Mostra storica del sindacalismo riformista italiano al XVII Congresso della UIL
GIUGNO 2018
17° Congresso Uil
Mostra storica del sindacalismo riformista italiano al XVII Congresso della UIL
di   Roberto Campo

 

In Italia, l’industria si sviluppò con decenni di ritardo, e così pure il sindacalismo. La prima forma di organizzazione dei lavoratori italiani furono le Società Operaie di Mutuo Soccorso (SOMS). E da qui ha preso le mosse la nostra mostra. Il primo impulso alla costituzione di queste organizzazioni venne da Giuseppe Mazzini, che già nel 1840, fondò la prima associazione politica operaia in Italia, l’Unione degli Operai Italiani. Il loro grande sviluppo si realizzò nei decenni dopo l’Unità d’Italia (1861). Gli aderenti alle società di mutuo soccorso, lavoratori specializzati, pagavano quote, onerose, per garantirsi un sostegno in caso di malattia e perdita del lavoro.

 

Le mani che si stringono sono il simbolo maggiormente ricorrente. Le società di mutuo soccorso promuovevano inoltre formazione professionale e davano vita a cooperative di produzione e di consumo. Il pezzo più antico che abbiamo esposto è un orifiamma del 1872, di una SOMS milanese. Abbiamo inoltre esposto una bandiera del 1885 della SOMS del Comune di Luserna San Giovanni (Torino) e la bandiera del 1909 della Cooperativa di Consumo Piveronese, promossa dall’omonima SOMS. La Fondazione Centro per lo Studio e la Documentazione delle Società di Mutuo Soccorso (partecipata dal Consiglio Regionale del Piemonte) ha allestito per noi una teca con diversi materiali sul mondo del mutuo soccorso di fine Ottocento.

 

Poco dopo il 1870, cominciarono a nascere organizzazioni operaie di un nuovo tipo, le leghe di resistenza, ancora circoscritte agli specializzati, non più limitate al reciproco aiutarsi, ma protese a rivendicare miglioramenti, salariali, di orario e normativi, dal padrone, anche con lo sciopero. In molti casi, le funzioni del mutuo soccorso e della resistenza si sommarono. Le leghe di resistenza sono le antenate delle moderne categorie, ma ci misero tempo prima di superare la dimensione locale e di aprirsi ai non specializzati, diventando organizzazioni nazionali e non più di mestiere, bensì d’industria. Alla mostra, uno splendido stendardo della Lega di Resistenza degli Operai Fornai, di inizio Novecento, proveniente da L’Aquila.

 

L’ultimo quarto dell’Ottocento è ricco di lotte, spesso concluse con sconfitte, che però non fermarono la crescita del sindacalismo italiano. Le abbiamo raccontate soffermandoci su alcune vicende particolarmente significative. Il primo grande sciopero della storia italiana, quello di Biella del 1877. L’Associazione laniera tentò di affossare il regolamento redatto dal giurista socialista Pasquale Stanislao Mancini nel 1864, l’atto di nascita delle relazioni industriali in Italia. Gli industriali preparano unilateralmente nuovi patti di lavoro con condizioni vessatorie. Il rifiuto di accettarli comportava il licenziamento in tronco. L’agitazione, vasta e intensa, finì male per i lavoratori biellesi: la mutua tessile venne sciolta e i capi dell’organizzazione, licenziati, dovettero fuggire o emigrare.

