Cgil, Cisl, Uil hanno indetto settimana mobilitazione a sostegno rivendicazioni sia per manovra in corso di approvazione sia in vista prossimo Def
NOVEMBRE 2019
Intervista a Carmelo Barbagallo
Cgil, Cisl, Uil hanno indetto settimana mobilitazione a sostegno rivendicazioni sia per manovra in corso di approvazione sia in vista prossimo Def
di   Antonio Passaro

 

Barbagallo, nonostante l’approssimarsi delle festività natalizie, il Sindacato intensifica la propria azione. Cgil, Cisl Uil hanno ritenuto necessario dare continuità alla mobilitazione, iniziata lo scorso 9 febbraio, non solo per evitare peggioramenti e sollecitare alcuni miglioramenti della manovra che sarà approvata definitivamente entro la fine dell’anno, ma anche per chiedere di avviare una stagione di riforme, da condurre in porto già nei prossimi mesi. Cosa è stato deciso?

A sostegno delle nostre rivendicazioni sia per la manovra in corso di approvazione sia in vista del prossimo Def, Cgil, Cisl, Uil hanno indetto una settimana di mobilitazione con iniziative nei territori e tre manifestazioni/assemblee nazionali aperte, che si svolgeranno in Piazza Santi Apostoli a Roma. Il 10 dicembre sarà dedicata alle questioni del Mezzogiorno, dell’industria, dei servizi e di uno sviluppo ambientalmente sostenibile, contro i licenziamenti, a sostegno dell’occupazione e delle vertenze aperte, per l’estensione degli ammortizzatori sociali, per la riforma degli appalti e dello “sblocca cantieri. Con l’iniziativa del 12 dicembre chiederemo il rinnovo dei contratti pubblici e privati, il superamento dei contratti pirata, la riforma e le assunzioni nella Pubblica Amministrazione, la defiscalizzazione degli aumenti contrattuali. Infine, il 17 dicembre manifesteremo per una riforma fiscale, che generi una redistribuzione a vantaggio dei lavoratori dipendenti e dei pensionati e che riduca il fenomeno dell’evasione, per un’effettiva rivalutazione delle pensioni e per proseguire nell’opera di riforma della legge Fornero in un’ottica di effettiva flessibilità verso il pensionamento, per chiedere un welfare più giusto e una legge sulla non autosufficienza.

 

E intanto, lo scorso 16 novembre si è svolta una grande manifestazione dei pensionati che, nell’immenso scenario del Circo Massimo a Roma, hanno ribadito le loro ragioni. Un momento di grande unità e partecipazione…

Il 16 novembre siamo stati in piazza per dare visibilità alle richieste di 16 milioni di persone del nostro Paese. È stata una grande manifestazione con la quale abbiamo rivendicato, con forza, la rivalutazione delle pensioni, una legge sulla non autosufficienza, una sanità efficiente, l’eliminazione del super ticket e quant’altro indicato in piattaforma. Per anni, i pensionati italiani sono stati i veri ammortizzatori sociali del Paese: nelle famiglie in cui c’era un cassaintegrato, un esodato, un disoccupato, intervenivano per dare il loro sostegno. Ora, però, proprio a causa del pluriennale blocco della rivalutazione, è diminuito sensibilmente il loro potere d’acquisto e, dunque, non possono più offrire un aiuto a livello familiare e sociale. Il Governo si deve attivare per recuperare le risorse necessarie a soddisfare le richieste dei pensionati, che non sono un peso, bensì una vera risorsa per il Paese. A tal proposito, abbiamo chiesto al Premier Conte e ai ministri dell’Economia e del Lavoro di indirizzare verso i capitoli da noi indicati sia i risparmi di spesa sia quanto recuperato dalla lotta all’evasione fiscale. I pensionati non si arrendono e sono determinati a non mollare. Peraltro, noi siamo anche fautori del principio dell’anzianità attiva, che va affermato dando ai pensionati la possibilità di esercitare lavori socialmente utili: in questo modo, potranno integrare il loro magro reddito, rendendosi utili al Paese.

