaglia a tutti i livelli per evitare la chiusura dell’azienda perché non possiamo permettere che 160 anni di storia del Made in Italy vengano cancellati con un colpo di spugna. Abbiamo appoggiato i lavoratori che, da subito, si sono mobilitati e dal 7 Novembre sono in assemblea permanente nello stabilimento di Novi Ligure. Gli impianti sono fermi e loro, che non si danno per vinti, non lasciano l’azienda nonostante le intimazioni della proprietà. Mi sono personalmente recato allo stabilimento di Novi Ligure per incontrare i dipendenti e sono intervenuto al Consiglio Comunale, dove centinaia di cittadini e lavoratori hanno partecipato per dire “no” alla chiusura. Abbiamo organizzato i pullman per far venire i lavoratori a Roma e presidiare il Ministero dello Sviluppo Economico durante il tavolo tra il vicepremier Luigi Di Maio, i sindacati e l’azienda. Al Governo, abbiamo chiesto la cassa integrazione per riorganizzazione a 24 mesi per tutti i lavoratori e più tempo necessario a trovare un investitore interessato al rilancio della Pernigotti. Ma tutto questo non basta. Oltre a trovare le soluzioni migliori per salvaguardare l’occupazione, riteniamo necessario che venga definita una nuova normativa a tutela dei nostri marchi storici, che oltre a far emergere in etichetta il luogo di origine e produzione, vieti l’utilizzo dei marchi dell’agroalimentare italiano per operazioni commerciali che manomettono la qualità del Made in Italy nel mondo. Una soluzione che Di Maio sembra aver accolto.
 
Dal tavolo al Mise, infatti, è emersa da un lato la volontà del vicepremier di trovare una soluzione concreta per salvare i lavoratori e, dall’altra, quella di intervenire con una legge per evitare che i marchi agroalimentari siano separati dai territori e dai lavoratori. Di Maio ha promesso che entro la fine dell’anno sarà varata una norma che lega per sempre i marchi al loro territorio perché ha detto “non è accettabile che si venga in Italia, si prenda un’azienda come la Pernigotti, si acquisisca il marchio poi si cambiano 5 manager in 5 anni e poi si dica scusate le cose non vanno bene ci teniamo il marchio e molliamo la gente. Questa non è la nostra idea di Paese”. Ecco il punto è proprio questo. Nella nostra idea di Paese il Made in Italy va tutelato e non svenduto. Quando parliamo di tutela dell’italianità dobbiamo intervenire a 360° dalla produzione alla difesa del lavoro, alla valorizzazione del territorio, per evitare che in futuro nomi storici del Made in Italy vengano utilizzati solo a fini commerciali, perpetrando furbizie come questa che stiamo vivendo e come è accaduto con molte altre aziende alimentari. È arrivato il momento di dire basta a operazioni commerciali che, dall’olio alle conserve di pomodoro, dai salumi ai dolci, si limitano a sfruttare il richiamo all’italianità per rifilare ai consumatori prodotti che di italiano hanno solo nome e packaging e non la storia, la qualità e la sicurezza che caratterizzano la nostra tradizione alimentare. Quella della Pernigotti è sola l’ultima, in ordine di tempo, delle crisi di aziende alimentari che ci troviamo ad affrontare. Ce ne sono altre, come quella del caffè Hag e Splendid, marchi anch’essi espressione del Made in Italy, alle quali occorre dare delle risposte. Ecco perché il dramma della Pernigotti deve diventare per il governo italiano l’occasione per cambiare le regole del gioco evitando che, oltre ai licenziamenti, si consumi l’ennesima truffa ai danni dei consumatori di tutto il mondo.
 
 
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