Una buona notizia per la previdenza complementare nel pubblico impiego
NOVEMBRE 2019
Agorà
Una buona notizia per la previdenza complementare nel pubblico impiego
di   Alessandro Fortuna

 

Nell’accordo del 30 novembre 2016 facemmo prendere al Governo l’impegno di “sostenere lo sviluppo della previdenza complementare” nel pubblico impiego. Ebbene seppur significativa la previsione, all’art. 1, comma 156, della legge 27 dicembre 2017 n. 205 (Legge di bilancio dello Stato per l’anno finanziario 2018), che ha esteso, a decorrere dal 1° gennaio 2018, per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni le disposizioni concernenti la deducibilità dei premi e dei contributi versati ai fini della previdenza complementare e il regime di tassazione delle prestazioni previsti dal d.lgs. n. 252 del 2005 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), permaneva comunque un regime differenziato, con applicazione del regime previgente, per i montanti di prestazioni accumulati dagli stessi tra il 2007 e il 2017. Facciamo un passo indietro! Con riferimento all’istituto del riscatto della posizione di previdenza complementare, la disciplina tributaria originariamente prevista nel 1993 assimilava tale reddito a quelli di lavoro dipendente. Il d.lgs. n. 252 del 2005 pertanto, con l’obiettivo di incentivare il ricorso alle forme pensionistiche complementari (in attuazione di quanto previsto dall’articolo 38, comma 2, Cost.1), ha introdotto a favore dei dipendenti del settore privato un regime agevolato basato sull’applicazione di un’imposta sostitutiva sull’importo riscattato in luogo dell’aliquota determinata sommando l’importo stesso al reddito complessivo dell’anno. Si prevede, infatti, che la prestazione erogata dal fondo pensione venga tassata con una ritenuta a titolo d’imposta e, quindi, in maniera distinta rispetto agli altri redditi del percipiente, senza concorrere alla determinazione del reddito complessivo. Senonché la ratio del beneficio riconosciuto a favore dei dipendenti privati, del resto, sarebbe, ed è, parimente ravvisabile anche nei confronti di quelli pubblici. La disciplina normativa, eppure, non operando allo stesso modo per tutti gli aderenti a forme pensionistiche complementari, ha generato, quindi, un trattamento fiscale differenziato tra dipendenti pubblici e privati relativamente al riscatto delle posizioni individuali maturate tra il 2007 e il 2017 nei fondi pensione negoziali. Questa disomogeneità più che per particolari motivi di merito è stato il risultato della mancata, o meglio parziale, attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 2, lett. p), della Legge 243/2004 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria), secondo cui si sarebbero dovuti “applicare i principi e i criteri direttivi [….] con le necessarie armonizzazioni al rapporto di lavoro con le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, previo confronto con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e dei prestatori di lavoro, le regioni, gli enti locali e le autonomie funzionali, tenendo conto delle specificità dei singoli settori e dell’interesse pubblico connesso all’organizzazione del lavoro e all’esigenza di efficienza dell’apparato amministrativo pubblico”. In sostanza, non essendosi proceduto in tal senso, se per un verso l’art. 21, comma 8, del d.lgs. n. 252 del 2005 ha abrogato l’impostazione del d.lgs. n. 124 del 1993, per altro, il successivo art. 23, comma 6, ne ha disposto la reviviscenza: «fino all’emanazione del decreto legislativo di attuazione dell’articolo 1, comma 2, lettera p), della legge 23 agosto 2004, n. 243, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applica esclusivamente ed integralmente la previgente normativa». Ecco così, dal 1° gennaio 2007 e fino al 31 dicembre 2017, si è originata una distinzione di disciplina in ragione della natura del rapporto di lavoro dell’aderente, rispetto a vari istituti della previdenza complementare. Arriviamo così alla Commissione tributaria provinciale di Vicenza che recentemente ha sollevato questione di legittimità costituzionale a seguito di un’istanza - negata dall’Agenzia delle entrate - di un’insegnante per ottenere il rimborso delle maggiori imposte pagate sull’importo riscattato dal Fondo pensione Espero. Il giudice a quo, nel caso di specie, ha definito la differenziazione dei regimi, come descritta, «una disparità di trattamento costituzionalmente rilevante».

