Lavoro Italiano - Editoriali  - Antonio FOCCILLO
Il sindacato deve riproporre la sua cultura della condivisione e della partecipazione
Il numero di dicembre 2017
pubblicoimpiego_big624.jpg
09/01/2018  | Pubblico_Impiego.  

 

di Antonio Foccillo

 

Come ogni anno, arrivati a dicembre, si apre una fase di riflessione su quello che si è fatto e su quello che si dovrà fare. Non c’è dubbio che negli ultimi tempi il Sindacato ha ritrovato il suo ruolo ed ha avviato una serie di confronti con il governo su varie tematiche a partire dalle problematiche sulla Previdenza fino ai contratti del Pubblico Impiego, raggiungendo importanti intese.

 

Si è passati da una volontà di emarginare il sindacato, più volte espressa e mantenuta dai vari governi che si sono succeduti, a un cambiamento che ha portato alla conclusione di accordi fra governo e sindacati, che sono stati sostanziati nella legge di bilancio di quest’anno.

 

Certo non basta e bisogna proseguire.

 

Occorrono programmi diversi più ampi e complessi da discutere insieme; occorre far vivere una concezione della “coesistenza” fra esperienze di pari dignità che ancora stenta ad essere accettata. Su queste basi si può dare davvero l’addio al passato e trovare nuovi assetti costruttivi da porre a confronto; questo è ancora possibile se pensiamo che oggi soprattutto è necessario decidere sulla qualità della nostra democrazia e sul rapporto fra essa e la speranza di lavoro e di impegno delle nuove generazioni. In questo e per questo il sindacato, uno dei pochi strumenti che ancora esistono della democrazia partecipata, della solidarietà, dell’uguaglianza, della giustizia sociale, può e deve fare molto.

 

Ma anche a livello politico bisogna ritrovare una volontà di collaborazione e ritornare a fare politica con la P maiuscola, ritrovando gli antichi valori.

 

Una società fondata sul pragmatismo e sul populismo, una società - come sostiene il Censis - fondata sul rancore, una società divisa e frammentata ha bisogno di ritrovare alcuni valori che la rimettano insieme e che la facciano sperare in un nuovo e migliore domani.

 

La prossima campagna elettorale con le relative elezioni dovrebbe porsi questi problemi e valutare come se ne possa uscire, altrimenti si rafforzeranno ancora di più l’astensione e la sfiducia verso la politica.

 

Oggi tutti si dichiarano nuovi e riformisti, ma ognuno demonizza il proprio avversario e si propongono varie soluzioni di parte ed alternative fra di loro, con l’obiettivo di cancellare tutto quello che i precedenti governi hanno fatto.

 

Credo che tutto questo non possa essere modificato se non si ripropone la cultura laica che oggi si è affievolita con la conseguenza di aver determinato intolleranza e divisione.

 

Quando dico spirito laico, intendo quella esperienza che ha formato tanti di noi nel sentimento del dubbio e non delle certezze, della difesa della libertà di chiunque di potersi esprimere liberamente anche quando la sua posizione è minoranza, di evitare dogmi e egemonie culturali e politiche, di valutare tutti gli aspetti dei cambiamenti e soprattutto di stimolare la partecipazione di tutti al dibattito ed al confronto.

 

La cultura laica è quella che ha fatto dello spirito della solidarietà e delle pari opportunità la sua bandiera, nella costruzione di società che rispecchiano valori ed ideali di pluralismo e uguaglianza.

 

Lo stesso sindacato si deve porre il problema. Si tratta, infatti, di riconoscere come il cambiamento del rapporto sindacato-politica sia tanto importante da non poter più essere valutato con l’ottica del passato, abbandonando quindi anche polemiche che spero siano superate e riconosciute come del tutto inutili.

 

Il rapporto tra i sindacati confederali e la politica, un rapporto che esiste da sempre e non solo in Italia, ha subito negli ultimi anni una profonda trasformazione.

 

Cgil, Cisl e Uil, negli anni del proporzionale, si muovevano in un rapporto o di autonomia o di cinghia di trasmissione. Ma credo sia più opportuno andare a vedere quello che è successo un minuto dopo la disintegrazione del sistema dei partiti del cosiddetto arco costituzionale e del sistema proporzionale.

 

Il bipolarismo del maggioritario ha spaccato in due la società e anche il sindacato, a detta di molti, doveva fare la stessa fine: una parte di qua e l’altra di là. Esattamente quello che non successe dopo la seconda guerra mondiale. Ed, infatti, puntualmente, non è successo neanche questa volta, sebbene il rischio di inseguire il bipolarismo sia esistito ed esista tuttora.

 

La rappresentanza confederale, per fortuna, non si è divisa in due parti contrapposte. Se il sindacato, infatti, si fosse schierato con uno dei due poli, avrebbe finito con il rischiare di perdere autorevolezza, poiché non sarebbe stato più riconosciuto dagli stessi lavoratori come libero ed indipendente.

 

Oggi addirittura siamo in una fase tripolare ed il sindacato confederale per mantenere una sua distanza deve invece elaborare una sua autonoma proposta e sulla base di questa condizionare il dibattito politico, costringendo le attuali forze politiche ad inseguirlo su proposte innovative e condivise, idee alternative che, in democrazia, il sindacato può affermare tra i lavoratori ed i cittadini.