 

Resta alla ribalta della cronaca la vicenda ex Ilva. I Segretari generali di Cgil, Cisl, Uil hanno chiesto di essere ricevuti dal Presidente della Repubblica che ha prontamente accolto la richiesta. Come è andata?

Avevamo richiesto l’incontro per illustrare al Capo dello Stato la difficile situazione di crisi occupazionale in cui versa il sistema industriale italiano, a partire dalla complessa vicenda relativa agli stabilimenti ex Ilva. Abbiamo ringraziato il Presidente per la sua sensibilità: ci ha convocato immediatamente per ascoltare le nostre ragioni e noi gli abbiamo ribadito che non possiamo fare a meno della più grande acciaieria d’Europa. Intanto, proprio in quelle ore, la proprietà dell’Arcelor Mittal ha deciso di revocare la procedura di spegnimento dei forni: avevamo ragione, dunque, a ritenere necessario un confronto con la proprietà e non con il solo amministratore delegato. Abbiamo scritto, inoltre, al Presidente del Consiglio per chiedere anche a lui un incontro al fine di ristabilire i termini dell’accordo, che non è stato di certo disatteso dai lavoratori né dai Sindacati. È necessario riprendere una trattativa seria a quel livello e perciò auspichiamo che il Premier ci metta nella condizione di ottenere questo obiettivo.

 

Si è puntato anche sulle vie legali, per convincere Arcelor Mittal a fare un passo indietro. È una vicenda che si può risolvere percorrendo questa strada?

Non mi convince l’idea di adire le vie legali contro le inadempienze dell’Arcelor Mittal, perché quando la causa sarà finita, avremo il deserto industriale e occupazionale. Ribadisco, invece, la necessità di ripristinare le condizioni per la piena attuazione dell’accordo sottoscritto dai Sindacati, dall’Azienda e dal Governo. Dobbiamo evitare che nel nostro Paese non si produca più l’acciaio perché importarlo costerebbe molto di più e, così, entrerebbe in crisi tutto il nostro sistema industriale. Noi siamo uniti e faremo di tutto per mantenere alta la mobilitazione e impedire che gli stabilimenti ex Ilva chiudano definitivamente.

 

La crisi dell’industria si fa sentire forte anche per i lavoratori della Bosch. La multinazionale tedesca di componentistica per auto, il cui stabilimento barese è il secondo della Puglia dopo quello ex Ilva, ha annunciato 620 esuberi. Di recente hai avuto un incontro con quei lavoratori coinvolti nella vertenza, che si aggiunge alle oltre 150 incardinate presso il Mise. Ma cosa sta succedendo al nostro Paese, dal punto di vista industriale?

La verità è che stanno cercando di smantellare l’apparto produttivo del Paese. In ogni territorio, infatti, c’è qualche azienda in crisi ed ecco perché ho detto ai lavoratori della Bosch che dobbiamo lottare insieme. La Uil ha chiesto al Governo di regolamentare il ruolo delle multinazionali che scorrazzano e, poi, se ne vanno insalutati ospiti, quando lo decidono unilateralmente. Inoltre, le politiche industriali del Governo sono inesistenti: lo Stato deve controllare e poter intervenire. La si chiami Iri 4.0 o Cassa per il Mezzogiorno 4.0, l’importante è che ci sia uno strumento che aiuti nella gestione di queste crisi e che rilanci l’attività industriale. Oggi, siamo disarmati di fronte a decisioni internazionali, come quelle messe in campo dagli Usa sui dazi e dalla Cina, ma non possiamo rassegnarci a veder depauperato il nostro sistema manifatturiero. Non possiamo accettare che si perdano così tante importanti realtà produttive, come lo stabilimento della Bosch.

 

Un’altra azienda in perenne periodica crisi è quella dell’Alitalia. Per uscire da questa condizione c’è chi propone un coinvolgimento diretto dello Stato. Qual è l’opinione della Uil?

