Il Generale Agosto ha messo 
in crisi un Governo
LUGLIO 2019
Il Fatto
Il Generale Agosto ha messo in crisi un Governo
di   Antonio Foccillo

 

 

Nella nostra società avanza sempre più un’ingiustizia diffusa che determina come conseguenza un egoismo ed un individualismo esasperato, oltre ad un’invidia verso gli altri. Gli slogan, le offese all’avversario, i social che determinano spesso odio, non fanno che affermare la pochezza della capacità di dibattito e soprattutto la mancanza di cultura.

 

Ancora di più in quest’ultima fase si è assistito a un preoccupante scontro all’interno del governo cheha evidenziato come oggi la politica stia diventando esclusivamente scontro di potere, causando ulteriori traumatiche spaccature sociali. Pochi giorni fa Rino Formica in un’intervista, nell’analizzare il momento critico della nostra democrazia, con un governo in cui un Ministro si sostituiva al Presidente del Consiglio facendo venir meno anche le regole costituzionali e soprattutto con una incapacità di rispondere alle esigenze dei cittadini, invocava pertanto un intervento alle Camere del Presidente della Repubblica proprio per rappresentare quella guida che mancava. La sua analisi finiva con una forzatura tanto da paventare una “guerra civile” se non si fosse fatto presto a risolvere le questioni politiche.

 

Egli sosteneva che “L’opinione pubblica deve essere rimotivata. Deve sapere che ha una guida morale, politica e istituzionale. Si sta creando il clima degli anni 30 intorno a Mussolini, lo dico con Nenni: stiamo all’ultima chiamata prima della guerra civile nazionalsovranista1”. La crisi però è precipitata e abbiamo assistito a una “sceneggiata” politica dove si sonosuperate tutte le regole: un Ministro che dichiara la sfiducia al Presidente del Consiglio, ma non ritira i ministri. Vuol far cadere il Governo ed andare alle elezioni dimenticandosi che il Presidente della Repubblica deve valutare se c’è una maggioranza dopo una crisi di governo per rifare un Governo e solo dopo può decidere di sciogliere le Camere. Poi accortosi del rischio di un nuovo Governo nel dibattito al Senato ritira la sfiducia. Un Presidente del Consiglio che nel suo intervento iniziale e conclusivo non fa che accusare in modo forte il suo ministro, dimenticando che fino al quel momento aveva condiviso tutte le scelte di quel ministro.

 

Non si era mai visto e come molti commentatori hanno sostenuto è la dimostrazione del degrado della politica. Al di là del politicamente corretto credo che bisogna uscire da questa situazione e per farlo diventa pressante un impegno comune affinché il confronto sia ricondotto nell’ambito e nel rispetto dei diversi ruoli istituzionali seppure nel contesto di una dialettica di contrapposizione politica. In questi anni si sono visti abbandonati molti valori costituzionali e in particolare la solidarietà e la coesione, ma soprattutto sono venuti fuori i peggiori istinti anche razzisti ed in qualche caso fascisti. Così facendo si è distrutta la cultura del dialogo e del rispetto dell’altro e si sono accentuate le difficoltà delle istituzioni, mettendone in risalto solo le inefficienze con un’opera di delegittimazione che ha determinato il venir meno di qualsiasi elemento di partecipazione democratica.

 

È stato un continuo scontro fra le diverse forze politiche, non riconoscendo alle loro avversarie lo stesso valore di rappresentanza. Il declino del proporzionale non ha permesso più quella rappresentanza pluralista dove ognuno era legittimato dal suo numero dei votanti e aveva diritto, secondo la propria rappresentatività, a rappresentare una parte della società. Infine, dato che il maggioritario presupponeva la vittoria di uno schieramento o di una forza politica, tutti gli altri sono stati considerati i peggiori nemici, così facendo si sono messe in discussione tutte le strutture di rappresentanza collettiva comprese le forze sociali. Ma la grave colpa più grande dell’attuale politica è stata quella che dietro ad una presunta voglia di cambiamento si sono logorate le Istituzioni democratiche ed ha prevalso un dilettantismo che ha violato non solo in tante occasioni le regole costituzionali ma lo stesso vivere civile. Non è più tempo di restare a guardare ma se c’è un rigurgito di buona volontà per ripristinare di nuovo un modo di fare politica nell’interesse del Paese e non di un singolo capo di Partito questo è il momento.

 

La parte sana della società deve evidenziare al Paese il comune sentire circa l’urgenza di ripristinare la Politica con la P maiuscola e porre fine alla perdurante inaffidabilità degli attuali rappresentanti delle forze politiche e quindi avanzare la richiesta di contribuire a ridefinire “regole nuove”, capaci di garantire il delicatissimo passaggio politico-istituzionale che stiamo vivendo. La riaffermazione dei valori fondanti della nostra Carta Costituzionale va tenacemente perseguita, innanzitutto nel concetto stesso di Stato di diritto, ma anche di uno Stato democratico, che assicuri un modello sociale equo e solidale, garante del pieno godimento dei diritti fondamentali. La ricerca di nuove proposte, nuove regole e una nuova politica deve essere la prospettiva per gli anni a venire. Bisogna ridare autorevolezza alle istituzioni in modo che si riaffermi la cultura della partecipazione, dell’emancipazione civile, democratica e sociale. Per far sì che si progredisca occorre intanto che ogni singolo cittadino partecipi alla vita pubblica con maggiore impegno, che reclami i propri diritti e che assolva, in prima persona, ai propri doveri.

