L´idea di Europa Unita nei costituenti
GENNAIO 2019
Europa
L´idea di Europa Unita nei costituenti
di   Antonio Tedesco

 

Se gli studi sui movimenti e sulle culture europeiste e federaliste negli ultimi decenni sono proliferati, così come le ricerche sul processo d’integrazione e sullo sviluppo istituzionale dell’Unione Europea (quest’anno ricorre il 40° anniversario della prima elezione diretta del parlamento europeo del 1979), gli studi storico- giuridici sul dibattito europeista durante l’Assemblea costituente non hanno avuto molta fortuna e sono stati trattati marginalmente. Nell’Italia del Secondo dopoguerra, accanto alla ricostruzione economica e sociale i costituenti, che rappresentavano le diverse culture politiche democratiche ed antifasciste, si occuparono anche della ricostruzione democratica ed istituzionale del Paese, lavorando in modo unitario, pur non venendo meno la battaglia parlamentare e legislativa, per dare alla carta costituzionale dei principi fondamentali che ne fanno una delle più efficaci e lungimiranti costituzioni al mondo.

Il dibattito durante l’Assemblea costituente fu lungimirante anche verso il progetto, definito da molti come utopistico, di adesione ad uno Stato europeo federato dotato di un parlamento eletto direttamente dai cittadini. Un’Europa unita e solidale pensata per giocare un ruolo da protagonista in un contesto internazionale caratterizzato dalla guerra fredda e dal crescente contrasto tra i due blocchi.

Protagonisti di questa visione furono alcuni deputati che avevano maturato una sensibilità europeista e si erano avvicinati al movimento federalista di Colorni, Spinelli, Rollier, Rossi durante la Resistenza. Pur non essendoci un riferimento esplicito all’Europa Unita nella Carta costituzionale e anche se le posizioni più schiettamente federaliste rimasero in minoranza nell’Assemblea, l’azione politica di un piccolo gruppo di costituenti non mancò di conseguire alcuni obiettivi importante sensibilizzando i colleghi al problema della pace e dell’Unione politica ed economica dei popoli europei.

Il discorso sull’Europa compare nel dibattito costituente più di una volta e in fasi diverse dei lavori: in Sottocommissione, in Commissione e in Assemblea. Lo troviamo presente fin da quando inizia, il 3 dicembre 1946, la discussione sull’art. 11 (allora era art. 5, poi art. 4, poi art. 10) nella I Sottocommissione, quando il Presidente Tupini dichiara il suo favore al progetto degli “Stati Uniti d’Europa”.

L’argomento ritorna poi nel dibattito in Commissione quando viene letta la prima bozza dello stesso articolo: «L’Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizione di reciprocità e di eguaglianza, le limitazioni di sovranità necessarie ad un’organizzazione internazionale che assicuri la pace e la giustizia per i popoli». Lussu presenta un emendamento per sostituire «organizzazione europea ed internazionale» a «organizzazione internazionale». Emendamento che non viene approvato dalla Commissione per la ragione indicata da Aldo Moro, il quale, pur dichiarandosi d’accordo sulla proposta di Lussu, non riteneva però necessario un richiamo espresso all’Europa: “Nell’espressione organizzazione internazionale” - egli disse – “sono già comprese tutte le ipotesi, anche quella prospettata dall’on. Lussu”. L’azionista sardo (che poi passerà al Partito Socialista), nel proporre l’emendamento richiamava un’aspirazione che aveva effettivamente accompagnato diversi uomini nella Resistenza che lottarono per dare un’organizzazione federalistica all’Europa, condizione politica necessaria per superare la conflittualità e dare benessere diffuso.

Il Movimento federalista europeo - che ufficialmente nasce a Milano nell’agosto del 1943, scegliendo di non diventare un partito politico ma un’organizzazione trasversale e interpartitica tra le organizzazioni progressiste (Partito socialista, Partito d’Azione soprattutto) - inizia il suo cammino col Manifesto di Ventotene per “l’Europa libera e unita” concepito nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, ed altri confinati antifascisti sull’isola di Ventotene. Il progetto federalista interessò anche i liberali che spingevano per l’abolizione dei dazi e per il libero commercio in Europa e soprattutto molti democristiani.

In Assemblea costituente il socialista Pieri, segretario di una sezione italiana del movimento federalista europeo, ritiene essenziale abolire se non le frontiere politiche, almeno le frontiere economiche tra gli Stati d’Europa, e limitare la sovranità di ciascuno. Disse Pieri nel suo intervento all’Assemblea costituente: “Prendo la parola nella mia doppia veste di segretario di un’importante sezione italiana del movimento federalista europeo e di deputato socialista: noi socialisti siamo federalisti per definizione, perché internazionalisti. Intendo, dunque, parlare per esprimere il mio, il nostro compiacimento nel vedere codificata nella Costituzione quell’aspirazione propria della democrazia, e che è viva e profonda nella classe lavoratrice: l’aspirazione alla creazione dei vincoli federali fra gli Stati europei”.