 

Sconfitta anche le la rivolta contadina del Polesine (Rovigo) del 1882-85 nota come “la boje” (nel senso di: la pentola bolle, non se ne può più) e per il movimento democratico e socialista dei Fasci siciliani del 1891-94, un’occasione perduta per una diversa evoluzione del Sud. Le istituzioni non intervenivano o, se lo facevano, lo facevano contro i lavoratori, come nel caso dei Fasci o del più emblematico degli interventi repressivi, quello del generale Bava Beccaris, che sedò i tumulti per il caro-pane a Milano prendendo a cannonate la folla (1898). Anni durissimi, ma il sindacato si organizza sempre meglio. Nascono le grandi categorie: nel 1901,vengono fondate sia la Federterra, l’organizzazione dei braccianti, una peculiarità del sindacalismo italiano, sia la Fiom, Federazione Italiana Operai Metallurgici (da distinguere dalla Fiom del dopoguerra, la Federazione Impiegati Operai Metallurgici, aderente alla Cgil, che dopo il breve periodo unitario, è sempre stata guidata da una maggioranza ostile al riformismo, al contrario della Fiom di Ernesto Verzi, primo segretario, e Bruno Buozzi). Argentina Altobelli (braccianti) e Bruno Buozzi (metallurgici), riformisti, sono i nostri punti di riferimento nel sindacalismo pre-fascista.

 

Abbiamo esposto una preziosa fotografia del 1911, prestataci dall’Istituto Salvemini di Torino, con Bruno Buozzi e tutto il gruppo dirigente della Fiom. A fianco alle federazioni verticali di mestiere e industria, prese forma una seconda modalità di organizzazione dei lavoratori, orizzontale: le camere del lavoro, strutture territoriali, a partire dalla prima, la Camera del Lavoro di Milano, fondata nel 1891. Una prima grande vittoria viene colta proprio grazie alla dimensione confederale: lo sciopero di Genova contro la chiusura della camera del lavoro vede lavoratori di tutti i mestieri e le industrie fianco a fianco e si conclude con la revoca del provvedimento repressivo prefettizio (1900), cui seguì la prima caduta di un Governo, quello di Saracco, a seguito di una lotta sindacale, e la svolta impressa da Giolitti, che rese le istituzioni non più pregiudizialmente nemiche dei lavoratori.

 

Nel 1904, il primo sciopero generale nazionale della storia sindacale d’Europa, in risposta agli eccidi di Cerignola (Puglia), Buggerru (Sardegna) e Castelluzzo (Sicilia). Nel 1906, i rappresentanti delle Federazioni di Mestiere e delle Camere del Lavoro costituiscono la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL), organo di rappresentanza generale. La guida della confederazione sarà sempre dei riformisti, a differenza di quanto avverrà a livello politico nel Partito Socialista, che nel 1912 vedrà prevalere i massimalisti. È necessario avere chiare le differenze tra la CGdL fondata nel 1906, la CGIL del primo dopoguerra (1944-48) e la CGIL dopo le scissioni che daranno vita nel 1950 alla CISL e alla UIL: la CGdL fondata nel 1906 fu a maggioranza riformista, con in minoranza massimalisti e, dal 1921, comunisti (mentre i cattolici erano organizzati in un’altra confederazione, la CIL); la CGIL unitaria post-fascista mise insieme, sia pure per pochi anni, riformisti e comunisti, laici e cattolici; la CGIL dopo le scissioni del 1948-50 fu invece sempre guidata a maggioranza dalla componente comunista, culturalmente contrapposta al riformismo. È stata pertanto una forzatura della verità storica quella compiuta dalla CGIL nel 2006, quando ha preteso di festeggiare il “suo” centenario. La comune cultura riformista lega invece legittimamente la UIL a riformisti della CGdL.

 

Per queste ragioni, la UIL ha sempre sentito forte consonanza con la confederazione generale del lavoro di prima della cesura fascista e ha fatto di Bruno Buozzi, che ne divenne segretario generale nel 1925 e durante gli anni dell’esilio in Francia, il proprio padre spirituale. Accanto all’eredità principale della CGdL riformista, la UIL coltiva anche la memoria dell’Unione Italia del Lavoro, la UIdL (uidielle), che nacque nel 1918, non solo per il potere evocativo del nome. La UIdL fu espressione del sindacalismo rivoluzionario repubblicano; operò soprattutto in Emilia-Romagna e nel Veneto; subì una scissione fascista, si batté contro i fascisti, confluì infine nel 1925 nella CGdL. Non c’è una discendenza diretta dalla UIdL alla UIL, nondimeno, soprattutto in Romagna, le due storie condividono qualche dirigente sindacale e alcune suggestioni, come testimonia anche la bandiera che grazie alla UIL di Forlì abbiamo esposto, custodita a suo tempo da Giovanni Gatti, sindacalista UIL di antica tradizione risorgimentale mazziniana.

