Mobbing & Stalking  - Alessandra MENELAO
Intervista ad Alessandra Menelao Responsabile Nazionale dei centri di Ascolto Mobbing & Stalking UIL
Lettera 43, 16 ottobre 2017
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16/10/2017  | Mobbing&Stalking.  

 

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Molestie sul lavoro: storie e numeri dei "Weinstein italiani"

 

Almeno 1 milione e mezzo di italiane ha subito avance. Dalla stagista alla professionista fino all'operaia. Denunciare si può, ma non è facile. Molte sono bloccate da paura e sensi di colpa. Tre racconti a L43.

 

Di Francesca Buonfiglioli, Lettera 43

 

Può essere un invito a colazione, «per conoscerci meglio e poi ti insegno in cosa consiste il lavoro». Oppure un appuntamento per un apertivo perché «siamo così presi durante la giornata, almeno ci rilassiamo un attimo e parliamo del progetto». Perché no, l'offerta di riaccompagnarti a casa a fine orario. «Però fatti trovare all'incrocio, non sotto l'ufficio che poi, sai com'è, i colleghi sparlano».

 

«ALLA FINE POTREBBE ESSERE MIO PADRE». «Se non c'è nulla di male qual è il problema?», aveva pensato tra sé e sé F., appena entrata in un quotidiano nazionale come stagista. «E poi è mezzanotte passata... e potrebbe essere mio padre». F. veniva dalla provincia e quella era la "sua" occasione. Con gentilezza aveva accettato caffè e spremute alla mattina presto, e un passaggio a casa, dall'altra parte della città.

 

«E SE FRAINTENDO IL SUO COMPORTAMENTO?». «Non sapevo come ci si dovesse comportare», dice ad anni di distanza a Lettera43.it. «Non ero certo "scafata". Magari era normale comportarsi così e rifiutare mi pareva scortese. Per di più ero paralizzata all'idea di fraintendere il suo atteggiamento». In un paio di occasioni il capo - «ricordo ancora la sua erre moscia, strascicata e la stretta di mano molle», continua F. facendo una smorfia di schifo - accennò al lavoro e soprattutto a «quanto fosse difficile entrare nel mondo del giornalismo».

 

«LO RACCONTAI E MI CREDETTERO. POI SMISE». Forse per questo la donna si rese conto che no, quello non era un comportamento normale. E che se anche lo fosse stato, a lei dava fastidio. «Così presi coraggio e ne parlai con la responsabile del mio stage», continua. «Lei non mise per un attimo in dubbio la mia versione dei fatti. Mi disse che era mortificata e che se avessi voluto si sarebbe mossa per farmi cambiare redazione. Non volevo mollare, per me era importante che si sapesse. Rifiutai i pochi altri inviti che mi fece. E lui smise».

 

Lo scandalo Weinstein è stato come un detonatore: i racconti e i coming out di ricatti velati, subdoli e di molestie subite da donne sul luogo di lavoro hanno cominciato a moltiplicarsi, a intrecciarsi in un'unica storia collettiva. A partire dai social con gli hashtag #meToo e #quellavoltache. Una storia che parla di sensi di colpa, paure, vergogna. Di debolezze ma anche di coraggio.

 

IL RICATTO SESSUALE È "DEMOCRATICO". La molestia e il ricatto sessuale si sono così mostrati per ciò che sono: democratici, interclassisti e intergenerazionali. A subirli sono l'operaia, la giornalista, la cameriera, la dipendente pubblica e la star di Hollywood. E accomunano la ragazza alle prime armi e la 50enne. Per questo si è fatta strada la convinzione che, in fondo, «così va il mondo». E chi non se ne rende conto o è ingenua oppure finge di non saperlo.

 

CIFRE CHE SONO LA PUNTA DELL'ICEBERG. Quantificare il fenomeno è difficile. Secondo gli ultimi dati Istat oltre 1 milione e mezzo di italiane tra i 18 e i 65 anni hanno subito nell'arco della loro vita lavorativa ricatti sessuali. Di queste il 32% ha subito molestie e il restante 68% è stata oggetto di proposte sessuali. Cifre che però sono solo la punta dell'iceberg.

 

"I settori più colpiti dalle avance sono il commercio, il turismo e il pubblico impiego, mentre la fascia d'età più sensibile è quella che va dai 31 ai 50 anni"

 

Alessandra Menelao, responsabile nazionale centri di ascolto e mobbing Uil

 

Alessandra Menelao, Responsabile nazionale dei centri di ascolto mobbing e stalking contro tutte le violenze, spiega a Lettera43.it: «Nessuno sa dire esattamente di quali numeri si stia parlando. Per quello che mi riguarda, interessa il 15% dei casi che arrivano al nostro sportello Uil. A quanto ci risulta i settori maggiormente colpiti sono il commercio e il turismo e il pubblico impiego, mentre la fascia d'età più sensibile è quella che va dai 31 ai 50 anni».

