Immigrazione  - Guglielmo Loy
Espulsione e respingimento: come funzionano
Stranieri e normativa italiana
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22/01/2015  | Sindacato.  

 

A cura della D.ssa Maria Elena Arguello

 

Riferimenti normativi D.Lgs. 286/98, Titolo II, Capo II (da artt. 10 a 17)

 

Differenza tra respingimento ed espulsione

 

Si tratta di due procedure diverse ma entrambe hanno come obiettivo quello di evitare che le persone che non sono in possesso delle condizioni necessarie per entrare e soggiornare nel territorio italiano rimangano ugualmente nel paese in maniera irregolare e rappresentino un rischio sociale ed economico per lo Stato.

 

La attuale normativa in materia d’immigrazione prevede che le persone che arrivano alla frontiera senza essere in possesso dei requisiti previsti per l’ingresso vengo respinti direttamente in frontiera; invece coloro che non hanno i requisiti richiesti per il soggiorno nel territorio italiano vengono espulsi. In quest’ultimo caso, la polizia accerta se lo straniero ha qualche denuncia pendente, e in caso di esito positivo deve chiedere alle autorità giudiziarie il nulla osta al rimpatrio dello straniero. 

 

Il valico di frontiera si intende un qualsiasi punto di controllo presidiato dalla polizia. Il controllo effettuato nei pressi dei valichi di frontiera e diverso da quello operato lungo i confini, caratterizzati in Italia da un’ampia estensione costiera. Lo straniero può arrivare al valico di frontiera autonomamente o attraverso un contratto di trasporto (aereo, marittimo o terrestre). In Italia esistono 257 valichi di frontiera esterna. Nel caso in cui lo straniero arrivi alla frontiera senza il passaporto o un valido documento di viaggio e senza l’eventuale visto o nel caso in cui venga attuato il provvedimento di respingimento, il vettore che ha condotto lo straniero fino alla frontiera è tenuto a prenderlo immediatamente a carico e ricondurlo nel Paese di provenienza o in quello che ha rilasciato il documento di viaggio in possesso dello straniero.

 

Le persone che entrano nel territorio nazionale al di fuori dei valichi di frontiera, cioè attraversando i confini marittimi e terrestri in località non presidiate dalla polizia di frontiera, vengono respinte con l’accompagnamento alla frontiera disposto dal Questore. Ciò vuol dire che la persona è entrata in maniera clandestina nel territorio italiano, sottraendosi ai controlli di frontiera, ma è stato fermato mentre entrava ovvero subito dopo i confini (si intende subito dopo quando si parla di 10km dalla linea della frontiera terrestre e fino a 5km dal lido verso l’interno). I presupposti per l’adozione del respingimento sono indicati dalla legge (art. 10 del d.lgs. 286/98). Se lo straniero intende presentare richiesta di asilo, lo deve fare al momento che viene fermato alla frontiera e nel caso in cui non ci sia un valico di frontiera vicino, lo fa direttamente nell’ufficio immigrazione della Questura competente.

 

Come funzione la procedura di respingimento in frontiera?

 

Il cittadino straniero che si presenta al valico di frontiera senza avere i requisiti richiesti per l’ingresso e soggiorno nel territorio nazionale viene respinto direttamente dalla polizia, tranne nel caso in cui lo straniero dichiari di voler presentare la richiesta di asilo o di rifugio. Nel caso in cui lo straniero venga temporaneamente ammesso per necessità di pubblico soccorso, una volta passata l’emergenza, viene invitato a lasciare il territorio nazionale, così come nel caso di coloro che sono entrati sottraendosi dai controlli di frontiera ma vengono fermati all’ingresso o subito dopo in prossimità della frontiera. In entrambi casi l’interessato viene accompagnato alla frontiera per procedere al respingimento e viene punito con l’ammenda da 5000 a 10000 euro. Chi è stato sottoposto a questa procedura non ha il divieto di reingresso nel territorio ma comunque il respingimento viene registrato dall’autorità di pubblica sicurezza. Inoltre, per l’esecuzione del respingimento con accompagnamento alla frontiera non è richiesto il nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria, basta che il Questore ne dia comunicazione all’autorità giudiziaria competente ad avvenuta esecuzione del respingimento per l’accertamento del reato. L’autorità giudiziaria riceve la comunicazione e pronuncia la sentenza di “non luogo a procedere”, cioè che non si può procedere in quanto l’interessato non è più presente nel territorio italiano.

