Il solito refrain di ogni anno al riproporsi delle leggi Finanziarie
NOVEMBRE 2019
Il fatto
Il solito refrain di ogni anno al riproporsi delle leggi Finanziarie
di   Antonio Foccillo

 

Ogni anno le leggi di bilancio che si ripropongono affrontano nuove emergenze dello stato dei conti pubblici e il Governo, di qualsiasi colore sia, tende, sotto la lente di Bruxelles, a proporre sempre cure timorose se non al ribasso. Il concetto credo calzi a pennello con la polemica mediatica e con il dibattito politico di questi giorni: la riforma del Mes, il Meccanismo Europeo di stabilità, altresì noto come fondo salva-Stati. Allo scontro fuori e dentro la maggioranza di governo, come al solito, non corrispondono la contezza sul merito della questione e permane tanta sufficienza di parte. Provo a fare rapidamente chiarezza su cosa si sta parlando. Il Mes è un’organizzazione di diritto internazionale nata nel 2012 con la funzione di prestare assistenza agli Stati in difficoltà finanziaria. Come funziona il meccanismo? In sostanza lo Stato in difficoltà avanza al Presidente del Consiglio dei governatori del fondo salva-Stati la richiesta di assistenza, di seguito il MES chiede alla Commissione UE di valutare lo stato di salute del Paese istante e di definire il suo fabbisogno finanziario. In questa fase l’esecutivo comunitario e la BCE (e se necessario il FMI) analizzano se la crisi di quello Stato può contagiare il resto dell’Eurozona. Ad oggi il Meccanismo Europeo di Stabilità ha “salvato” Cipro, Spagna e Grecia. A partire dal 2017 in sede europea si è iniziato a discutere di una possibile revisione del trattato istitutivo. Ciò di cui si discute in questi giorni sono quindi le modifiche al trattato esistente. I Paesi hanno trovato un accordo politico preliminare nel giugno di quest’anno sull’insieme delle correzioni da apportare e il mese prossimo è atteso il via libera ufficiale dei governi. La polemica si incentra sulle ristrettezze procedurali che permetterebbero all’Italia di accedere a un eventuale salvataggio, eppure già oggi il Mes può decidere di accordare assistenza finanziaria a un Paese in difficoltà chiedendo che una parte del debito venga ristrutturata. Non si tratta di un automatismo, come chiedevano alcuni Paesi del Nord Europa ma di una decisione sulla base di una analisi di sostenibilità del debito che viene condotta congiuntamente dalla Commissione europea e dal board del Mes. Se il debito viene giudicato insostenibile, si può chiedere la ristrutturazione. Questo senza dare giudizi di merito. Ma più che al match tra fazioni, sarebbe piacevole e utile assistere finalmente a un ragionamento sulla legittimità democratica del sistema neoliberale che ha preso il sopravvento, anche proprio guardando l’evolversi - che tale non è definibile, forse semmai si potrebbe dire “l’involversi” - negli anni delle nostre legge di bilancio. Quello che difatti si evidenza, ovviamente in termini negativi, è sempre lo stato del debito e come conseguenza di questa situazione la necessaria riduzione dei costi dello stato sociale, in particolare della spesa previdenziale e sanitaria, oltre che complessivamente quella pubblica. Pur comprendendo le difficoltà che comporta stilare una legge Finanziaria, quello che facciamo sempre fatica a concepire, anzi meglio, accettare è che non è possibile mettere in discussione, come se nulla fosse, conquiste fondamentali che il mondo del lavoro aveva saputo costruire nel tempo. Purtroppo, ogni legge Finanziaria, si porta dietro problemi complessi, il problema strutturale di questa manovra risiede nel destinare 23,5 miliardi per la “sterilizzazione” delle clausole di salvaguardia che avrebbero comportato l’aumento dell’IVA di circa tre punti percentuali. Questo Governo, infatti, è nato proprio con la “mission” di evitare uno scenario che avrebbe inciso drasticamente sui noi tutti e di conseguenza sul Pil del Paese. Eppure, noi, come Uil, abbiamo sempre sostenuto che in questo scenario di crisi e di difficoltà economica, prodotto del fallimento delle idee neoliberiste, bisognasse ridiscutere l’austerità che è alla base della costruzione europea dei giorni nostri, perché essa ha colpito duramente i salariati e i ceti medi e inferiori attraverso tagli degli stipendi e riduzione e allontanamento nel tempo delle prestazioni sociali. Per completare il tutto, in nome di una fantomatica ripresa, si sono smantellati sempre più i servizi pubblici e si è privatizzato ciò che ancora non era stato privatizzato, con una soppressione massiccia di posti di lavoro che poi non sono stati più occupati. Un cane che si morde tristemente la coda. Così il cittadino ha visto ogni anno tagliare la spesa pubblica per meglio dire quel poco che ancora ne restava.