Difatti, il cosiddetto riscatto volontario di una posizione individuale accumulata dopo il 1° gennaio 2007 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 252 del 2005), «se erogato a favore di dipendenti del settore privato iscritti a una forma pensionistica di natura negoziale di cui sono destinatari, beneficia della favorevole imposizione sostitutiva di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 252/2005, mentre il medesimo riscatto erogato a favore di dipendenti pubblici subisce una differente e penalizzante imposizione ordinaria che si configurerebbe nella maggiorazione dell’onere tributario, derivante dall’applicazione dell’art. 52, comma 1, lett. d-ter) del TUIR». Pertanto, il rimettente ha ritenuto che il d.lgs. n. 252 del 2005 risultasse «carente di una disciplina generale di armonizzazione con il settore pubblico» escludendo «irragionevolmente, al rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, il regime fiscale più favorevole introdotto dallo stesso decreto legislativo». Si lamentava quindi la violazione dell’art. 3 Cost., in lesione del principio di uguaglianza tra lavoratori del settore pubblico e di quello privato, nonché dell’art. 53 Cost., «in quanto una medesima fonte di capacità contributiva verrebbe sottoposta a due diverse imposizioni fiscali». Una valutazione che sorge spontanea del resto, dato che non si comprende come possa ritenersi la diversa natura del datore di lavoro un indice della capacità contributiva tale da giustificare un prelievo fiscale totalmente differente su medesimi presupposti d’imposta. Eppure l’Avvocatura dello Stato, d’altro canto, ha argomentato nella sua difesa che la stabilità del rapporto pubblico e la circostanza che i dipendenti pubblici percepissero e continuino a percepire trattamenti pensionistici obbligatori di importo pari «circa al doppio di quelli percepiti dai dipendenti privati», costituirebbero «ragioni sufficienti a giustificare una disciplina differenziata del trattamento fiscale delle prestazioni erogate dalle forme di previdenza complementare». I Giudici di legittimità correttamente hanno sottolineato nella parte in diritto della pronuncia che né il richiamo alla stabilità del rapporto di lavoro pubblico, che tra l’altro non risponde al caso oggetto di censura dato che attiene un’insegnante a tempo determinato, né i maggiori importi pensionistici, che probabilmente alludono ai passati trattamenti previdenziali erogati con regime di calcolo retributivo, sono utili a giustificare la scelta legislativa. I riferimenti non giustificano infatti la ragionevolezza di quest’ultima, perché in entrambi i casi (lavoratore privato o pubblico che sia) la prestazione sottoposta a tassazione è composta da contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro e dal TFR maturato nel periodo di adesione al fondo. Né può dirsi che incida in tal senso il fatto che, per i dipendenti pubblici, il TFR non venga periodicamente trasferito al fondo, dato che entra comunque nella disponibilità dello stesso al termine del rapporto di lavoro dell’aderente incrementato secondo il tasso di rendimento. I Giudici, pertanto, con sentenza 218/2019, hanno affermato il principio – che definirei di civiltà - che anche ai dipendenti pubblici deve essere riconosciuto il regime agevolato entrato in vigore nel 2007 per i soli dipendenti privati. La Corte ha dichiarato così l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 252/2005 nella parte in cui prevede che il riscatto della posizione individuale sia assoggettato ad imposta ai sensi dell’art. 52, comma 1 lettera d-ter2, del d.P.R. n. 917/1986 (Approvazione TUIR) anziché ai sensi dell’art. 14, commi 4 e 53, dello stesso d.lgs. n. 252 del 2005. Così l’ufficio stampa della Consulta: “È illegittimo il diverso trattamento tributario previsto per il riscatto di una posizione individuale maturata tra il 2007 e il 2017 nei fondi pensione negoziali. La previsione penalizza i dipendenti pubblici rispetto a quelli privati sebbene le due fattispecie siano sostanzialmente omogenee. Si tratta quindi di una discriminazione che viola il principio dell’eguaglianza tributaria”. Riferendosi al caso di specie continua la nota: “Su questo reddito ora si dovrà applicare la più favorevole imposta sostitutiva introdotta dal 2007 anziché l’aliquota determinata sommando l’importo stesso al reddito complessivo dell’anno. La Corte ha fatto leva sull’omogeneità del meccanismo di finanziamento della previdenza complementare sia nei fondi pensione negoziali dei dipendenti privati sia in quelli dei dipendenti pubblici, per concludere che la duplicità del trattamento tributario del riscatto della posizione maturata non può essere giustificata né dalla diversa natura del rapporto di lavoro né dal fatto che l’accantonamento del TFR dei dipendenti pubblici è virtuale, in costanza di rapporto di lavoro. Ha quindi esteso anche ai dipendenti pubblici l’agevolazione già prevista per quelli privati con lo scopo di favorire lo sviluppo della previdenza complementare”.

Una conclusione, insomma, che aveva trovato conferma nella stessa evoluzione legislativa che aveva provveduto – pur con l’eccezione dei montanti delle prestazioni accumulate fino al 1° gennaio 2018 – a ristabilire una situazione di omogeneità di trattamento. Questo rappresenta un passo più che importante proprio nell’ottica che abbiamo inteso fissare con l’accordo del 30 novembre, quella di promuovere compiutamente l’adesione al secondo pilastro di previdenza anche tra i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. L’adesione al sistema dei fondi negoziali significa accantonare in maniera costante e continua una parte della retribuzione della propria carriera lavorativa per ottenere una pensione, con rendimenti più favorevoli, che si aggiunge a quella corrisposta dalla previdenza obbligatoria. Cosa ben che auspicabile per i pubblici, soprattutto coscienti delle vicissitudini del posticipo e della rateizzazione delle buone uscite. Un’opportunità sicura e vigilata, quella del modello di previdenza complementare, cui lo Stato riconosce agevolazioni fiscali di cui altre forme di risparmio non beneficiano e d’ora in avanti, a seguito di questa pronuncia, questo varrà anche per i pubblici dipendenti come tutti gli altri lavoratori.

 

 

 

 

 

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