 

ANCHE IL MONDO LGBT A FORTE RISCHIO. Ma a essere a rischio, continua la sindacalista, non sono solo le donne, che restano comunque la maggioranza contro lo 0,5% delle vittime maschili, ma anche gay, lesbiche e trans. «Rappresentano il 5% delle richieste di aiuto, sono una categoria molto a rischio».

 

La linea diretta tra molestia, ricatto e mobbing

 

Che le cose «siano sempre andate così» non significa che non debbano cambiare. Ma perché questo accada serve una rivoluzione culturale. «Spesso la donna che denuncia», dice ancora Menelao, «viene isolata dai colleghi e anche dalle colleghe, manca solidarietà sui luoghi di lavoro». Non solo: «Bisogna accettare culturalmente il fatto che una donna possa denunciare».

 

«CON IL JOBS ACT TUTELE RIDOTTE»​. Denunciare però non è facile. Per due motivi. «La paura principale è quella di perdere il lavoro», continua Menelao, «soprattutto oggi che con il Jobs act si sono ridotte le tutele». E poi perché la donna si sente in colpa. «Scatta un meccanismo per cui se il datore si permette di fare avance è perché è stato indotto a farlo», spiega la sindacalista. In altre parole il «me la sono cercata» è stato metabolizzato dalle donne.

 

MANCA UNA LEGISLAZIONE PUNTUALE. C'è dell'altro. «Paradossalmente molte donne non si rendono nemmeno conto di avere subito un ricatto», mette in chiaro Menelao. «La proposta esplicita "vieni a letto con me o ti licenzio" è rarissima. Nella quasi totalità dei casi, si tratta di ricatti subdoli e sottili». E quando la donna rifiuta, la vita può diventare un inferno. La responsabile Uil insiste infatti sulla «linea diretta» tra ricatto e mobbing. Per esempio dopo aver detto di no a un invito a cena del capo, è il ragionamento, improvvisamente ci si ritrova isolate, demansionate. Senza nemmeno sapere il perché. Per di più, per il ricatto sessuale così come per il mobbing manca una legislazione puntuale.

 

"C., dopo aver rifiutato il capo, ha ricevuto richiami disciplinari pretestuosi e la paura di perdere il lavoro si è trasformata in panico. Così si è ammalata: ansia reattiva"

 

Una «linea diretta» che conosce bene C., 50 anni. Operaia specializzata in una fabbrica, non ha avuto alcun tipo di problema finché non è stata notata dal titolare. C. aveva bisogno di quel lavoro perché era diventato l'unica forma di sostentamento per la sua famiglia dopo il divorzio. Il datore di lavoro aveva pensato di avere terreno facile e così ha cominciato il suo "corteggiamento". Proposte puntualmente respinte con garbo dalla donna.

 

PENSAVA DI ESSERE LEI A SBAGLIARE. Il suo rifiuto ha però innescato un logorio psicologico: C. è arrivata persino a pensare di essere lei a sbagliare. Così il suo atteggiamento in fabbrica è cambiato: stava sempre sul chi vive e si vestiva in modo sciatto sperando di passare inosservata. Ma non è bastato. C. ha cominciato a ricevere richiami disciplinari pretestuosi e la paura di perdere il lavoro si è trasformata in panico. Così si è ammalata: ansia reattiva.

 

BRACCIO DI FERRO CONTRATTUALE. Il medico l'ha indirizzata alla Asl dove la donna ha cominciato una terapia. Le assenze per malattia si sono sommate facendole superare il monte ore consentito. Nonostante questo il titolare non ha risolto il contratto, convinto che prima o poi sarebbe stata lei a rassegnare le dimissioni o ad arrendersi. C. invece si è rivolta a un centro di ascolto Uil. Una equipe l'ha sostenuta prendendo contatto col datore di lavoro per cercare una soluzione. Si è arrivati a formulare un accordo transattivo che ha ricondotto al giusto titolo la risoluzione del rapporto di lavoro.

 

L'onere della prova e l'aiuto dei sindacati: come denunciare

 

Denunciare è un percorso difficile e «delicatissimo», precisa Menelao. «Le prove infatti sono tutte a carico della lavoratrice che deve dimostrare di aver effettivamente subito molestie e ricatti. Non sempre si è preparate a raccoglierle». Per questo chi ha intenzione di denunciare deve conservare sms, chat, messaggi e rivolgersi a uno sportello sindacale.

 

OGNI STORIA HA UNA SUA STRATEGIA. A quel punto viene studiata una strategia. «Non esiste una soluzione uguale per tutte», sottolinea l'esperta, «si costruisce un intervento per ogni singolo caso». A volte si opta (come nel caso di C.) per le dimissioni garantendo le massime tutele per la lavoratrice, altre per il trasferimento in altra sede, quando è possibile. Altre ancora per la diffida dell'autore delle molestie.

