Decreto-Legge 18 aprile 2019, n. 32
MAGGIO 2019
Sindacale
Decreto-Legge 18 aprile 2019, n. 32
di   Valutazioni CGIL, CISL, UIL

 

Son sono trascorsi neanche 4 mesi, ed ecco un nuovo intervento legislativo sul Codice degli Appalti: dopo il correttivo del 2017 (D.Lgs. n. 56), il D.L. Semplificazioni (D.L. 14 dicembre 2018, n. 135) e la Legge di Bilancio 2019 (Legge, 30 dicembre 2018, n. 145), solo per citare i più “importanti”, è comparso l’ultimo Decreto, il c.d. Sblocca Cantieri (D.L. 32 del 18 aprile 2019). In termini generali e trasversali, il Decreto si pone l’ambizioso obiettivo di eliminare tutte le Linee Guida dell’ANAC e i Decreti Ministeriali e interministeriali emanati (e non) per sostituirli con un unico Regolamento, sullo stile del precedente – e in parte ancora vigente – D.P.R. n. 207 del 2010. Nell’attesa, restano in vigore gli atti su menzionati con tutte le problematiche connesse alla loro natura giuridica. Più nel particolare delle novità introdotte, il Decreto punta prevalentemente a riformare le procedure di affidamento dei lavori, prevedendo, tra le altre cose oggetto di più attenta disamina nel seguito, la reintroduzione fino al 2021 dell’appalto integrato per tutti i progetti definitivi approvati entro il 31.12.2020 e purché il bando di gara per l’affidamento dei lavori sia pubblicato entro i successivi 12 mesi.

Inoltre, è stato modificato l’art. 23 del D.Lgs. n. 50/2016 nella parte in cui, al comma 3 bis, consente di procedere all’affidamento dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, ad esclusione degli interventi che prevedono rinnovo o sostituzione delle parti strutturali di opere e impianti, sulla base del solo progetto definitivo e a prescindere dall’importo. Nel decreto non vi è nessuna norma di accelerazione per l’utilizzazione degli investimenti, in quanto poco o niente è stato fatto per limitare i tempi dei processi autorizzativi e burocratici.

La stessa abrogazione dell’obbligo del passaggio al Cipe, per l’approvazione delle varianti alle infrastrutture strategiche previste dal vecchio piano della legge obiettivo, lungi da accelerare i tempi di realizzazione delle opere, favoriscono invece pratiche opache, discrezionali e fuori da ogni controllo preventivo da parte delle stazioni appaltanti e della stessa Pubblica amministrazione. Le modifiche al Codice degli Appalti sono la conseguenza di aver voluto definire una normativa così complessa senza aver voluto insediare quanto previsto all’art. 212 dello stesso Codice, ovvero la Cabina di Regia quale momento per analizzare ed evidenziare eventuali criticità trovando le giuste soluzioni. Ecco perché esprimiamo una posizione critica sulla decisione di modifica del Governo fatta con il presente Decreto-Legge. Come esposto nell’audizione dello scorso 13 febbraio u.s., rimaniamo convinti che solo con un lavoro comune che raccolga le osservazioni (reali) accompagnate dalle opportune soluzioni, sarebbe stato sicuramente utile per non incorrere negli stessi errori sopra citati. Inoltre, i dati in nostro possesso, e pubblicati anche nei maggiori quotidiani specialistici del settore, sottolineano come continua il trend positivo della progettazione; la difficoltà è mettere a bando i lavori ma bensì avere la conoscenza dei contenuti del Codice, tuttora strumento utile per garantire trasparenza e legalità negli appalti. Inoltre, la costituzione di una Centrale Unica degli Appalti è di dubbia utilità. Per garantire la qualità delle prestazioni professionali e la trasparenza nel processo di esecuzione delle opere pubbliche, è indispensabile puntare ad una chiara ed evidente distinzione tra controllori e controllati, riservando ai liberi professionisti e alle società di ingegneria la progettazione, ed ai pubblici dipendenti il controllo del processo di esecuzione delle opere pubbliche, dalla programmazione al collaudo. Non va poi dimenticato che le norme che, nel passato, hanno tentato di invertire i ruoli, affidando la progettazione interna alle stazioni appaltanti ed attribuendo, contestualmente, ai liberi professionisti e alle società di ingegneria, competenze in materia di verifica dei progetti, hanno puntualmente fallito, alimentando varianti in corso d’opera, contenziosi ed incompiute.

