La situazione della vertenza sul personale delle società partecipate
FEBBRAIO 2018
Attualità
La situazione della vertenza sul personale delle società partecipate
di   Alessandro Fortuna

 

 

Partiamo subito col dire che la fumosità di questo tema, che si segnalava già due anni fa quando il decreto delegato Madia muoveva i suoi primi passi, è rimasta tale. Questo di certo non può confortarci anzi non fa che aumentare le nostre preoccupazioni come organizzazioni sindacali perché, come più volte ribadito, non vorremo trovarci di fronte al fatto compiuto. Varato il decreto, nemmeno questo ci è soccorso in aiuto. Lo scenario è rimasto tutt’altro che limpido perché ancora ad oggi nulla è dato sapersi sui numeri degli eventuali addetti coinvolti dai processi di razionalizzazione in avvio. Difatti la questione “gestione del personale” è rimasta sempre a latere di una vicenda che mediaticamente ha puntato i riflettori più che altro sui Cda, tuttavia la mancata attenzione non può farci sorvolare con superficialità sul vuoto normativo e sulla confusione pratica creatasi con la tardiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale relativo alla mobilità del personale eventualmente eccedente.
 
“Vuoto normativo” e “confusione” non sono termini usati con leggerezza ma sono il risultato di una lacunosità delle norme primarie e delegate sul fronte della tutela occupazionale che non fanno altro che ingenerare un caos applicativo a ricaduta sulle aziende, che sono poi il soggetto ultimo di un processo che parte dai piani di razionalizzazione delle partecipazioni detenute dagli enti controllanti. Perché ritengo che si sia incorso in vuoto normativo? In primo luogo perché il decreto Madia ha delineato una cornice temporale entro la quale affrontare le eventuali eccedenze, rinviando però a un decreto interministeriale (di concerto tra Ministero del Lavoro e della Funzione Pubblica) la definizione delle procedure nel dettaglio. In attesa di quel decreto, speravamo che in quella sede si potessero trovare le soluzioni per gestire la “mobilità” garantendo la continuità occupazionale in primis ma anche quella contrattuale. Ricordiamoci sempre che le aziende partecipate non sono soggetti di diritto pubblico ma pur sempre di diritto privato e questo anche se sulle stesse ovviamente incidono le partecipazioni pubbliche in termini di risorse disponibili e di scelte industriali. Ciò comporta che ci troviamo di fronte a lavoratori privati che pertanto – par ovvio ma forse non scontato – non sono paragonabili ai lavoratori delle Province che sono comunque stati garantiti, a suo tempo, nella corresponsione del salario anche non in costanza di rapporto di lavoro.
 
A questo problema fa il paio quello inerente l’applicazione del contratto a tutele crescenti al personale che transita da un’azienda all’altra. Difatti la dichiarazione di eccedenza, la mobilità e la ricollocazione avverrebbero con le regole esistenti (regime ammortizzatori sociali; eventuali procedure licenziamento collettivo; applicazione del contratto a tutele crescenti del c.d. Jobs act; etc). In un processo simile queste sono insufficienti. Ma non solo! Abbiamo più volte ribadito al Ministero che era fondamentale garantire la contiguità territoriale nel caso di passaggio in altra società e per quello avevamo avanzato notevoli perplessità sulla gestione in capo all’Anpal trascorsi i sei mesi di quella regionale. Ci pareva ovvio che questa sarebbe venuta meno passando a un circuito non più locale ma nazionale. Come se non bastasse dietro alla competenza regionale si celava un’ennesima criticità, ossia il fatto che la regione di riferimento per il singolo lavoratore sarebbe stata quella della sede legale della società che ben poteva differire dal luogo di lavoro del dipendente. Sul punto, infatti, manifestammo  
 
