L’Italia ancora alla ricerca di un proprio modello per la crescita dei “saperi”, “Conoscenze” & “Competenze” per nuova cittadinanza e nuovo sviluppo
GIUGNO 2018
Agorà
L’Italia ancora alla ricerca di un proprio modello per la crescita dei “saperi”, “Conoscenze” & “Competenze” per nuova cittadinanza e nuovo sviluppo
di   I. Ippoliti

 

Si susseguono indagini, rapporti, approfondimenti sul valore della“conoscenza” e della “competenza” nella costruzione di una cittadinanza consapevole e per la formazione dei requisiti essenziali per l’ingresso qualificato dei nostri giovani nel mercato del lavoro e nella moderna organizzazione del lavoro e delle professioni. Mentre continuano ad intrecciarsi e a confrontarsi le diverse visioni, l’attenzione si rivolge ad una struttura produttiva e ad un’organizzazione complessiva del Paese che non sembrano affatto voler onorare le sue grandi tradizioni culturali e che si presentano di fronte alle “sfide” delle società avanzate con un fardello di preoccupanti ritardi. È doveroso, inoltre, sottolineare che i livelli di responsabilità politica, istituzionale e così pure la nostra cultura accademica appaiono ancora attardarsi in una sterile contrapposizione tra diverse formule e terapie in tema di politiche formative. Nel contempo va rilevato come l’insufficienza delle risorse destinate ad Istruzione, Alta Formazione, Ricerca ed Innovazione continuano a condizionare pesantemente lo sviluppo organico e coerente di una strategia alternativa alla decadenza complessiva della qualità culturale, formativa e professionale dell’Italia degli anni 2000.

 

Tutto ciò ricordato sono, però, incontestabili tre dati:

- l’arretramento culturale di una società è sempre più alternativo allo sviluppo della democrazia di un Paese e dei livelli di civiltà di un popolo;

- la qualità delle risorse umane e professionali incide in maniera decisiva nel raggiungimento di un’adeguata “produttività del lavoro e dei fattori” che come ricorda Carlo Cottarelli in un suo recente saggio (*) costituisce il vero punto debole di un’Italia che stenta a stare al passo con l’Europa e a convivere positivamente con le sue regole;

- una strategia alternativa comporta un intervento coerente e sinergico nelle tre specifiche branche nelle quali si articolano “conoscenza” e “competenza”: “creazione”, “diffusione” ed “uso” proprio perché sempre più stretto diventa, in particolare, il legame tra formazione e lavoro.

 

In queste direzioni, seppure da diverse angolature – ma verso un comune obiettivo -si muovono 3 recenti iniziative cui, come UIL-RUA, abbiamo dedicato interesse ed un’attiva attenzione perché a nostro avviso dense di significato e di potenzialità:

- la prima di queste è il “Rapporto sulla Conoscenza - 2018” (1) prodotto dai ricercatori dell’ISTAT (un e-book di 115 pagg. con ben 38 quadri tematici);

- la seconda è il “Rapporto sulle Competenze” commissionato dalla Fondazione Agnelli ad alcuni docenti della Facoltà di Psicologia della Sapienza di Roma e condensato nella pubblicazione “Le competenze: una mappa per orientarsi” a cura dei prof. Luciano Benadusi e Stefano Molina (Ed. Il Mulino);

- la terza, infine, la presentazione del progetto “Officina Alternanza Scuola Lavoro 2018” che si inquadra nelle significative e diffuse iniziative promosse dal Consiglio Nazionale delle Ricerche per favorire le partecipazioni delle istituzioni scientifiche pubbliche allo sviluppo di quanto già previsto in merito dalla Legge n. 107/2015.

 

La ricerca degli studiosi dell’ISTAT con il suo ricchissimo corredo di dati e tabelle fornisce ai responsabili istituzionali e a tutti gli operatori precisi strumenti di orientamento. Essa conferma in maniera inequivocabile i rischi che il nostro Paese corre se non si spinge l’acceleratore della produzione, trasmissione ed uso delle conoscenze:

“L’Italia è un’economia industriale ad alto reddito ma anomala, perché caratterizzata a confronto con le altre maggiori economie europee, da livelli di istruzione e competenze modesti, ancorché crescenti”.

 

Emblematica di questa condizione resta l’incidenza meno elevata nel nostro mercato del lavoro di professionisti, tecnici e soprattutto di personale con titolo universitario. È vero che il possesso di un solido titolo universitario aiuta i nostri giovani nell’ingresso nel mercato del lavoro ed è altrettanto vero che i nostri ricercatori salgono “in vetta alla classifica Ue nella produzione di qualità per ricercatore pari a quasi l’80% superiore alla media UE”. Resta, in ogni caso, troppo forte lo scostamento del Paese nel numero di laureati sulla popolazione di età compresa tra i 24 ed i 35 anni pari al 21,7% (contro una media UE del 35,8% e rispetto al target della Commissione UE nella Strategia Europa 2020 fissato al 40%).

 

E si continua ancora a sostenere il numero chiuso nei nostri Atenei! Nello stesso tempo, però, il Rapporto mette in chiara evidenza come nei flussi internazionali di conoscenza:

“L’Italia è… tra i paesi che più cedono stock di capitale umano. Inoltre la qualità degli autori in uscita…è di circa il 50% superiore rispetto a quella di chi resta stabilmente nel Paese”.