È importante sempre ricordare che spesa pubblica significa innanzitutto scuola pubblica, università pubblica. Significa strade, centri culturali, asili, ospedali, cure mediche. Significa, in ultima analisi, redistribuzione del reddito e diminuzione della sperequazione economica; significa offrire un servizio a chi non potrebbe permetterselo; significa garantire una vita dignitosa a tutti. Insomma rinunciare a tutto questo significa tagliare il Welfare State, che è stato una delle più grandi conquiste sociali di sempre. Questo dato dovrebbe spingere i governi ad intervenire per mitigare questa forte sperequazione economica e non tagliare le “spese pubbliche” aumentando il divario economico e sociale. Il sindacato infatti ha presentato, ormai lo scorso anno, una sua piattaforma, che in più di un’occasione è stata presenta prima al governo Conte I e poi al Conte II affermando “la necessità che lo sviluppo del Paese sia supportato da politiche espansive e in coerenza con le linee espresse dalla Confederazione Europea dei Sindacati, che è necessario il superamento delle politiche di austerity che, in Italia come in Europa, hanno determinato profonde disuguaglianze, aumento della povertà, crescita della disoccupazione in particolare giovanile e femminile”. Ebbene, arrivando così alla manovra di questi giorni, pur apprezzando un’inversione di tendenza, soprattutto nell’avere finalmente un confronto con il sindacato, e pur apprezzando alcune misure che vanno anche se parzialmente verso obiettivi condivisibili, il giudizio resta ancora insufficiente perché mostra elementi di inadeguatezza ed è carente di una visione del Paese e di un disegno strategico che sia capace di ricomporre e rilanciare le politiche pubbliche finalizzate allo sviluppo sostenibile e al lavoro. La UIL l’ha definita, in commissione parlamentare, la manovra del “vorrei ma non posso”, poiché alcuni provvedimenti vanno nella direzione giusta ma le risorse stanziate non sono sufficienti a dare risposte visibili. In questa cornice e per questi motivi, il sindacato confederale continua ad alimentare e spronare la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, sulla scia delle tante iniziative che, avviate sin dallo scorso 9 febbraio, stanno riempiendo le piazze. Alla mobilitazione unitaria, consci dell’importanza del confronto e della nostra partecipazione alle scelte di politica economica e sociale del Paese, stiamo coltivando e cercando un sempre maggior dialogo con il Governo. Bisogna continuare a farlo per ottenere risposte esaustive alle rivendicazioni unitarie, per evitare peggioramenti, sollecitare miglioramenti prima dell’approvazione definitiva di fine anno, ma anche per chiedere di avviare una stagione di riforme, da condurre in porto già nei prossimi mesi. A sostegno di queste istanze e di tutte le altre richieste contenute nella piattaforma, sia per la manovra in corso di approvazione sia in vista del prossimo Def, il sindacato ha indetto una settimana di mobilitazione per il lavoro con iniziative nei territori e con tre grandi manifestazioni/assemblee nazionali aperte che si svolgeranno in Piazza Santi Apostoli a Roma. La prima sulle questioni del mezzogiorno, dell’industria, dei servizi e su uno sviluppo ambientalmente sostenibile, contro i licenziamenti, a sostegno dell’occupazione e delle vertenze aperte, per l’estensione degli ammortizzatori sociali, per la riforma degli appalti e dello “sblocca cantieri”.