fin da subito la nostra contrarietà all’abrogazione delle norme inserite in precedenti finanziarie che per altri processi di riorganizzazione prevedevano un modello di mobilità, concertato con le sigle sindacali, tra aziende dello stesso ente controllante. Sinceramente non mi spiego perché si sia deciso di complicarsi così la vita con l’abrogazione di norme che comunque avrebbero potuto costituire una buona base di partenza. Personalmente, quindi, penso che tutta la vicenda sconti questa sorta di “peccato originale” compiuto da un Legislatore forse un po’ sprovveduto. Ciò detto, nel frattempo sono continuati gli incontri con il ministero anche alla presenza delle rappresentanze delle amministrazioni territoriali e in quelle sedi abbiamo nuovamente evidenziato i nostri dubbi e prospettato le nostre ipotesi con l’auspicio di inserirle nel decreto interministeriale che continuava a non arrivare nonostante i tempi stessero scorrendo finanche superando il primo previsto dal decreto legislativo, ossia il 30 settembre. Termine ultimo, questo, per gli enti controllanti per presentare i piani di revisione delle proprie partecipazioni. Tra l’altro quella scadenza palesava un altro scivolone: la coincidenza della presentazione dei piani da parte dei controllanti con la dichiarazione delle eventuali eccedenze da parte delle società controllate. Immagino che la ratio del Legislatore non fosse di certo quella di far coincidere i due adempimenti ma data la presentazione da parte delle amministrazioni solo in stretta prossimità di quel termine, ciò rendeva impossibile per le aziende rispettarlo di conseguenza.
 
Talché si è provveduto a posticipare (30 novembre) quell’adempimento nelle prime bozze del decreto interministeriale che iniziavano a circolare. Se non fosse che nessuna delle aziende coinvolte ha mosso un passo in assenza del provvedimento ministeriale, che nemmeno per quella data era riuscito ad entrare in vigore. Il tempo scorreva e la bozza del decreto continuava a non essere pubblicata in Gazzetta, forse si paventava qualche possibilità di modifica in legge di bilancio. Ciò viene da pensare perché la pubblicazione è arrivata proprio contestualmente alla legge di fine anno (23 dicembre). Il decreto si è presentato negli stessi termini che ci erano stati posti nella bozza, poi passati al vaglio della Conferenza delle Regioni, non curante di un calendario abbondantemente disatteso: confronto con le OO.SS., pregiudiziale alla definizione delle eccedenze (30 novembre); comunicazione alle stesse sigle sindacali delle eccedenze dichiarate (10 dicembre) e, infine, comunicazione alle Regioni (20 dicembre). 
 
Ne riporto il quadro.
 
1 Il decreto interministeriale stabilisce un termine per la comunicazione delle eccedenze alle rappresentanze sindacali, dove vengono indicati i motivi che le determinano, la collocazione aziendale, le categorie, le qualifiche di livelli di inquadramento del personale coinvolto.
 
2 Le società sono tenute ad inviare alle Regioni e alle province autonome, previa acquisizione del consenso del lavoratore al trattamento dei dati personali, per il tramite del sistema informativo unitario ANPAL, i seguenti dati relativi ai lavoratori eccedenti: a) generalità; b) dati di contatto; c) data di assunzione; d) tipologia contrattuale; e) contratto collettivo applicato; f) categorie, qualifica e livello di inquadramento; g) esperienza professionale, istituzione e formazione, competenze linguistiche, competenze digitali, competenze comunicative, competenze gestionali e organizzative, altre competenze, patenti e abilitazioni professionali per la guida; h) i motivi che determinano la situazione di eccedenza.
 
3 Ai fini del monitoraggio delle attività di ricognizione le regioni e le province autonome trasmettono all’ANPAL i dati sopra indicati.
 
 
 
Calendario ricognizione personale e delle modalità di formazione e gestione degli elenchi e agevolazione dei processi di mobilità
 
 
 
 
Ebbene, tralasciando i dubbi sulla validità di un calendario caduco, non è che poi si è avuta tanta premura nel renderlo subito operativo. La prima scadenza utile che si presentava era quella della trasmissione dei nominativi al sistema informativo predisposto a tal fine dall’Anpal, se non fosse che l’accesso allo stesso è stato reso possibile solo alla fine del mese di gennaio. In sostanza altro termine non rispettabile. Ma anche se fosse stato possibile ricordiamoci che quei nomi sarebbero stati inseriti nell’applicativo bypassando le necessarie comunicazioni alle OO.SS. e alle regioni. Con l’anno nuovo abbiamo avuto un altro confronto con la funzione pubblica senza esser, ancora una volta, confortati con dati certi.
 