 

In buona sostanza la “fuga dei cervelli” risulta un fenomeno sempre più legato al basso profilo delle nostre produzioni e dunque all’ancora insufficiente assorbimento di personale di alta formazione nelle imprese e nei servizi nonché determinato dalle incrostazioni normative e burocratiche che ostacolano la carriera e lo sviluppo professionale dei nostri ricercatori in ambito pubblico. Accanto alla conferma di questa fenomenologia e di queste contraddizioni gli studiosi ISTAT mettono in evidenza un preoccupante indebolimento del “sistema-Italia” per quanto riguarda le “produzioni creative” in particolare digitali, la “produzione immateriale” “l’occupazione culturale”: in particolare viene ricordato che “in Italia, nel 2016, l’aggregato dell’occupazione culturale è pari a 612 mila addetti, in diminuzione di 23 mila unità rispetto al 2015”. E veniamo al tema più specifico delle “competenze”.

Una importanza particolare riveste, al riguardo, lo studio degli accademici della Sapienza di Roma sulla formazione loro formazione. Un tema questo, come viene giustamente rilevato, che “Nelle ultime decadi… ha investito progressivamente anche il campo dell’educazione fino a spostarvi il suo baricentro”. L’interesse di questa ricerca, e della pubblicazione che ne è scaturita, punta prioritariamente alla creazione dei “fondamentali teorici” per un modello italiano nella formazione delle competenze, pur nella consapevolezza dell’“autonomia e della responsabilità” che spettano alle istituzioni educative in tutti i loro livelli e del fatto che “la centratura sull’azione caratteristica delle competenze (ndr rispetto alle conoscenze) non è perfettamente traslabile dal mondo della produzione a quello della formazione”.

L’esito finale del progetto costituisce, comunque lo si legga, un vero e proprio grido di allarme rispetto ai ritardi che ancora connotano il mondo della Istruzione e soprattutto quello dell’Università rispetto ad una prospettiva decisiva e strategica che impone la “necessità di cambiamento nel modo di immaginare e realizzare le pratiche educative”. Viene, infatti, sostenuto con fondatezza che “in campo educativo l’approccio per competenze, a differenza che nel lavoro incontra tenaci ostilità nel mondo intellettuale e fra gli insegnanti” e questo soprattutto “perché le competenze mettono in questione la centralità dei saperi disciplinari, la loro autosufficienza come oggetti cognitivi e più in generale il modello trasmissivo di istruzione”. Se è vero, pertanto, che l’acquisizione di sempre maggiore “conoscenze” deve essere rivolta innanzitutto alla formazione di una cultura e di una coscienza critica dall’altro è innegabile che l’acquisizione di “competenze” rappresenta, soprattutto nel moderno mercato del lavoro e delle professioni, il vero ponte e il “canale di collegamento tra pratiche formative e lavorative e tra politiche dell’istruzione e del lavoro”.

In questo senso una particolare attenzione va posta, soprattutto dalle rappresentanze sociali, alle difficoltà che “l’approccio per competenze” trova all’interno del nostro sistema di alta formazione universitaria. Proprio perché mira ad allargare e a qualificare la natura stessa del titolo anche al di fuori dei parametri disciplinari e professionali in senso stretto questo approccio “mette in discussione le rigide compartimentazioni disciplinari ed è dunque visto non solo come un elemento di promettente innovazione didattica ma anche come un tentativo… di destabilizzare assetti organizzativi consolidati”.

Non ci è consentito qui di approfondire ma è certo che da questo punto di vista il Rapporto lancia una vera e propria sfida agli attuali assetti della didattica accademica ma anche agli stessi pregiudizi dannosi che impediscono un positivo e costruttivo rapporto tra il mondo del lavoro e la realtà dei nostri Atenei. Ne dovremo ancora riparlare e confrontarci perché un sindacato come la UIL, a tutti i suoi livelli, deve dimostrarsi ancora più attivo su una problematica da cui dipende una parte consistente del futuro della nostra economia. Infine alcune, sinteticissime, considerazioni sul Progetto “DESCI” del CNR (Develo-ping and Evaluating Skills for Creativity and Innovation).È molto importante, e di grande significato, che il più grande tra gli Enti Pubblici di Ricerca apra la strada, con numerosissime e coinvolgenti iniziative, allo studio e soprattutto alla concreta sperimentazione di metodologie e alla realizzazione di progetti di “alternanza scuola-lavoro” partecipati dalle stesse rappresentanze degli studenti ed atti a connettere in sinergia scuola, impresa, mondo della ricerca e degli stessi Atenei, promuovendo “abilità e competenze innovative per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro”. Gli ambienti scientifici creativi ed innovativi, a carattere multidisciplinare ed interdisciplinare come quelli del CNR sono, infatti, tra i più adatti a favorire quell’incontro tra “conoscenze” e “competenze” necessario soprattutto a individuare e a valorizzare le potenzialità dei nostri giovani migliori e più capaci, quelli desiderosi di un qualificato e stabile inserimento nel mondo del lavoro.

 

 

(*) Carlo Cottarelli “I sette peccati capitali dell’economia italiana”- Seria Bianca - Feltrinelli febbraio 2018

 

 

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