Il decalogo della distrazione
MAGGIO 2019
Il fatto
Il decalogo della distrazione
di   Antonio Foccillo

 

Le elezioni Europee sono passate ed hanno mandato dei segnali abbastanza importanti. La partecipazione al voto è stata maggiore in quasi tutti gli Stati europei, tranne l’Italia. L’aumento dei votanti dimostra che i cittadini erano consapevoli dei rischi che l’astensionismo avrebbe potuto determinare. Difatti queste elezioni sarebbero potute essere uno spartiacque fra progressisti e nazionalisti e, di conseguenza, avrebbero potuto determinare una svolta, nel senso dell’abbandono di questo processo e con l’avvento dei sovranisti. Si può desumere, quindi, che sono stati sconfitti coloro i quali sostenevano che l’attuale modello di Unione Europea era superato. Anche la composizione del Parlamento, con la nuova distribuzione dei seggi, ha riconosciuto la maggioranza delle forze più progressiste, confermando così l’idea del necessario rafforzamento dell’Europa. Pertanto la lezione che viene da questi risultati è che si potrà continuare ma sul piano istituzionale, delle regole e delle scelte di politica economica si deve cambiare passo, altrimenti quella idea sovranista e nazionalista alla prossima tornata rischierà di vincere.

Noi più volte, come Uil, abbiamo sostenuto: l’abbandono della politica di austerity che tanti danni ha fatto; la necessità di investimenti fuori dai parametri; la riscrittura di una Costituzione reale che definisse i valori dello stare insieme; la modifica dei trattati; la carta sociale ed un governo vero, eletto dai cittadini. Perché solo così, ossia tramite la sua elezione, un governo è in grado di tutelare il riconoscimento dei diritti di tutti i cittadini e di evitare il dumping sociale. Adesso ci siamo, tutti i nodi sono venuti al pettine ed è ancora più impellente cominciare a discutere di un nuovo progetto, perché siamo convinti che ci sia bisogno, per dirla con uno slogan, di più Europa e non meno Europa.

Venendo all’Italia, queste elezioni hanno rafforzato tutti i partiti di centrodestra, aprendo scenari a una possibile nuova instabilità politica. Bisogna avere la capacità di percepire che è necessario decidere sulla qualità della nostra democrazia e sul rapporto con l’impegno delle nuove generazioni, che non possono essere abbagliate da falsi miti né farsi travolgere da slogan che sembrano affascinanti ma che a volte nascondono disvalori che portano alla divisione, all’odio e alla violenza.

Pertanto da tutte le rappresentanze politiche e sociali deve venire una nuova iniziativa che metta al centro della discussione politica la ricerca di nuove proposte, di nuove regole e nuovi diritti, quale prospettiva per gli anni a venire. Si devono rilanciare valori e solidarietà, coesione e certezze.

Troppi, in questi anni, hanno lavorato per distruggere la cultura del dialogo e del rispetto dell’altro ed hanno accentuato le difficoltà delle istituzioni, mettendone in risalto soltanto gli errori e, così facendo, hanno delegittimato i rappresentanti delle istituzioni stesse e qualsiasi elemento di partecipazione democratica.

Tempo fa su alcuni mass media e social girava, proprio per testimoniare l’influenza che viene operata da una informazione distorta, un decalogo della strategia di manipolazione mediatica. Questo testo è stato attribuito impropriamente a Noam Chomsky ma in realtà non è stato elaborato da lui, ma ricavato da alcuni suoi scritti sul tema della manipolazione di massa (come lui stesso disse in qualche occasione). Al di là dell’autore una riflessione è utile per capire come si sono succeduti certi eventi che hanno prodotto una delegittimazione complessiva. Esso era così era strutturato:

 

1. la strategia della distrazione: consiste nel distogliere l’attenzione pubblica dai problemi importanti e dai cambiamenti determinati dalle élite politiche ed economiche, mediante la tecnica dell’inondazione di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire che l’interesse pubblico si concentri sulle conoscenze essenziali riguardanti la scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. “Mantenere l’attenzione del pubblico deviata dai reali problemi sociali, accattivandola con temi senza un’importanza reale. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare; di nuovo in fattoria con gli altri animali (dal testo Silent weapons for quiet wars – Armi silenziose per guerre tranquille);

 

2. creare problemi e successivamente offrirne le soluzioni: questo metodo è anche chiamato “problema-reazione-soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che preveda una reazione nel pubblico, affinché questo diventi il richiedente stesso dei dispositivi che si vuole far accettare. Per esempio: creare una crisi economica per accettare come un male necessario l’arretramento dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici;