Ecco perché Cgil, Cisl, Uil, sono contrarie ad uno strumento pubblico, facilmente gestibile dalla politica, che non assicurerà la qualità delle prestazioni professionali, garantite dalla concorrenza e dal mercato. Inoltre, le modifiche al Codice, dal punto di vista della tempistica non avranno nessun impatto immediato sulle opere bloccate, in quanto interesseranno esclusivamente i nuovi bandi di gara i cui effetti ci saranno, nella migliore delle ipotesi, tra quattro, cinque anni. Occorre poi sottolineare, che dopo una discussione di alcuni mesi, non esiste allo stato attuale l’elenco delle opere su cui appuntare le attenzioni per una effettiva ed immediata cantierizzazione dei lavori; allo stato vengono solo pericolosamente aumentati i poteri dei Commissari Straordinari i quali possono operare in deroga al Codice degli Appalti, ripristinando, di fatto, una procedura straordinaria.

In particolare viene ripristinato il criterio del massimo ribasso fino alla soglia di 5.500.000, che fu una delle cause essenziali nel determinare i processi degenerativi del sistema degli appalti in Italia, marginalizzando il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata dalle stesse direttive europee come uno degli elementi qualitativamente centrali della riforma degli appalti pubblici. Si accrescono i livelli di discrezionalità elevando fino a 200.000 euro la procedura negoziate senza bando di gara, limitando la consultazione di soli tre operatori economici per i lavori.

Viene elevata la soglia del subappalto ben oltre il 50%, anche per effetto della modifica dell’articolo 47 comma 2, relativa all’affidamento dei lavori ai consorzi stabili non considerati subappalti; viene abrogata la obbligatorietà della indicazione della terna in fase di gara per le gare sopra la soglia comunitaria; è cancellata la norma di prevenzione relativamente alle categorie di lavori più esposte ad infiltrazione di mafia; si favorisce, attraverso la soppressione della norma che stabiliva che l’affidatario del subappalto non avesse partecipato alla procedura per l’affidamento dell’appalto, il ripristino di veri e propri “cartelli” per la spartizione degli appalti, Si ritorna, di fatto, alla progettazione di massima in luogo della progettazione esecutiva, ripristinando la non qualità e centralità del progetto e favorendo in questo modo il ricrearsi di vecchie prassi che rendessero più agevole l’apertura di contenziosi e attraverso le varianti in corso d’opera con la lievitazione dei costi finali, il recupero spregiudicato del ribasso operato e l’allungamento sine die dei tempi di realizzazione.

Si smantella il ruolo e la funzione dell’Autorità Anticorruzione come elemento caratterizzante di regolazione indirizzo e prevenzione per quanto concerne il contrasto alla corruzione e all’infiltrazione delle mafie negli appalti. Non si interviene efficacemente per la riduzione delle stazioni appaltanti, veri e propri piccoli feudi discrezionali, ne si procede ad una loro qualificazione in quanto strumenti essenziali per garantire un maggior controllo e una maggiore qualità dei procedimenti in riferimento alla programmazione, alla progettazione, nella costruzione dei bandi di gara e nella fase esecutiva dei contratti.

Un aspetto di grande delicatezza e complessità è rappresentato dalla reintroduzione del regolamento attuativo i cui tempi di approvazione allo stato sono praticamente inesistenti. E in questo caso con un sistema normativo incompleto, senza linee guida e di fatto senza il nuovo regolamento attuativo, si aprirebbe una fase pericolosa di precarietà della norma che determinerebbe, questo si, il blocco del sistema degli appalti pubblici, in mancanza, appunto, di una organicità e sistematicità dell’indirizzo legislativo.

 

 

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