Il Governo ha voluto riconoscere dignità e centralità ad un settore fondamentale per il nostro Paese.
FEBBRAIO 2018
Intervista
Il Governo ha voluto riconoscere dignità e centralità ad un settore fondamentale per il nostro Paese.
di   Antonio Foccillo

 

 

Dopo dieci anni si è rinnovato il contratto della scuola: quali sono a suo parere gli aspetti più importanti?
 
«Intanto, la prima cosa importante è il fatto stesso, come giustamente ha ricordato, che dopo dieci anni di mancati rinnovi sia stato sottoscritto il contratto. Il secondo aspetto importante è che quello siglato il 9 febbraio scorso è il primo contratto collettivo nazionale di lavoro per il neonato comparto ‘Istruzione e Ricerca’, che riguarda 1,2 milioni di lavoratrici e lavoratori che finora rientravano in cinque contratti distinti: della Scuola, dell’Università, della Ricerca, dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica e dell’Agenzia spaziale italiana. Questa non è una pura formalità. E a nessuno può sfuggire che ora, proprio grazie a questa firma, vengono riconosciuti alle lavoratrici e ai lavoratori di questo settore maggiori risorse economiche e tutele. Il nostro Governo è infatti consapevole del ruolo fondamentale che svolgono le nostre e i nostri docenti. E ha fatto una scelta politica importante, che è conseguente e coerente con questa consapevolezza. Non a caso per la prima volta, sottolineo anche, il contratto riconosce la scuola quale comunità educante, di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, ispirata ai valori democratici e alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. Vengono regolate la parte normativa del rapporto di lavoro e le relazioni sindacali, intervenendo sui relativi strumenti. Questo è stato deciso per consentire un corretto e proficuo confronto, per consentire alla contrattazione integrativa di finalizzare specifiche materie in tema, tra l’altro, di offerta formativa e di processi di innovazione e valorizzazione delle professionalità. Il personale docente e ATA delle scuole beneficerà non solo di miglioramenti economici per il periodo 2016-2018 ma anche di una sequenza contrattuale che servirà a studiare un nuovo modello di sviluppo professionale, adeguato ai tempi. Per i docenti, ciò potrà portare, per la prima volta, ad istituire una carriera. Entra inoltre a regime il cosiddetto ‘bonus’ dei docenti previsto dalla legge 107 del 2015 e viene data centralità all’esigenza fondamentale di garantire sempre di più il principio della continuità didattica alle ragazze e ai ragazzi. Il nuovo contratto prevede infatti che le docenti e i docenti rimangano per almeno tre anni sull’istituzione scolastica assegnata e richiesta volontariamente».
 
 
Sono state scritte, in modo demagogico, molte inesattezze: dall’aumento dei carichi di lavoro a quello dell’orario; dalla riduzione del diritto-dovere alla formazione alle scarse risorse destinate ai docenti. Può chiarirci come stanno le cose?
 