 

Il sindacalismo italiano di prima del regime fascista realizzò diverse conquiste. Presenteremo diversi personaggi che hanno fatto quella storia: oltre ai già ricordati Bruno Buozzi ed Argentina Altobelli, Rinaldo Rigola, Maria Goia, Pietro Chiesa, Giuseppe Massarenti, Giuseppe Cavallera, Arturo Chiari (cui è intitolata la Biblioteca Nazionale della Uil). Abbiamo scelto, in particolare, di illustrare l’epopea delle mondine, e vi invitiamo ad ammirare la foto del 1906 - che riproduciamo grazie al Museo Borgogna di Vercelli - che ritrae la festa delle mondariso per la conquista delle 8 ore: un “quarto stato” gioioso, i bimbi avanti, le donne dietro, sorridenti e vittoriose.

 

Il fascismo mise fine al sindacalismo libero. Il patto di Palazzo Vidoni con Confindustria (1925) sancì che gli imprenditori avrebbero riconosciuto esclusivamente i sindacati fascisti. Per un ventennio non fu più possibile la libera attività sindacale in Italia, se non in clandestinità. Il movimento dei lavoratori ebbe un ruolo nella caduta del regime, a partire dagli scioperi del 1943, che ricorderemo nella mostra. Di grande valore il patto della montagna 1944-45, stipulato nel biellese sotto occupazione nazi-fascista: il primo atto in Europa con cui si stabilisce la parità retributiva tra uomo e donna. Abbiamo esposto l’originale del Patto di Roma (1944), l’accordo negoziato tra comunisti, democristiani e socialisti, che costituì la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (Cgil), che Bruno Buozzi, che ne fu il maggiore artefice non poté firmare, essendo stato pochi giorni prima assassinato dai nazisti in fuga da Roma. Diversamente dalla CGdL del 1906, della Cgil del 1944 fecero parte anche i cattolici.

 

Questa Cgil-di-tutti visse pochi anni. Il clima bipolare della guerra fredda subentrò a quello unitario. Dal 1948, cominciarono scissioni che nel 1950 portarono alla nascita della Uil e della Cisl. La nascita della Uil fu un atto di disobbedienza: avvenne, infatti, sconfiggendo un vasto disegno politico supportato dagli USA e dal Vaticano che prevedeva la formazione di un solo sindacato libero anticomunista, che sarebbe stato ingessato dentro le rigidità della guerra fredda, e dominato dai democristiani. La Uil, orgogliosamente riformista, e quindi contrapposta allo stalinismo, non di meno rifiutò la subordinazione politica del sindacalismo italiano agli schemi della guerra fredda, e si batté per l’unità d’azione sindacale e dei lavoratori su obiettivi sindacali concreti.

 

Inoltre, la Uil sarà portatrice di cultura sindacale europea, che tra le mitologie filosovietiche comuniste e le suggestioni filoamericane cisline avrebbe avuto poca cittadinanza. Abbiamo esposto la delega di partecipazione all’assemblea del 5 marzo 1950, da cui nacque la Uil. Ma la Uil come la conosciamo oggi non fu fatta in un giorno. Il movimento delle adesioni proseguì successivamente al 5 marzo, e vi furono diverse organizzazioni autonome che nel corso del tempo scelsero di confluire nella Uil. Abbiamo documentato in particolare le storie della FIL di Ravenna, della Camera Confederale del Lavoro di Trieste, delle Organizzazioni Operaie Autonome di Molinella (Bologna) e dell’olivettiana Comunità di Fabbrica/Autonomia Aziendale di Ivrea. La mostra ha raccontato le culture politiche della Uil, risorgimentali, mazziniane, repubblicane, laiche, socialdemocratiche e socialiste, e la sua scelta di autonomia e indipendenza da partiti e schieramenti politici.