Tra coloro che durante l’Assemblea costituente dimostrarono una grande attenzione verso il problema dell’Europa Unita troviamo Einaudi. Einaudi, è l’autore delle lettere di Junius al Corriere della Sera del 1919 in cui teorizzava l’Unione europea e che ispirarono (insieme ai testi di alcuni federalisti inglesi) le discussioni degli autori del Manifesto di Ventotene durante il confino. Einaudi, che poi diventerà Presidente della Repubblica nel 1948, disse all’assemblea costituente, il 29 luglio del 1947, che l’Italia doveva avere un ruolo di punta nella politica di unificazione europea, un ruolo da protagonista:

“Non basta predicare gli Stati Uniti di Europa ed indire congressi di parlamentari. Quel che importa è che i parlamenti di questi minuscoli stati i quali compongono la divisa Europa, rinuncino ad una parte della loro sovranità a pro di un Parlamento nel quale siano rappresentati, in una camera elettiva, direttamente i popoli europei nella loro unità, senza distinzione fra stato e stato ed in proporzione al numero degli abitanti e nella camera degli stati siano rappresentati, a parità di numero, i singoli stati. Questo è l’unico ideale per cui valga la pena di lavorare; l’unico ideale capace a salvare la vera indipendenza dei popoli, la quale non consiste nelle armi, nelle barriere doganali, nella limitazione dei sistemi ferroviari, fluviali, portuali, elettrici e simili al territorio nazionale, bensì nella scuola, nelle arti, nei costumi, nelle istituzioni culturali, in tutto ciò che dà vita allo spirito e fa sì che ogni popolo sappia contribuire qualcosa alla vita spirituale degli altri popoli. Ma alla conquista di una ricca varietà di vite nazionali liberamente operanti nel quadro della unificata vita europea, noi non arriveremo mai se qualcuno dei popoli europei non se ne faccia banditore“[…]“L’Europa che l’Italia auspica, per la cui attuazione essa deve lottare, non è un’Europa chiusa contro nessuno, è una Europa aperta a tutti, un’Europa nella quale gli uomini possano liberamente far valere i loro contrastanti ideali e nella quale le maggioranze rispettino le minoranze e ne promuovano esse medesime i fini, sino all’estremo limite in cui essi sono compatibili con la persistenza dell’intera comunità”.

Anche Silone, eletto in quota PSI, era convinto che “una ripresa della lotta per l’unità europea è una necessità di vita dei Paesi liberi del vecchio continente; è la sola via della loro salvezza”. Un altro europeista che troviamo nella costituente, che poi diventerà Ministro degli esteri dal 1947 al 1951, è Carlo Sforza che in un celebre intervento alla Camera nel 1948 disse: “L’unico modo per eliminare il mostro della guerra è di lavorare all’unione dell’Europa”. Mentre i deputati comunisti gli urlavano: “Quale Europa? Quale? Lui rispondeva: “Tutta l’Europa, se è possibile”. Convinto europeista fu il democristiano De Gasperi, protagonista della ricostruzione postbellica dell’Italia che si impegnò nella costituzione del Consiglio d’Europa cosciente del fatto che l’unità europea fosse necessaria per curare le ferite di due guerre mondiali ed evitare che le atrocità del passato si ripetessero.

Era motivato da una chiara visione di un’Unione europea che non avrebbe rimpiazzato i singoli Stati ma li avrebbe aiutati a completarsi vicendevolmente. Enzo Giacchero, partigiano cattolico, allievo di Augusto Monti, deputato democristiano, il 14 novembre del 1947, presenta un’interpellanza, firmata da altri 32 parlamentari di tutti i gruppi (ad eccezione dei comunisti), che auspicava la costituzione di una forma federale di unione europea. L’interpellanza però non venne discussa in aula. Tra i protagonisti assoluti del pensiero federalista europeo troviamo il socialista Zagari, partigiano dell’Europa durante la Resistenza, amico di Colorni e deputato durante la costituente e protagonista del dibattito sull’articolo 11. (sempre in prima linea e protagonista nel processo d’integrazione europea, sottosegretario agli esteri durante il Governo Rumor, con Nenni Ministro).

La parola Europa non è citata nel testo finale della costituzione ma al di là degli espliciti richiami è la prospettiva ampia in cui si collocavano i Costituenti a chiarire il loro pensiero. Di fronte all’emendamento presentato dall’on. Bastianetto durante la discussione finale in Assemblea - che proponeva di modificare la formulazione dell’articolo 11 aggiungendo «all’unità dell’Europa» dopo le parole «l’Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie» e prima di «e a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni» - sono significative le parole dell’on. Ruini: «L’aspirazione all’unità europea è un principio italianissimo: pensatori italiani hanno messo in luce che per noi l’Europa è una seconda patria. È parso però che, anche in questo momento storico, un ordinamento internazionale può e deve andare anche oltre i confini dell’Europa. Limitarsi a tali confini non è opportuno di fronte ad altri continenti, come l’America, che desiderano partecipare alla organizzazione internazionale».

L’emendamento venne ritirato dal proponente dopo aver avuto conferma dalla risposta dell’on. Ruini che l’Europa era implicitamente inclusa nella formula approvata. L’orizzonte europeo sembrava insufficiente per molti Costituenti che ritenevano che l’organizzazione della pace dovesse avere una dimensione più ampia, addirittura mondiale. Il testo finale dell’art. 11, che prevede la possibilità di “limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli” ha, di fatto, permesso all’Italia la ratifica di tutti i trattati di integrazione europea senza dover ricorrere a revisioni costituzionali. Con l’art. 11 della costituzione non solo si ripudia la guerra ma trova la sua base feconda il superamento delle chiusure nazionalistiche e l’apertura verso l’Europa, l’ONU e le altre organizzazioni internazionali.

 

 

Principali fonti consultate

 

- Antonio Tedesco, Il Partigiano Colorni e il grande sogno europeo, Editori Riuniti, 2014

- Atti dell’Assemblea Costituente 1946-1947

- Dizionario storico dell’integrazione europea, a cura di Maria Elena Cavallaro, Filippo Maria Giordano, Rubbettino, 2018

- Patria Indipendente, marzo 2016

 

 

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