 

Al momento in cui andiamo in stampa non sappiamo come la crisi politica finirà: se si farà un nuovo governo o se si andrà all’elezioni. Il problema da risolvere, a parer mio, non è solo questo, perché la crisi ha determinato la carenza di una Politica strategica che fa immedesimare i cittadini nelle scelte politiche. Si vota più con la pancia che con il raziocinio. Sempre meno, inoltre si va a votare, anche perché non si trova sempre il partito che ti rappresenta e, venute meno le idealità, alla fine uno vale l’altro. Sembra una maionese impazzita. Oltretutto, in questi ultimi anni, è sorta una ulteriore difficoltà, lo scontro politico ed i vari sistemi elettorali che si sono susseguiti hanno prodotto un’attenuazione della coesione sociale e della solidarietà. Infine, una sempre più forte delegittimazione degli altri partiti e delle loro scelte governative hanno generato una continua sfiducia.

 

In questa situazione, ancora una volta, il sindacato, come ha fatto in passato, può integrare la classe politica, in quanto ha una proposta di modello di società: la sua piattaforma. Essa ha contenuti che promuovono lo sviluppo, per riconoscere i bisogni primari della persona e la salvaguardia della dignità dell’individuo ma soprattutto riafferma tutti i valori costituzionali e recupera lo stato sociale che è l’elemento di coesione del modello economico, del cittadino e del lavoratore. In quella piattaforma si propongono misure economiche che individuano un nuovo modello di crescita, un forte rinnovamento che riaccenda le speranze sopite con una seria e corretta politica sociale non basata sull’assistenzialismo ma su un percorso teso verso un progetto di reale democrazia economica del sociale e del lavoro. Piattaforma che è passata al vaglio di tantissime assemblee e riunioni di organismi territoriali e nazionali e che quindi ha un consenso molto ampio dei lavoratori che sono anche cittadini. Con questa forza il sindacato l’aveva illustrata in varie occasioni al Governo, poi tutto è precipitato per effetto della crisi. Bisogna riproporla, anche in questa consultazione, per evitare che la crisi faccia precipitare tutto e determini conseguenze ancora più nefaste dal punto di vista economico. Il sindacato, con questa piattaforma, ha dimostrato di avere capacità di analisi e di proposta idonee al superamento della crisi e rappresenta, a oggi, l’unica forza rappresentativa con una progettualità tale da far uscire il Paese dalla crisi e dargli una prospettiva di futuro.

 

Esso, però, deve diventare forza trainante e non trainata in rapporto a schematicità politiche e sociali non più valide. Un progetto e un modello di società ove il ruolo del sindacato non abbia quale unica funzione il rivendicazionismo ma spazi sui grandi progetti di rilancio che possano dare certezza al futuro di tutte le componenti di una società più ordinata, più giusta, più equa. Solo in tal modo può tornare ad essere il sindacato di tutti. Quindi si riavvii il dialogo con chi vuole condividere questo percorso - che parte da lontano - si apra un ampio e franco confronto. Si dia vita ad iniziative condivise che mettano nella condizione, non solo, di fare scelte sindacali strategiche per i prossimi anni ma che pongano nella condizione di scegliere i compagni di viaggio di un progetto condiviso e sostenuto e con loro ricostruire quel grande contenitore laico e riformista, che manca - purtroppo da tempo - nel nostro panorama politico-sindacale.

 

Ci vorrebbe una consapevolezza nuova ed un’unità d’intenti. Il sindacato, le forze produttive hanno fatto un patto per rilanciare il Paese. Questa volontà unitaria deve prevalere anche nella politica. Non è più il tempo del fuggire dalle proprie responsabilità e di denigrare gli altri. Non è più il tempo delle offese, delle affermazioni altisonanti, dei cambi di idee, degli uomini forti. Tolleranza, dialogo, rispetto delle posizioni di tutti, dubbi e non certezze sulle proprie idee. Questo è quello che chiedono i cittadini e i lavoratori per ritrovare il gusto di partecipare. È arrivato il tempo di volare alto e di progettare tutti insieme il futuro di questo Paese. Sembra retorica e qualcuno può pensare che sia utopia, ma è l’unico modo per uscire dall’impasse politico, economico e sociale.

 

 

1Il Manifesto dell’8.8.2019, D. Preziosi intervista a Rino Formica, È l’ultima chiamata prima della guerra civile. Ora il Presidente parli.

 

 

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