La seconda per chiedere il rinnovo dei contratti pubblici e privati, il superamento dei contratti pirata, la riforma e le assunzioni nella Pubblica Amministrazione, la defiscalizzazione degli aumenti contrattuali. La terza sulla riforma fiscale per una redistribuzione a vantaggio dei lavoratori dipendenti e dei pensionati e per ridurre il fenomeno dell’evasione; sulla previdenza, per un’effettiva rivalutazione delle pensioni e per proseguire nell’opera di riforma della legge Fornero in un’ottica di effettiva flessibilità verso il pensionamento; per chiedere un welfare più giusto e una legge sulla non autosufficienza. Urgono nuove politiche che mettano al centro il lavoro e la sua qualità, in particolare per i giovani e le donne. Misure che siano in grado di contrastare l’esclusione sociale e la povertà; che determinino processi redistributivi e di coesione nel Mezzogiorno; che prevedano investimenti in infrastrutture materiali e sociali, innovazione, scuola, formazione e ricerca, prevenzione e messa in sicurezza del territorio e che sostengano le politiche industriali. La manovra traccia, invece, un percorso diverso: mancano le risorse per gli investimenti poiché si privilegia, al contrario, la spesa corrente. Si preannunciano ulteriori tagli e si introducono misure che non determinano, né quanto meno incentivano, serie opportunità di lavoro. Allo stesso tempo, in questa fotografia non si intravedono orizzonti progettuali per le grandi reti pubbliche del Paese: sanità, istruzione e servizi all’infanzia e assistenza. A proposito di progettualità, vorremmo vedere qualcosa di più che meri bilanciamenti delle poste economiche ma anche qualora si dovesse trattar sol di questo, vorremmo intravedere un’idea, una visione di Paese, una scelta politica dietro alla misura finanziaria. Se giusta e necessaria, quindi, la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia non si è andato oltre. Avremmo apprezzato una valutazione sulla riparametrazione dell’Iva che permettesse di recuperare probabilmente anche maggiori risorse ma ragionando sulle tipologie di beni oggetto di imposta. Insomma sembra sempre che manchi quel qualcosa in più per rilanciare il benessere del sistema Paese: se è apprezzato il taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori dipendenti manca un intervento di simile portata per i pensionati, che non possono ritenersi ristorati da una mini rivalutazione. Uno dei motivi che insieme alla mancanza di una legge nazionale sulla non autosufficienza ci hanno portato il 16 novembre al Circo Massimo. Sul fronte del pubblico impiego, poi, si introducono risorse ma non sono sufficienti perché comprendono anche diritti pregressi. Per non parlare delle tante crisi industriali aperte, tema oggi ancora più cogente dopo l’annuncio del disimpegno di ArcelorMittal. Sono necessari un indirizzo chiaro ed una governance autorevole per una politica industriale che guardi allo sviluppo dei settori strategici, dei territori e delle infrastrutture del nostro Paese, anche all’interno di una inevitabile maggiore integrazione europea, con una attenzione al consolidamento ed alla trasformazione del tessuto produttivo esistente. Questi sono fattori non più rinviabili per il rilancio della nostra politica produttiva ed occupazionale. Infine, il Mezzogiorno, dove speriamo che annunci e proposte - che comunque hanno il merito di rimettere al centro dell’agenda politica le misure per lo sviluppo e la crescita dell’area - possano trovar adeguato e opportuno spazio nel cd. “Piano per il Sud”, o meglio “Piano per l’Italia”, perché ormai la questione meridionale deve essere affrontata come una questione nazionale e con strumenti straordinari. In ogni caso, dal canto nostro, rimane positiva la valutazione sul cambio di metodo già accennato, testimoniati dalla disponibilità del Governo al dialogo e ad aprire quattro tavoli di confronto su fisco, previdenza, Mezzogiorno e investimenti, ma dalle parole occorre passare ai fatti e dare segnali concreti.

Noi siamo pronti a fare tutto quello che la nostra azione sindacale ci consente, dal dialogo alla mobilitazione. Lo stiamo dimostrando perché vogliamo rilanciare il nostro Paese e vogliamo offrire soprattutto un’idea di Paese, un’idea di solidarietà, inclusione, redistribuzione e democrazia.

 

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