L’assenza di misure di protezione dell’occupazione rimaneva evidente e l’insistenza nel voler percorrere una strada “monca” ci ha messo nella condizione di esprimere il nostro scetticismo sulla legittimità di quel provvedimento ministeriale e di formulare anche l’ipotesi di ricorsi in sede giudiziale avverso le decisioni intraprese dalle singole aziende sulla base dello stesso. Questo perché, essendo venute meno una serie di scadenze che presupponevano atti preliminari all’indicazione degli eccedenti nell’apposito sistema informativo Anpal, i termini – e quindi gli adempimenti - rimasti ancor “vivi” ci risultavano improcedibili. Certo, d’altro canto, è pur vero che gli amministratori delle società si ritrovano queste norme come una mannaia che li minaccia. Ecco quindi la “confusione” applicativa. Contestualmente, per cercare di capire se qualcosa si fosse compreso almeno in termini del bacino dei soggetti coinvolti, ci siamo rivolti al Mef ma anche in quella sede non abbiamo trovato lumi. Giustamente il compito del Mef è di monitorare i piani di riorganizzazione delle amministrazioni controllanti e non le scelte delle società controllate.
 
Senonché, lo scorso 15 febbraio, abbiamo concordato con Regioni, Anci e Upi un percorso comune per affrontare le pesanti criticità che sempre più si stanno materializzando, nell’obiettivo condiviso di salvaguardare l’occupazione attraverso un monitoraggio “sul campo” degli effetti dei processi di riorganizzazione e tramite la definizione di un nuovo assetto normativo da sottoporre al nuovo governo. L’intenzione delle parti mira ad arrivare a un protocollo d’intesa che accompagni un nuovo iter normativamente definito in sede correttiva delle disposizioni disattese del decreto Madia e del corrispondente decreto ministeriale. Il senso politico dell’incontro del 15 febbraio scorso è stato quello di dare un’indicazione di percorso alle amministrazioni regionali e locali che porti a costruire le condizioni, anche temporali, affinché il nuovo Governo possa assumere le necessarie modifiche normative ad invarianza della situazione di razionalizzazione in essere. A legislazione vigente, infatti, non è facile individuare quali possano essere le soluzioni utili per risolvere positivamente i richiamati problemi che si potrebbero aprire. Vediamo, a situazione data, quali termini rimarrebbero operanti: a) 31 marzo: data a partire dalla quale sarà l’ANPAL a gestire la mobilità nazionale; b) 30 giugno: data di fine del blocco delle assunzioni imposto alle società a partecipazione pubblica. Stante ciò, è evidente che a oggi si è venuti meno all’intenzione originale del Legislatore, trascorsi ormai i sei mesi previsti (dal 30 settembre al 31 marzo) dal Testo Unico, di agevolare in primo luogo la mobilità nell’ambito regionale, per poi passare solo successivamente al circuito nazionale. Senonché per chi legge anche il termine della gestione regionale sarà scaduto e alla data di chi scrive penso che ben poche Regioni abbiano avuto notizie e si siano potute ad adoperare in tal senso. Tra l’altro non possono assolutamente accettarsi interpretazioni a ribasso del succitato decreto che comprimono, se non anche rimuovono, alcuni termini (vedi quello della comunicazione alle sigle sindacali degli eventuali esuberi) e ne mantengono fermi altri (passaggio gestione Anpal), non curanti delle conseguenze sui lavoratori coinvolti.
 
La realtà dei fatti è che questo processo di gestione del personale non è mai partito perché fallace nella sua regolamentazione e non potrà certo avviarsi in queste modalità, pertanto è essenziale rimodulare il calendario attraverso un intervento normativo che però al contempo salvaguardi la tutela e la continuità occupazionale, prevedendo processi di ricollocazione chiari e in costanza di rapporto di lavoro. Bisogna porre rimedio a una situazione di pericolosità e confusione che si sta profilando e che reclama alcuni – ad esser buoni - punti di chiarezza in sede normativa.
 
 
 
 
 
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