Salute e sicurezza  - Silvana ROSETO
PER NON NAVIGARE A VISTA
Manuale per Rls e Rlst
13/10/2012  | Salute.  

 

L’attenzione individuale ed il comportamento

 

La storia industriale, ma non solo, insegna come i percorsi operati dall’uomo verso le soluzioni (in questo caso mirate alla tutela SSA) seguano sempre, nell’evoluzione della conoscenza e dell’approccio sostenibile, uno schema in tre fasi:

1. la prima fase passa dal lato tecnico e progettuale (la ricerca e l’applicazione tecnica su sicurezze o sistemi di protezione realizzati miratamente su strutture di cui si conosce il potenziale pericolo).

2. In secondo luogo sono formulate procedure, regolamenti e leggi d’uso comune basate sul concetto della “buona tecnica”, in altre parole regole scritte cui tutti si devono attenere, ma spesso derivanti dalla cultura post-evento, dall’esperienza acquisita quando il danno è avvenuto.

3. La terza fase, su cui è mirato l’obiettivo della recente normativa è quella, dove le persone adeguatamente motivate ed inserite nel sistema partecipativo, agiscono in modo preventivo (proattivo), prima che il danno, o evento negativo, avvenga.

Per consentire al lavoratore d’essere partecipe della propria attività e della domanda di sicurezza che ne deriva, è necessario collocarlo nella terza fase, cioè aiutarlo a passare da un atteggiamento passivo ad attivo, da reattivo a proattivo.

L’esempio più calzante per rappresentare graficamente un’analisi infortunistica è quello di considerare la natura di un iceberg. Gli incidenti di cui veniamo a conoscenza (quelli accaduti) sono rappresentati dal ghiaccio visibile, la parte emersa del blocco galleggiante che, secondo la legge fisica che attiene al galleggiamento del ghiaccio sull’acqua, è circa un decimo di quella immersa (in proporzione circa 10%-90%).

Questi incidenti, statisticamente parlando, quasi sempre ricalcano la tipologia che, nella totalità degli eventi infortunistici con danno (la parte visibile dell’iceberg), ad 1 incidente mortale ne corrispondono 30 con conseguenze gravi (per esempio invalidità, lesioni permanenti, inabilità alla mansione) e 300 con conseguenze medie e reversibili (per esempio, ingessature, inabilità temporanea, brevi ricoveri) ed un numero elevato e non quantificato con conseguenze lievi (medicazioni, piccole suture o altri eventi che spesso non comportano nemmeno l’assenza dal lavoro).

 

Immagine D7

 

La parte immersa dell’iceberg, enorme e non visibile, è rappresentativa di tutti i comportamenti sbagliati o modificabili e, più vicino al pelo dell’acqua, delle condizioni “d’infortunio mancato” e di rischio latente (di natura strutturale, meccanica, manutentiva, comprese quelle di carattere organizzativo, gestionale e comportamentale) presenti sul lavoro.

La stessa situazione, in proporzione circa 10%-90%, si nota nella maggior parte delle industrie (dati rilevati da statistiche internazionali) dove si è riscontrato che nel 85 - 90% degli infortuni è imputabile ad una causa/concausa comportamentale. Questo non significa che le cause vanno ricercate nell’intenzione della vittima a procurarsi la lesione o nella fatale evoluzione della propria negligenza (spiegazioni facilmente e tradizionalmente date dal management) ma in un ruolo attivo del comportamento negativo (non necessariamente proprio dell’infortunato), l’agire in modo rischioso (derivato, per esempio, da imposizioni impartite in modo sbagliato o da un’errata organizzazione del lavoro). Il rimanente 10 - 15% è generalmente dovuto a cause di natura tecnico-strutturale.

È ampiamente assodato che la componente umana è fondamentale nello svolgimento del lavoro, quindi, tornando all’esempio in questione, per conoscere le dimensioni totali dell’iceberg, soprattutto il volume della parte immersa perché parte determinante di quella emersa - la proporzione della parte emersa deriva appunto dalla spinta verso l’alto della parte immersa e quindi dal suo volume -, è necessario poter individuare e misurare anche i comportamenti umani.

Pensare di poter eliminare gli infortuni semplicemente togliendo o eliminando la parte emersa, cioè pensando di poter agire solamente su ciò che è evidente, sul risultato di un sistema migliorabile, è sbagliato perché la massa galleggiante continuerà ad alzare altro ghiaccio mentre sarà più produttivo togliere parte del ghiaccio immerso. Continuando con l’esempio, l’acqua, l’ambiente in cui galleggia il blocco di ghiaccio, è rappresentativa degli obiettivi, atteggiamenti e cultura aziendali, pertanto se la situazione (motivazionale e culturale) è inospitale per la sicurezza, si osserverà un fenomeno di “raffreddamento” della temperatura; la conseguenza logica sarà che il blocco di ghiaccio continuerà a crescere di volume perché troverà l’ambiente favorevole alla formazione di altro ghiaccio e conseguentemente ad aumentare la parte emersa (quella visibile).

Per ridurre la parte sommersa è importante scaldare l’acqua, agire dopo aver messo in evidenza tutti gli infortuni mancati e le loro cause, intervenire sulle radicalizzazioni inutili, sull’organizzazione del lavoro e sui comportamenti di tutti destinando, culturalmente, maggior attenzione alla sicurezza.

Questo non significa che non si debba agire sulle cause degli infortuni avvenuti, intervenire in modo reattivo è giusto ed importante, ma è sicuramente importante e più efficace affiancare a queste azioni un sistema che possa agire comunque sulla potenzialità infortunante, sia che essa si sia manifestata nel danno o che rimanga a livello potenziale.

Il “rischio zero” non esiste perché, continuando con l’esempio sinora praticato, finché ci sarà ghiaccio una parte dell’iceberg continuerà comunque ad emergere, ma tutte le azioni che saranno funzionali a togliere porzioni di ghiaccio o a scaldare l’acqua circostante, avranno come conseguenza il rimpicciolimento della parte visibile (che è sempre proporzionale al 10 % della massa totale), ovvero la riduzione degli infortuni.

La giurisprudenza nel comportamento del lavoratore

 

La Suprema Corte, Sezione Quarta Penale, con la sentenza 23 febbraio 2010 n. 7267 si è pronunciata in merito alla responsabilità del datore di lavoro per infortunio, fornendo interessanti chiarimenti in merito al concetto di abnormità e imprevedibilità della condotta del lavoratore nello svolgimento di mansioni proprie: "In linea di principio la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento (art. 41 c. 2, c.p.) quando sia comunque riconducibile all’area di rischio proprio della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle difettive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass.4, n. 21587\07, ric. Pelosi, rv. 236721)". E ancora, "a fronte di un orientamento che pretendeva, per dare rilevanza causale esclusiva alla condotta del lavoratore, non solo la abnormità e l’imprudenza, ma anche che la stessa fosse stata tenuta in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro, si è consolidato un diverso orientamento che conferisce rilievo causale anche a condotte poste in essere nell’ambito delle mansioni attribuite. In particolare si è affermato che può essere considerato imprudente ed abnorme ai fini causali, non solo il comportamento posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidate, ma anche quello che "rientri nelle mansioni che sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro" (Cass. IV, 40164\04, Giustiniani; v. anche Cass. IV. 952\97, Maestrini).

In sostanza partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, tale rimproverabilità viene meno se la condotta pretesa non era esigibile in quanto del tutto imprevedibile era la situazione di pericolo da evitare.

Ebbene un rischio può considerarsi prevedibile, quando, in base a massime di esperienza venga valutato che è possibile che vengano tenute determinate condotte a cui possono conseguire, non eccezionalmente, determinati eventi di danno o di pericolo".