 

L'ACCORDO QUADRO DEL 2016. All'inizio del 2016 poi Cgil, Cisl, Uil e Confindustria hanno ufficialmente siglato una intesa che recepisce l’Accordo quadro del dialogo sociale europeo sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro del 2007. Il documento sancisce che le molestie e le violenze sul luogo di lavoro sono inaccettabili, riconosce l'inviolabilità della dignità di lavoratrici e lavoratori e spinge alla denuncia di comportamenti molesti o violenti.

 

>> Il testo dell'accordo

 

«Le lavoratrici, i lavoratori e le imprese», si legge nel testo, «hanno il dovere di collaborare al mantenimento di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su principi di eguaglianza e di reciproca correttezza». Un passo avanti, certo. Ma l'accordo è limitato ai lavoratori con contratto di Confindustria, non sempre le aziende interessate sono al corrente della sua esistenza e non sempre viene applicato. Dove lo è, assicura però Menelao, «le donne si sentono più tutelate».

 

«HO RIFIUTATO L'APERITIVO E ADDIO LAVORO». Ci sono invece donne che pagano sulla loro pelle il rifiuto, senza poter contare sul alcun sostegno. B. aveva 24 anni e fresca di laurea guardava con entusiasmo il primo colloquio in una banca. «Avevo passato i test attitudinali», racconta ora a più di 15 anni di distanza, «e pochi giorni dopo il selezionatore mi chiamò alle 19.30 dicendo che era rimasto colpito dalla mia preparazione. Mi propose un aperitivo per definire l'ultima fase del colloquio». A B. parve strano, e chiese conto di quell'invito sentendosi rispondere che fuori dall'ufficio sarebbero stati più «rilassati» e avrebbero avuto la possibilità di «conoscersi meglio». Dopo averne parlato con la madre, B. prese tempo. Com'è finita? «Non mi hanno mai più richiamata», sorride amara.

 

Il senso di colpa e la convinzione di essersela cercata

 

E poi c'è il senso di colpa. La vergogna. Il silenzio. La scelta di non denunciare. P., esperta di comunicazione, era rimasta senza lo straccio di un lavoro. Così quando venne a conoscenza che un politico della sua città stava lanciando un nuovo progetto, lo contattò via mail presentandosi e allegando il curriculum. «Fui contentissima quando alcuni giorni dopo mi chiamò fissando un appuntamento», racconta a L43.

 

MESSAGGI DIVENTATI SEMPRE PIÙ INTIMI. «Fu una chiacchierata corretta, e cominciai a lavorare gratuitamente per il suo staff, sperando di poter essere assunta». Col passare del tempo, però, l'atteggiamento dell'uomo, sposato e con figli, divenne più intimo. «Mi mandava messaggi gentili che lì per lì non mi allarmarono: mi ripeteva quanto ero carina, brava e così via», continua la donna.

 

«SOTTO CASA MIA MI SALTÒ ADDOSSO». Dopo qualche mese di collaborazione, P. accettò anche un invito a cena. Tutto filò liscio, qualche domanda personale ma niente di che. Poi le offrì un passaggio a casa. Era inverno, notte, e P. accettò. «Fermò l'auto sotto casa mia e mi saltò letteralmente addosso infilandomi la lingua in gola», ricorda con la voce sottile. «Io naturalmente mi staccai da lui, gli dissi che forse aveva frainteso, che certe cose non le ritenevo corrette, e così mi lasciò andare». Ma non mollò la presa. I giorni successivi l'uomo le continuò a inviare messaggi dal tono inequivocabile. P, imbarazzata, cominciò a non rispondere. P. alla fine trovò un altro lavoro.

 

"Era un uomo potente, si credeva impunibile. Conosco molte colleghe che sono passate dal suo letto e ora hanno contratti indeterminati in giro. Io no, ma va bene così"

 

La testimonianza di P., esperta di comunicazione

 

Sono passati anni, ma ancora oggi continuano a frullarle in testa sempre gli stessi pensieri: «Se non mi fossi messa quell'abito elegante, al nostro primo incontro», «se non avessi accettato quell'invito a cena...», «forse ho flirtato senza saperlo, sono sembrata disponibile...», «perché quella sera non ho preso un taxi?», «non mi ha stuprata, in fondo ha solo allungato le mani... avrà anche pensato: "Questa stronza che si fa pagare la cena e non me la dà..."»; «e poi so che se sono carina, la vita è più semplice, ho rischiato e sapevo di rischiare».

 

«LE DONNE SMETTANO DI ESSERE COMPLICI». Poi P. si ferma un attimo e sbotta: «No, non vale. Io dovrei essere libera di vestirmi come voglio, di accettare cene o passaggi a casa senza per forza essere costretta ad andare a letto col mio capo». Lei non ha denunciato, anche se i messaggi li ha conservati. «Era un uomo potente, e come tutti gli uomini potenti si credeva impunibile. Conosco molte colleghe che sono passate dal suo letto e ora hanno contratti indeterminati in giro. Io no, ma va bene così». E conclude: «Finché noi donne continueremo a dire di sì, ad accettare i ricatti e a essere complici, le cose non cambieranno mai».