Salute e sicurezza  - Silvana ROSETO
PER NON NAVIGARE A VISTA
Manuale per Rls e Rlst
13/10/2012  | Salute.  

 

La sanzione inesistente

 

Quando la legge non funziona

 

Pur migliorando la situazione generale, per i circa quarant’anni successivi alla loro pubblicazione, ossia sino all’emanazione del D.Lgs. n. 758/1994 intitolato “Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro”, i decreti 547/1955 e 303/1956 sono stati pochissimo e malamente applicati da buona parte dell’imprenditoria italiana a causa delle poche e irrisorie sanzioni in essi contenute e dell’orientamento culturale, ancora oggi diffuso nel mondo imprenditoriale, interessato ad investire solo sulle attività produttive con ritorni economici immediati, chiari e misurabili secondo parametri ben diversi dalla “filosofia” a medio/lungo termine dettata dalle norme per la salute e sicurezza sul lavoro.

Non va negato però che l’applicazione della normativa degli anni ‘50, avvenuta quantomeno nelle grandi imprese, e l’impegno sindacale in merito dagli anni ‘60 in poi, hanno portato, come risulta dall’evoluzione positiva della situazione infortunistica (prima con dati molto più gravi, poi “”stabilizzata” per parecchio tempo sui 1.200 morti e 1.000.000 di infortuni all’anno sul territorio nazionale e oggi in trend decrescente), ad un oggettivo miglioramento delle condizioni di lavoro.

Comunque, già negli anni ‘80 l’indagine condotta dalla “Commissione Lama” (1) fotografa una situazione critica delle condizioni di rischio che, anche dopo un trentennio, ad un’attenta lettura può sembrare ancora attuale. La Commissione parlamentare, indagando a fondo negli ambienti lavorativi ed adeguatamente supportata dal Sindacato, aveva evidenziato i punti deboli del sistema di prevenzione della sicurezza sul lavoro:

  • Elevato numero d’infortuni, con conseguenze gravi o mortali, nonché presenza sensibile di malattie professionali soprattutto in alcuni comparti (edilizia, cantieristica navale, attività estrattive e agricoltura).
  • Evasione dilagante degli obblighi di legge in materia di sicurezza sul lavoro, le cui punte massime si rilevano al sud, nelle costruzioni e nel lavoro in appalto e subappalto.
  • Insufficienza strutturale ed operativa dell’attività di vigilanza da parte dei Servizi di Prevenzione delle USL, a causa di un evidente sottodimensionamento degli organici ed assenza quasi totale (per il sud) dei servizi pubblici di prevenzione e protezione.
  • Mancanza d’istruzione, addestramento, formazione e informazione della manodopera, soprattutto giovanile.
  • Scarsa presenza ed incisività dell’azione sindacale in molti comparti, soprattutto quelli a rischio più elevato e quindi destinatari degli interventi più “corposi”.
  • Scarso controllo e potere contrattuale del sindacato sulle condizioni di lavoro, anche in settori di grande sindacalizzazione, soprattutto in presenza di crisi aziendali.

 

Da qui, arrivando ai giorni nostri, la situazione generale applicativa normativa si può così schematizzare:

1) - Dopo innumerevoli rinvii, e l’approssimarsi della scadenza ultima consentita per il recepimento delle direttive (si ricordi che il recepimento di direttive europee, consente modifiche esclusivamente in senso migliorativo ai contenuti che le hanno ispirate), fu evidente che non c’era più spazio per tentare la strada dell’aggiramento delle imposizioni o del “rimandare all’infinito” quindi, almeno nel primo periodo e dopo l’emanazione dei D.Lgs. 626/1994 e 758/94 (che aveva adeguato al costo della vita di allora le irrisorie sanzioni economiche comminate precedentemente). La maggior parte delle imprese dovettero a quel punto fare i conti con gli obblighi organizzativi e gestionali imposti dal nuovo quadro legislativo e con i previgenti obblighi, prevalentemente di carattere tecnico, spesso non applicati. Tuttavia in particolare per le nuove disposizioni l’impatto non è stato facile, non potendo spesso contare l’aziende su un tessuto culturale adeguato alla nuova domanda; l’impegno è stato quindi spesso “di facciata”, valutando e applicando, con l’appoggio di molti consulenti “fioriti” nel frattempo sul mercato di riferimento (sedicenti esperti spesso solamente in grado d’applicare moduli standard raramente mirati alla reale situazione produttiva), gli adempimenti minimi formali in grado di allontanare lo “spettro” sanzionatorio.