In linea di principio, noi siamo interessati a che lo Stato controlli gli asset strategici del nostro Paese: condividiamo, dunque, l’ipotesi che entri in Alitalia, proprio perché questa realtà non può diventare una low cost di qualche altra compagnia aerea. Noi faremo di tutto per evitare che fallisca. Così come siamo contrari all’idea che si possa procedere al cosiddetto spezzatino per poi vendere. Noi vogliamo il rilancio dell’Alitalia che, nel corso di questi anni, è stata depauperata anche a causa della carenza di rotte intercontinentali. Senza rotte e con pochi aerei, la compagnia è destinata a perdere: a questa prospettiva ci opporremo con tutte le nostre forze.

 

Nel mese di novembre ci sono state manifestazioni di piazza di lavoratori di altri settori: quelli dell’edilizia, ad esempio, e i vigili del fuoco. Si tratta di realtà anch’esse fondamentali per il nostro Paese…

Quello dell’edilizia è un settore che potrebbe diventare il volano per la ripresa economica del nostro Paese: continuano, invece, ad esserci condizioni che ostacolano questo cammino. Ma noi insistiamo nelle nostre rivendicazioni. Per quel che riguarda i vigili del fuoco, bisogna dire che questi lavoratori sono stanchi dei riconoscimenti che, poi, però non si traducono mai in provvedimenti concreti: tutti li dichiarano eroi, ma nessuno compie scelte conseguenti. Anche le richieste dei vigili del fuoco non hanno trovato riscontro nella manovra e, perciò, vogliono far sentire la loro voce a tutti i cittadini ai quali, con il loro lavoro e il loro sacrificio, ogni giorno assicurano sicurezza e protezione. La Uil è al loro fianco.

 

In questo quadro complessivo, c’è anche un altro tema su cui si sta dibattendo e che andrebbe affrontato, ora, per evitare conseguenze sociali negative nell’immediato futuro: le ripercussioni dell’innovazione tecnologica su occupazione e welfare. Qual è la tua opinione?

Una politica economica che non si fondasse su processi industriali innovativi e tecnologici sarebbe miope. L’innovazione tecnologica è generatrice di progresso, ma questi processi di trasformazione vanno governati per far sì che determinino anche un diffuso benessere sociale. Oggi, non è ancora così e, anzi, nel mondo, ci sono meno ricchi sempre più ricchi, mentre i poveri sono sempre più poveri e numerosi. Tra le altre cose, quindi, è indispensabile strutturare un nuovo welfare più efficiente e capillare che ponga rimedio alle nuove condizioni di disagio scaturite da percorsi di modernizzazione non ancora adeguatamente regolati. La vera sfida, però, è quella di far leva proprio sull’innovazione per dare risposte adeguate alle nuove esigenze di protezione sociale.

 

Un’ultima domanda, per ricordare un evento storico che, però, si ricollega anche all’attualità: quest’anno ricorre il 50esimo del cosiddetto autunno caldo. Fu la stagione in cui il Sindacato riuscì ad ottenere molti diritti per i lavoratori, restituendo loro dignità e benessere. Chi visse quella fase pose come prima bandiera quella dell’unità sindacale. A che punto siamo, oggi, su questo percorso?

Oggi, c’è ancora qualche difficoltà ad affermare un rinnovato progetto unitario, anche se abbiamo firmato i protocolli per la rappresentanza e rappresentatività. Il passo successivo dovrebbe essere quello di estendere in tutti i luoghi di lavoro e in tutti i territori le Rsu, che rappresentano la base per strutturare, ovunque, un percorso unitario. Mi sto battendo per questo obiettivo, anche perché faccio riferimento alla mia esperienza personale: negli anni Settanta, a Termini Imerese, sono stato operatore unico del Sindacato unitario metalmeccanico, di Fim Fiom Uilm. Ho già avanzato una proposta a Cgil e Cisl per un progetto che faccia rivivere quella stagione, ovviamente su rinnovate basi e secondo precise condizioni: nessuno deve avere la maggioranza assoluta né un diritto di veto e occorre un meccanismo di voto, relativo alle materie su cui decidere, che coinvolga tutt’e tre le Organizzazioni. Il mondo sta cambiando e anche noi dobbiamo cambiare, perché non ci possiamo più permettere di assumere decisioni dopo tre anni su questioni che, poi, durano tre mesi.

 

Potrebbe anche interessarti: