Immigrazione  - Ivana VERONESE
Il caso Lodi e la discriminazione per asserita «insufficienza» della certificazione ISEE
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15/10/2018  | Immigrazione.  

 

Si va diffondendo in molte Amministrazioni la scelta di ostacolare l’accesso degli stranieri alle prestazioni sociali ponendo a loro carico oneri documentali sproporzionati e inutili, in contrasto con la normativa ISEE.

 

13.10.2018 - Ha avuto un vasto eco sui media, anche nazionali, la scelta del Comune di Lodi di varare un “Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate” erogate dall’Amministrazione locale ove è previsto che i soli cittadini extra UE, al fine di accedere a dette prestazioni, debbano presentare, contestualmente all’ attestazione ISEE, anche una certificazione relativa alle proprietà di beni immobili o mobili, rilasciata dallo Stato “di provenienza”, tradotta e autenticata dall’autorità consolare italiana nel predetto paese.

 

Analoghe previsioni sono contenute in atti di associazioni di Comuni (ad es. l’Azienda sociale sud Est Milano), mentre altre Amministrazioni hanno applicato i medesimi criteri anche per le prestazioni disciplinate da norme nazionali, escludendo così dall’assegno famiglie numerose ex art. 65 L. 448/98 e dall’assegno di maternità di base ex art. 74 D.lgs. 151/01 gli stranieri che, pur titolari di un reddito ISEE inferiori ai limiti di legge, non avessero presentato la citata documentazione aggiuntiva.

 

Quanto alle Regioni, la Lombardia ha varato una Delibera di Giunta invitando le Aziende Sanitarie  Locali a conformarsi a detti criteri, mentre il Veneto ha addirittura emanato una legge regionale (l.r. n.2/2018) nella stessa direzione.

 

ASGI si sta mobilitando su questo fronte e ha introdotto una azione collettiva contro il Comune di Lodi (prima udienza il 6.11.2018) volta a ottenere la rimozione del Regolamento. Inoltre ha supportato azioni individuali contro il Comune di Palazzago e ha in cantiere altre azioni analoghe.

 

In estrema sintesi le ragioni fatte valere in queste azioni (e riassunte anche nelle lettere inviate alle varie amministrazioni) sono le seguenti.

 

I regolamenti e delibere sopra citati pretendono di fondarsi sull’art. 3 comma 4 del DPR 445/2000 a norma del quale: “le qualità personali e i fattisono documentati mediante certificati o attestazioni  rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall’autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all’originale, dopo aver ammonito l’interessato sulle conseguenze penali della produzione di atti o documenti non veritieri.”

 

A prescindere dal fatto che tale differenza di trattamento tra italiani e stranieri, introdotta con un atto di fonte regolamentare, dovrebbe risultare in contrasto con il principio di parità di trattamento di cui all’art. 2 comma 5 Testo Unico sull’ immigrazione (“Allo straniero è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti dalla legge.“), ciò che più rileva è che il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 159/2013, che regola l’ISEE, ha superato le precedenti disposizioni.

 

Il DPCM disciplina infatti i criteri di accesso alle prestazioni sociali agevolate prevedendo che le regole ivi stabilite costituiscono “livello essenziale delle prestazioni” ai sensi dell’art. 117 Cost. e dunque tutte le Amministrazioni, allorché erogano una prestazione sociale, sono tenute ad attenersi ai criteri ivi indicati.

 

Ebbene la procedura ISEE è articolata in una DSU – Dichiarazione Sostitutiva Unica (di provenienza dell’interessato) redatta con modalità che non prevedono alcuna distinzione tra italiani e stranieri, tanto è vero che neppure i moduli allegati al DPCM prevedono una simile distinzione: lo straniero è infatti abilitato a inserire nella DSU la dichiarazione di “impossidenza” di beni all’estero.

 

Alla DSU seguono (ai sensi dell’art. 2, comma 6 DPCM) le verifiche di INPS e Agenzia dell’Entrate e infine il rilascio dell’ISEE, che non costituisce quindi autocertificazione ma attestazione pubblica del livello di reddito ai fini appunto dell’accesso a prestazioni sociali agevolate.

 

L’Amministrazione comunale non ha dunque alcun potere di inserirsi in un procedimento stabilito in sede statale e ritenerlo insufficiente, gravando così il solo immigrato di oneri eccedenti ciò che, per lo Stato, costituisce “livello essenziali delle prestazioni”.

 

A ciò si aggiunga che la pretesa dei Comuni è anche iniqua (perché in molti casi lo Stato di provenienza non ha possibilità di fornire le attestazioni richieste per mancanza di un sistema di catasto o di registri) e illogica perché le possibilità di controllo dello Stato sulle dichiarazioni di italiani e stranieri inerenti le proprietà all’estero sono assolutamente le stesse: anzi molte convenzioni con Stati di provenienza dei migranti prevedono espressamente uno scambio di informazioni che agevola gli eventuali controlli sulle eventuali dichiarazioni di “impossidenza” che il migrante può rendere in sede di DSU (si vedano ad esempio le Convenzioni con la Costa d’Avorio del 30.7.1982 ratificata in Italia il 27.5.1985 con L. n. 293 o con il Senegal firmata a Roma il 20.7.1998 e ratificata con L. n. 417 il 20.12.2000),

 

E’ dunque importante attivarsi per monitorare e contrastare i provvedimenti locali sul “modello Lodi” che rischiano di avere per gli stranieri un effetto di esclusione pari a quello di un esplicito divieto di accesso.

 

Va infine segnalato che la questione si pone in maniera diversa per le prestazioni pensionistiche, per le quali la questione è disciplinata da norma speciali e sulle quali è già intervenuta, in senso favorevole al migrante, la giurisprudenza di merito.

 

A cura del servizio antidiscriminazione ASGI

 

Delibera Consiglio Comunale di Lodi 

Lettera Azienda sociale Sud Est Milano

Sentenza del Tribunale di Milano