Se a questo aggiungiamo che gli ufficiali preposti alla vigilanza ed il controllo, per esiguità dei numeri e per disfunzioni organizzative (2), non sono in grado di eseguire un’azione capillare interessando tutte le attività lavorative di competenza (gli organici disponibili e le sovrapposizioni a carico d’Enti diversi e non intercomunicanti, mettono in evidenza come ogni imprenditore abbia remote possibilità d’essere soggetto a verifica), si è nel tempo sviluppata una cultura imprenditoriale mirata all’investire sul minimo consentito, alienando ed escludendo tutto ciò che potrebbe disturbare il sistema.

In quest’ottica, è facile comprendere come RLS/RLST divenga uno dei primi elementi di disturbo: figura vista più come problema che come opportunità, come elemento d’esplicita estrazione e cultura sindacale che come elemento d’interfaccia con le risorse umane aziendali al fine di adottare sistemi migliorativi per la salute e sicurezza sul lavoro.

2) - Tra g li imprenditori quelli con obiettivi esclusivi di guadagno e di riduzione delle spese, motivati ad intervenire solo quando necessario all’economia d’impresa, generalmente continuano a non investire sull’attività di sicurezza perché sono sicuri di non avere un ritorno economico a breve termine mentre, nella realtà dei fatti, potrebbe essere un investimento per lo più a medio-lungo periodo il quale, anche se certo per la resa economica attesa, non è interessante perché il mercato moderno non riesce a concepire investimenti di questo tipo (si pensi alla Società per Azioni che si vedono obbligate a distribuire, almeno annualmente, dividendi cospicui tra gli azionisti, pena l’abbandono di massa dell’interesse economico).

3) - L’applicazione della normativa sulla sicurezza, a partire dal D.Lgs. 626 del 1994, nei casi in cui è stata bene o male operata, è avvenuta prevalentemente presso le aziende di medi-grandi dimensioni, mentre tra le piccole realtà ci troviamo di fronte, ancora oggi, ad una diffusissima evasione. In quanto sempre più si estende il fenomeno relativo all’incremento delle micro imprese (spesso con connotazioni legali e fiscali discutibili), nate già piccole o conseguenza del fatto che le aziende di medie dimensioni si stanno dividendo in tante micro realtà (diffusamente non sindacalizzate e soggette a frequenti cambi di proprietà) e sempre più diffondendo i lavori per commessa/appalto (outsourcing), spesso decentratori di quelle fasi lavorative più rischiose e dequalificate, rispondendo all’impresa committente solamente per i risultati e le prestazioni richieste. Tutto questo avviene, generalmente, senza disporre d’adeguate risorse umane, temporali, professionali, strutturali, economiche ed organizzative che consentano di provvedere minimamente all’attività di prevenzione.

4) - I rapporti di lavoro sono sempre più orientati a favore dei contratti atipici, precariato, subordinato, parasubordinato e “sommerso”, lavoro nero, periodi di prova prolungati mentre cresce la concorrenza sleale delle aziende che utilizzano, nell’economia globalizzata, mano d’opera che costa meno, non solamente in funzione della paga destinata al lavoratore ma anche delle ridotte, o inesistenti, esigenze sindacali ed attenzioni alla tutela della salute e sicurezza.

Il tutto condito nell’ottica delle oramai dimenticate conclusioni del Ministro Cesare Salvi a “Carta 2000” (3) dove si legge: “... Il prezzo della competitività per un Paese non è rappresentato soltanto dai costi delle aziende ... sono anche ... i costi dei risarcimenti che si riducono con la prevenzione ... ci sono anche i costi sociali della insicurezza, i costi umani della dequalificazione e dell’impoverimento di quella grande risorsa che è il capitale umano ... Il tema della sicurezza si lega strettamente a quello della legalità delle imprese e del lavoro ...”. Il ministro dichiara che l’insicurezza sul lavoro non è “solamente un problema interno alle aziende ma questione che assume piena caratterizzazione sociale”.

Il 15 dicembre 1999 seguì la presentazione di una relazione più complessiva sull’intera situazione che si proponeva di valutare approfonditamente il “Documento conclusivo dell’Indagine conoscitiva sulla sicurezza e l’igiene del lavoro (4), in modo da “verificare quali e quante delle indicazioni conclusive contenute nel citato documento fossero state recepite ed avessero ricevuto attuazione e a quali cause si dovesse il perdurare di un fenomeno così socialmente ed umanamente grave”.

Ecco, riportate in sintesi, le conclusioni e affermazioni generali emerse:

bullet Sostanziale immutabilità dei dati relativi agli infortuni e alle malattie professionali.

bullet Il dato più grave resta quello relativo agli infortuni mortali.

bullet C’è ancora poca attività di prevenzione e permane troppo basso il livello complessivo della cultura della prevenzione, spesso gli interventi, quando attuati, sono mirati alla sola protezione (per esempio si evince il prevalente utilizzo dei DPI rispetto alle protezioni collettive).

bullet È necessario mettere in campo tutti gli strumenti, le azioni e le iniziative possibili, con un impegno comune che lasci sempre meno spazio ai pericoli di ogni attività lavorativa e che assuma i connotati di attività globale, a tutto campo, ispirata ad un disegno strategico e contrassegnata da una forte e convinta cultura della prevenzione.

bullet Prevenire significa evitare vittime, impedire la dispersione di un patrimonio umano fondamentale per l’intera collettività, eliminare o ridurre i costi, garantire sicurezza e serenità negli ambienti di lavoro, contribuendo così non solo alla produttività, ma anche al miglioramento delle relazioni industriali e comunque dei rapporti collettivi.

bullet Il livello di osservanza delle norme di sicurezza è ancora troppo basso e ciò non è dovuto solo a ragioni economiche, ma anche ad un deficit culturale. La partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti è spesso assente.

bullet C’è l’esigenza di completare la rete dei RLS e della garanzia della piena ed efficace attuazione dei diritti di consultazione informazione e formazione contenuti nel D.Lgs. 626/1994. È un problema da considerare sia sotto il profilo della normativa, sia sotto quello culturale, posto che la filosofia partecipativa deve essere compresa ed applicata da tutti e, quindi, non può essere semplicemente imposta.

bullet Le aziende tendono ad osservare le norme di sicurezza per il proprio personale, ma poi decentrano molti lavori ad imprese minori e talora poco affidabili. Sono aumentati gl’infortuni derivati dall’attività di trasporto merci (decentramento produttivo) e dalla mobilità del lavoratore sul territorio (variabilità della sede lavorativa).

bullet È emerso uno stretto collegamento tra inosservanze delle norme di sicurezza e lavoro sommerso. Va praticata una maggiore trasparenza in tutta la materia delle gare d’appalto e eliminata la pratica delle offerte al massimo ribasso.

bullet È necessario spezzare il silenzio su chi specula sul lavoro nero e chi è costretto a subire pur di lavorare. Occorre intensificare, quindi, in funzione del lavoro gl’interventi di carattere economico-sociale e quelli di riordino del sistema dell’immigrazione.

bullet Non c’è stata una grande campagna d’informazione, durevole e continua, né l’introduzione di elementi di sicurezza tra le materie delle scuole di ogni grado, poco si è fatto per sensibilizzare l’opinione pubblica e creare una sensibilità diffusa attorno a questi problemi.

bullet È difficile far capire ai singoli imprenditori che la prevenzione è un vantaggio perfino sul piano economico perché se ne giovino la competitività, la pace aziendale e la produttività. Si prospetta l’utilità delle norme premiali e di sostegno e di diffondere e consolidare il modello del bonus-malus, mutuato dal sistema assicurativo privato.

bullet Si evidenzia una certa tendenza, nel sistema sanitario nel suo complesso, a privilegiare interventi di tipo terapeutico rispetto alla prevenzione, proprio a partire dagli ambienti di lavoro, laddove il rapporto tra i due fattori va rovesciato completamente. Ciò significa rafforzare tutti gli studi, anche a livello universitario, finalizzati alla prevenzione, alla ricerca delle cause di rischio da eliminare, alla tempestiva scoperta delle malattie “nuove”, in una visione globale dell’individuo, e soprattutto del lavoratore, inteso come patrimonio umano e sociale da salvaguardare ad ogni costo.

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[1] La prima Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di lavoro, attiva tra il novembre del 1988 e l'agosto del 1989, presieduta da Luciano Lama.
[2] Si ricordi l’ancora attuale difficoltà di coordinamento tra competenze dell’Ispettorato del lavoro e operatori delle Asl.
[3] Conferenza per un Piano governativo per la prevenzione sul lavoro tenuta a Genova il 3, 4 e 5 dicembre 1999.
[4] Indagine parlamentare sulla sicurezza più conosciuta come “Smuraglia – bis”