«Basta leggere il contratto per avere un quadro molto chiaro. La cui cornice, aggiungerei, è ancora più chiara: come Governo abbiamo fatto uno sforzo notevole per poter riconoscere adeguatamente, in termini sociali ed economici, la professionalità e il ruolo fondamentale ricoperto dalle e dagli insegnanti. L’intesa del 30 novembre 2016 tra Governo e Sindacati aveva previsto che gli aumenti giungessero sino ad 85 euro lordi al mese in media. Intervenendo per rendere disponibili ulteriori risorse nell’ambito di quelle accessorie, siamo riusciti ad arrivare a una cifra superiore. Per i docenti l’incremento va da 85,50 a 110,70 euro al mese e l’importo medio è di 96 euro. Per il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario l’incremento va da 80,40 sino a 105,50 euro al mese, con media di 84,50 euro. Questo, per quel che riguarda le risorse. Quanto alle altre obiezioni mosse al contratto e alla ‘inesattezza’, come giustamente dice lei sui carichi di lavoro, invito a leggere gli articoli dal 25 al 28, dai quali emerge chiaramente che è stata semplicemente e necessariamente aggiornata la disciplina del rapporto di lavoro delle e dei docenti rispetto alle novità introdotte con la legge 107. Viene riconosciuto che possono impegnarsi, oltre che nel lavoro d’aula, anche nelle attività per il potenziamento dell’offerta formativa previste per la prima volta dalla citata legge, sia quelle didattiche e di programmazione, sia quelle organizzative a supporto del dirigente scolastico. Parliamo anche delle altre affermazioni inesatte che sono state fatte nei giorni scorsi, per esempio sulla mobilità o sul principio del merito venuto meno. Per quanto riguarda il primo punto faccio solo notare che nell’anno scolastico 2017-2018 il personale che ha ottenuto una sede su base volontaria ammonta all’81,33% dei docenti interessati alla mobilità, per cui il vincolo triennale riguarderà la gran maggioranza delle e degli insegnanti. Per quel che riguarda il secondo punto faccio invece notare che l’importo disponibile per il cosiddetto ‘bonus’ passa dai 200 milioni annui previsti dalla legge 107 ai 160 milioni a regime (130 milioni nel solo 2018) previsti dal contratto, pari cioè all’80% di quanto riconosciuto sino ad oggi. Un’ultima cosa, visto che qualche giornale ha scritto che i docenti dovrebbero ridare indietro il bonus di 80 euro, mostrando come prova delle foto di buste paga di febbraio. Semplicemente, non è così: nella busta paga dei dipendenti della scuola, così come in quella di tutti i dipendenti pubblici e privati, si registra il normale conguaglio fiscale che scatta, per esempio se, durante l’anno, oltre al normale stipendio vengono percepiti compensi accessori. Ma questo non ha nulla a che vedere con il contratto, è normale prassi fiscale. La verità è che anche dopo gli aumenti previsti dal rinnovo del contratto il bonus è stato salvaguardato per le fasce retributive più basse. Anzi, ci saranno dipendenti che percepiranno il bonus per la prima volta, grazie agli effetti dell’articolo 18 della legge di Bilancio che ha innalzato, dal primo gennaio 2018, le soglie del reddito previste per accedere al bonus. In particolare la soglia di 24.000 euro, entro la quale già oggi il bonus viene percepito per intero, viene innalzata a 24.600 euro. Mentre quella di 26.000 euro, oltre la quale attualmente non si ha diritto al bonus, nemmeno in misura ridotta, passa a 26.600. Dunque, anche chi avrà redditi compresi tra 26.000 e 26.600 euro, cioè fra la precedente e la nuova soglia per l’accesso al bonus, potrà accedere per la prima volta agli 80 euro, che si sommeranno così all’incremento previsto dal rinnovo del contratto».
 
 
Un contratto che ribalta la logica che voleva la fine dell’intermediazione sindacale. Lei che è stata anche sindacalista cosa ne pensa?
 
«Il dialogo, il confronto, la partecipazione e la contrattazione sono strumenti democratici positivi per governare, con il consenso e il rispetto delle diverse  funzioni e responsabilità, la complessità delle società moderne. Quindi, per rispondere alla sua domanda, penso una cosa che pensavo anni fa nel mio precedente incarico di sindacalista e che penso anche oggi avendo la responsabilità di guidare il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca: non solo è positivo in sé il fatto che dopo 10 anni di mancati rinnovi sia stato siglato il nuovo contratto, ma è positivo anche il percorso e le modalità con cui il 9 febbraio siamo giunti a questa firma. Così come è positivo il futuro percorso che il contratto stesso delinea. Ricordo tra l’altro che le trattative si sono protratte per due mesi e che tra le disposizioni di carattere generali dello stesso contratto troviamo le relazioni sindacali, che si adeguano alle novità introdotte con il decreto legislativo n. 75 del 2017 che ha modificato la cosiddetta legge Brunetta. Al vecchio modello di relazioni, che si basava sugli istituti dell’informativa, della concertazione e della contrattazione, se ne sostituisce uno nuovo che razionalizza le materie oggetto di contrattazione e prevede, per la gran parte di quelle riguardanti il rapporto di lavoro, il nuovo istituto del confronto. Quest’ultimo è un modello di relazioni sindacali che consente all’Amministrazione e alle Organizzazioni Sindacali di dialogare in merito alle materie previste, giungendo ad una sintesi delle posizioni emerse, a seguito della quale l’Amministrazione può procedere. Ricordo anche che un articolo del contratto, precisamente il numero 9, istituisce il nuovo Organismo paritetico per l’innovazione, composto da rappresentanti dell’Amministrazione e delle Organizzazioni sindacali. Per la Scuola e per l’Afam l’organismo consiste in un luogo dove il datore di lavoro e i sindacati si incontrano, su un piano di parità, almeno due volte l’anno per studiare congiuntamente argomenti che riguardino, direttamente o indirettamente, i lavoratori”.
 