 

Notevole fu la figura del primo segretario generale della Uil, Italo Viglianesi, cui è intitolato l’Istituto di Studi Sindacali della Uil. Del difficile sindacalismo degli anni ’50-‘60, ma anche della creatività con cui si affrontarono quegli anni, con iniziative non solo strettamente sindacali, ma sociali e ricreative, come le colonie per bambini, la Befana Uil. Abbiamo esposto manifesti storici del tesseramento UIL, tutte le tessere dal 1950 a oggi, le celebrazioni dei decennali della nascita del nostro sindacato, i diversi loghi adottati nel corso del tempo, i distintivi, le bandiere, da quelle rosse (ma anche tricolori) delle origini a quella azzurra con richiamo all’Europa adottata dal 1998. Abbiamo esposto materiale delle diverse Categorie, così come della Confederazione nei diversi territori e dei Servizi Uil. Abbiamo chiuso con alcune sezioni tematiche: sindacato nei luoghi di lavoro; donne e sindacato; 1º maggio; lo stato sociale; il Mezzogiorno; la solidarietà internazionale; l’Europa. I momenti salienti della storia sindacale del secondo dopoguerra saranno, sia pur brevemente, richiamati: dall’autunno caldo del ‘69 allo Statuto dei Lavoratori del ‘70; dall’esperienza della Federazione Unitaria Cgil-Cisl-Uil 1972-84 alla rottura sulla scala mobile (decreto di San Valentino 1984 e referendum 1985); dal debutto del tema del fisco equo come obiettivo del sindacati confederale, con il convegno Uil “Io pago le tasse, e tu?” (1984) alla concertazione, culminata nel Protocollo del 1993, punto di approdo della strategia della politica dei redditi, anch’essa introdotta nel sindacalismo italiano dalla Uil. Gli avvenimenti più vicini temporalmente sono stati più sfumati, dato il taglio storico della mostra, ma non sono mancati riferimenti alle vicende sindacali nella cosiddetta Seconda Repubblica, fino alla straordinaria riconquista dei contratti nazionali, all’apertura di spazi di modifica della recente legislazione in materia di lavoro e previdenza, alla condivisione con le controparti di linee di riforma della contrattazione e della rappresentanza/rappresentatività: c’è chi tra gli studiosi del mondo sindacale ha messo a fuoco come degne di nota le “relazioni industriali 2014-2017”, e la storia continua in questo 2018. La mostra è stata ricca di cimeli, pezzi unici, documenti autentici, ma anche di nuovi manufatti, come gli otto ritratti ad olio dipinti da Licia Lisei con protagonisti della storia sindacale delle origini; i cinque disegni a china di Alessia Fattore, con i ritratti di Rinaldo Rigola, Bruno Buozzi, Argentina Altobelli, Maria Goia e Italo Viglianesi, utilizzati anche per comporre il logo della mostra storica; i loghi della Uil nel corso del tempo, dipinti su mattonelle e su sassi di fiume da Rossella Fattore. La mostra è stata inoltre arricchita da un filmato, preparato in collaborazione con la Uil Tv, con materiale di repertorio e la lettera che Simone Weil indirizzò nel 1937 a un operaio iscritto al sindacato, dopo che il clima favorevole creato dal Fronte Popolare aveva favorito in Francia l’iscrizione in massa al sindacato. Chiede Simone Weil al lavoratore: ti ricordi com’era prima? Prima delle conquiste sindacali. Quando le umiliazioni e le ingiustizie erano la norma. Il monito è a non dare per scontato ciò che è stato costruito in termini di tutele e dignità, ma a rinnovare l’impegno con il sindacato, affinché quel “prima” non torni più. Molto efficace la recitazione di Giorgia Coppi.

 

 

 

*Presidente Istituto Sindacale Italo Viglianesi

 

 

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