 

3. la strategia della gradualità: per fare in modo che si accetti una notizia inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per anni consecutivi. Questo è il modo con cui condizioni socio-economiche radicalmente nuove (neoliberismo) sono state imposte negli anni 80 e 90: lo stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantiscono un reddito dignitoso. Sono tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione, se fossero stati applicati tutti in una sola volta;

 

4. la strategia del differire: un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quello di presentarla come “dolorosa e necessaria”, guadagnando il consenso dell’opinione pubblica, sul momento, per la sua futura applicazione. È più facile accettare infatti un sacrificio futuro che uno immediato. Primo perché lo sforzo richiesto è differito, poi, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrà essere evitato. In questo modo il pubblico ha più tempo per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarla con rassegnazione, quando sarà il momento;

 

5. rivolgersi al pubblico come a dei bambini: la maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico utilizza discorsi, argomenti, personaggi ed intonazioni particolarmente infantili, incarnanti la debolezza, come se lo spettatore fosse un bambino piccolo o un deficiente mentale. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, più si tende ad adottare un tono infantilizzato. Perché? “Se uno si rivolge ad una persona, come se avesse 12 anni o meno, poi, a causa della suggestione, questo tenderà con una certa probabilità ad una risposta o reazione priva di un senso critico, come una persona di 12 anni o più giovane” (ibidem Armi silenziose per guerre tranquille);

 

6. utilizzare l’aspetto emozionale, molto più che la riflessione: sfruttare l’aspetto emozionale è una tecnica classica per provocare un corto circuito nell’analisi razionale e nel senso critico dell’individuo;

 

7. tenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità: fare in modo che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie e metodi utilizzati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che il divario di ignoranza tra le classi inferiori e classi superiori resti impossibile da colmare per le classi inferiori” (ibidem);

 

8. incoraggiare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità: promuovere l’idea che sia di moda essere stupidi, volgari ed ignoranti. “Spingere il pubblico a ritenere che è la cosa più comune essere mediocri e volare basso”;

 

9. il senso di colpa: far credere all’individuo di essere il solo colpevole della propria disgrazia, perché poco intelligente, poco capace o perché non si è sforzato a sufficienza. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si svaluta e si incolpa, generando uno stato depressivo, ottenendo come effetto l’inibizione della sua azione. E, senza azione, non c’è rivoluzione!

 

10. Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano: negli ultimi 50 anni, rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute ed utilizzate dalle élite dominanti. Il sistema ha raggiunto una migliore conoscenza dell’individuo comune, più di quella che possiede lui stesso. Ciò significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un maggiore controllo e un grande potere sugli individui, più grande di quelli che gli individui esercitano su se stessi.

 

Leggendolo con attenzione si può, ognuno autonomamente, valutare quante di queste cose sono avvenute e come hanno cambiato il nostro modo di pensare e come hanno influito sulla nostra partecipazione democratica.

Allora se vogliamo uscire da questa “morta gora” la parte sana della società deve evidenziare al Paese il comune sentire circa l’urgenza di porre fine alla perdurante delegittimazione di ogni forma di democrazia partecipata diffusa e quindi avanzare la richiesta di contribuire a ridefinire “regole nuove”, capaci di garantire il delicatissimo passaggio politico-istituzionale che stiamo vivendo e soprattutto l’affermazione di valori ancora condivisi. Non v’è dubbio che tale svolta, richiederà un complesso sistema di regole, capaci di rendere più trasparenti e controllati i vari poteri, assicurando una serie di contrappesi di garanzia delle minoranze e dei soggetti più deboli. Bisogna avere la volontà di comprendere meglio la società nella quale operiamo, di scandagliare più a fondo una realtà nuova che avanza e dobbiamo tutti insieme contribuire ad organizzarla secondo una scala di valori e di possibilità coerenti con i nostri ideali.

Bisogna ridare alle istituzioni la loro autorevolezza in modo che, ancor prima che con le norme, possano divulgare la cultura della legalità, della partecipazione, della emancipazione civile, democratica e sociale.

Bisogna esser capaci di proporre “un patto per il progresso e la legalità” tra soggetti autonomi, portatori di interessi diversi e con gradi diversi di responsabilità istituzionale, culturale e sociale, ma tutti uniti contro il rischio di imbarbarimento della convivenza civile in tutte le sue sfaccettature. Il sindacato, anche in questo frangente, ancora una volta è chiamato a fare la sua parte e deve farla.

 

 

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