 
Le scelte di fondo di questo contratto sono tutte orientate ad un modello di Istruzione democratico e partecipato che restituisce anche ruolo alle autonomie delle singole istituzioni del nuovo comparto. È stato un obiettivo su cui il governo si è speso?
 
«Il governo si è speso per un riconoscimento adeguato, ripeto, sia in termini sociali che economici, di professionalità che sono centrali non soltanto per l’istruzione e l’educazione delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, delle nuove generazioni ma, considerato che dobbiamo costruire sempre più una società e un’economia della conoscenza, abbiamo lavorato per dare il giusto, doveroso riconoscimento alle professionalità da cui dipende il futuro dell’intero nostro Paese. L’obiettivo del governo era esattamente quello di dare un riconoscimento al valore del dialogo sociale, di ridare dignità e centralità a un settore fondamentale per le sfide che in un mondo globalizzato come quello di oggi l’Italia deve costantemente affrontare. L’obiettivo è stato quello di valorizzare le nostre scuole, che nella loro autonomia, ciascuna per la propria parte, contribuiscono allo sviluppo sociale e civile del Paese. È stato quello di coinvolgere e sostenere risorse professionali, troppo spesso in passato non riconosciute adeguatamente, che sono fondamentali per un processo di crescita sostenibile».
 
 
Ritiene che in questo comparto della scuola, università, ricerca e alta formazione si debba investire molto di più in quanto settori essenziali per lo sviluppo economico e per il futuro del Paese?
 
«Intanto, le direi: sviluppo economico sì, ma che sia sviluppo sostenibile. Glielo dico perché l’impegno assunto sull’Agenda 2030 dell’Onu va portato avanti costantemente e concretamente, giorno dopo giorno. Dopodiché, in questi mesi abbiamo non solo detto che si deve investire molto di più in quella che io chiamo l’intera filiera del sapere, ma abbiamo dimostrato di volerlo e saperlo fare. Non le faccio l’elenco delle misure che abbiamo approvato in questo senso, delle cifre stanziate, degli investimenti previsti da ultimo nella legge di Bilancio, per non parlare, chiudendo il cerchio, del rinnovo del contratto dopo dieci anni. Ricordo però solo un dato generale, inconfutabile, e due cifre, molto precise. Il dato generale: prima del 2014 il settore della conoscenza era un bacino in cui andare ad attingere risorse economiche da destinare ad altre voci, un settore in cui si tagliava e basta; con i governi Renzi e Gentiloni c’è stata una netta inversione di tendenza e sulla filiera del sapere si è tornati ad investire, costantemente ed in modo sostanzioso. Le due uniche cifre che vorrei ricordare, per quel che riguarda questi anni, sono invece queste: oltre 9 miliardi per l’edilizia scolastica e, cifra record mai stanziata prima, 400 milioni per i bandi di ricerca di base, rivolti soprattutto alle regioni del Mezzogiorno e a ricercatrici e ricercatori under 40. Gliene faccio solo due, a mo’ di esempio. Vogliamo dire che non è sufficiente? Che rispetto a quanto investono altri paesi europei stiamo parlando ancora di cifre non adeguate ad affrontare le sfide dell’oggi e del domani? Sono pienamente d’accordo. Ma primo: va riconosciuto che i nostri governi hanno segnato una chiara inversione di tendenza rispetto al passato. E secondo: garantire continuità a questa esperienza di governo significa rendere strutturali, com’è necessario che sia, gli investimenti che in questi anni abbiamo fatto. Consapevoli che da essi dipende il futuro non solo dei settori dell’istruzione e della ricerca, ma dell’intero Paese».
 
 
 
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