 

Le strategie sulle quali il sindacato confederale deve riflettere sono, prevalentemente, relative alle risposte da dare all’ideologia neoliberista e conservatrice imperante. Dicendo solo no, paradossalmente, si viene accusati di conservatorismo, ed allora sebbene in qualche occasione credo sia legittimo e necessario dire no, in molte altre, invece, è opportuno fare proposte, aggredire il neoliberismo da sinistra, ossia in un’ottica autenticamente riformista, che punta al progresso sulla base di valori e principi storicamente acquisiti nel patrimonio genetico del mondo del lavoro italiano: diritti e solidarietà sociale che si declinano attraverso uno stato sociale rinnovato, più efficiente e rispondente alle esigenze mutate, ma che non abbandona ed esclude nessuno, salvaguardando pari opportunità e libertà per tutti i cittadini.

Il passo indietro dell’umanità è duplice: economico e politico, solo se discutiamo su diritti e valori sociali, poiché altrimenti, se discutiamo solo sui numeri, secondo le leggi del mercato, il passo può apparire in avanti. Se cresce qualche indice, se Wall Street non perde, non significa però che l’umanità vada avanti, infatti, ci sarà sempre una forbice più grande tra chi è ricco e chi è povero, in Italia e nel mondo, tra cittadini e tra continenti, tra chi può usufruire delle nuove tecnologie e del progresso e chi ne è escluso, sempre più.

 

Sul piano politico la società si sta orientando sempre più verso la virtualità delle discussioni, i partiti politici hanno chiuso le sezioni ed in realtà il sindacato è una delle poche realtà dove ancora si discute veramente, collettivamente. Questo è, storicamente, un punto a favore del sindacato, rispetto al partito politico: senza voler entrare in competizione è però evidente che il sindacato ha conservato strumenti, metodologie e pratiche democratiche che, invece, il partito politico ha smarrito. Ne deriva un sostanziale rafforzamento del sindacato, nei rapporti tra i due soggetti. Per questo il ruolo del sindacato è aumentato e, pertanto, deve contribuire di nuovo a sancire principi e regole dai quali non si deroga se sono riconosciuti come valori fondanti di una comunità ed il sindacato, per la sua natura e per il suo ruolo, deve indicarne alcuni ben precisi, anche alla politica che potrebbe essere concentrata su tutt’altre materie. Il lavoro è, infatti, il processo principale per l’emancipazione dell’uomo, gli consente in età adulta di contribuire al progresso della collettività e quindi deve essere riconosciuto, in base a criteri che il sindacato, in quanto rappresentante degli interessi collettivi dei lavoratori, può e deve valorizzare. Un sindacato consapevole delle proprie forze è in grado di farlo.

 

Un importante passo, inoltre, deve essere fatto sulla via di una ricomposizione costruttiva del rapporto tra partito politico e sindacato ed è quello del rispetto reciproco. Né “cinghia di trasmissione” né TUC del secolo passato, ma sia chiaro che un rapporto per iniziare bene deve partire dal rispetto reciproco. Recuperando il confronto dialettico, nella completa libertà d’espressione, si può essere in completo disaccordo ma resta un punto fermo, il rispetto dell’interlocutore che rappresenta un diverso punto di vista, sul quale confrontarsi senza dogmi in maniera tollerante.

 

Questo in effetti è un problema per tutta la nostra realtà: prevale l’urlo rispetto al dialogo ed anche in questo senso, ribadisco, il sindacato può portare il proprio bagaglio d’esperienza che sul dialogo, anche in questi anni difficili, ha costruito tutta la sua storia ed il suo modo di essere.

 

In definitiva il sindacato – per lo meno la Uil – deve dare alla politica un contributo costruttivo, una proposta di modello alternativo che si richiami ai valori ed ai principi che ho citato e su questa base sarà la politica a dare una risposta.

 

Bisogna, infine, rilanciare l’idea di una ricostruzione di una forza riformista, che rappresenti non solo la continuità storica con quel patrimonio di uomini e di idee che arricchiscono l’albero genealogico della cultura laica e socialista italiana, ma che sappia anche guardare al futuro con una prospettiva adeguata, consapevole della realtà globale che muta quotidianamente, sotto tutti i punti di vista, creando nuovi problemi, nuove sfide. Una società più articolata invece che frammentata, una società più attenta al lavoro che al profitto, che integra e non esclude, che guarda all’immigrato come ad un lavoratore con gli stessi diritti del lavoratore italiano, che garantisce pari opportunità attraverso la scuola pubblica, la sanità ed i servizi pubblici, una società che coesiste con il mercato, dandogli quelle regole necessarie a garantire la democrazia. Il sindacato è in grado di riproporre queste idee con forza ed autorevolezza, inserendole in una proposta innovativa che non si chiude nella conservazione ma apre al miglioramento della qualità della vita di tutti i cittadini, iniziando dai più deboli. Il merito dei contenuti su cui battersi è molto chiaro. Ciò che è di più difficile individuazione è lo strumento per attuare queste politiche ed il sindacato deve favorirne l’individuazione andando a stimolare, quasi a provocare, la politica, sfidandola sul merito.

 

Non è un ricatto e neanche un precetto, credo che piuttosto sia un dato di fatto: ad esigenze concrete e supportate da specifiche proposte, devono far seguito atti concreti, altrimenti inevitabilmente e senza per questo dire che sia un bene, la corrente delle idee riformiste andrà a cercarsi la sua strada, la dove viene lasciato spazio aperto.