 

Come funziona l’espulsione in Italia

 

L’espulsione è un provvedimento che intima lo straniero a lasciare il territorio dello Stato e viene disposta quando non sussistono le condizioni o i requisiti per il soggiorno dello straniero in Italia, come ad esempio la persona che non ha rinnovato il proprio permesso di soggiorno entro il termine di legge di 60 giorni dopo la scadenza del documento e viene fermato dalla polizia. Se si tratta del primo provvedimento, la persona non viene accompagnato alla frontiera, a meno che non venga disposto l'accompagnamento nel provvedimento, ma nel caso venga trovato nuovamente in Italia, verrà accompagnato alla frontiera di uscita. Inoltre, se lo straniero rientra illegalmente nel territorio italiano prima del termine previsto dal provvedimento di espulsione (generalmente il termine è da 3 a 5 anni) è perseguibile penalmente per il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio italiano.

 

Essendo un atto amministrativo che incide sulla libertà individuale, il provvedimento di espulsione è soggetto alla verifica giudiziaria in merito alla sussistenza dei  presupposti di legge. Infatti, entro 48 ore l’autorità di pubblica sicurezza deve comunicare all’autorità giudiziaria il provvedimento e quest’ultima deve dare la convalida o meno dell’atto entro le 48 ore successive al ricevimento della comunicazione. Per la convalida si segnala un’udienza nella quale deve essere presente un difensore dello straniero (sia questo di fiducia o di gratuito patrocinio). In attesa della convalida lo straniero è trattenuto in un centro d’identificazione ed espulsione – CIE. Per l’esecuzione dell’espulsione gli unici presupposti necessari sono la compiuta identificazione dello straniero e la disponibilità di un vettore o di un mezzo di trasporto.

 

Ci sono dei casi in cui non è consentita l’espulsione, tranne che per motivi di ordine pubblica o di sicurezza dello Stato, come il caso dei minorenni stranieri, salvo il fatto che venga esercitato il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulso; il caso degli stranieri in possesso del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornante (rilasciato ai sensi dell’art. 9 del d.lgs.286/98); il caso dei coniugi o parenti conviventi entro il secondo grado di cittadini italiani e quello delle donne gravide o nei 6 mesi successivi alla nascita del figlio al quale provvedono.

 

Esistono due tipi di espulsione: quella amministrativa disposta dal Ministro dell’Interno o dal Prefetto, e quella disposta dall’autorità giudiziaria.

 

L’espulsione amministrativa

 

L’espulsione amministrativa può essere disposta dal Ministero dell’Interno o dal Prefetto.

 

Ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 286/98, il Ministero dell’Interno può disporre l’espulsione dello straniero, anche se non residente in Italia, per motivi di ordine pubblica o di sicurezza dello Stato, dando previa comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri nonché al Ministro degli affari esteri. Anche lo straniero titolare di carta di soggiorno oppure coloro che sono riconosciuti come rifugiati, gli apolidi, i minori di età, le persone che godono dell’immunità diplomatica possono essere destinatari del provvedimento di espulsione per motivi di ordine pubblica o di sicurezza dello Stato. Questa tipologia di espulsione prevede l’accompagnamento coatto in frontiera dello straniero a mezzo della forza pubblica e per la sua natura è rimesso alla discrezionalità del Ministro dell’Interno. È possibile presentare ricorso contro questo provvedimento presso il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio con sede a Roma.

 

Inoltre, l’espulsione può essere disposta autonomamente dal Prefetto o su richiesta oppure segnalazione di un qualunque organo di polizia, sia statale sia locale, anche se nella prassi è il Questore l’unica autorità a farlo, nei seguenti casi:

 

-     Allo straniero che venga identificato come membro di una organizzazione di tipo mafioso, camorristico o di criminalità organizzata, senza tener conto della situazione familiare o se lo stesso ha fatto ingresso in Italia per motivo di ricongiungimento familiare ai sensi dell’art.29 del d.lgs. 286/98. In questo caso l’espulsione è eseguita dal questore con accompagnamento della forza pubblica alla frontiera.

 

-     Se lo straniero è entrato nel territorio nazionale sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto subito dopo l’ingresso ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. 286/98.

 

-     Se lo straniero si è trattenuto nel territorio italiano senza aver richiesto il permesso di soggiorno nei successivi 8 giorni dalla data di arrivo, a meno che tale ritardo sia dovuto ad un motivo di forza maggiore. In questa classistica rientra anche il caso dello straniero per il quale non è richiesto il rilascio del nulla osta al lavoro in quanto dipendente regolarmente retribuito da persone fisiche o giuridiche residenti o con sede in uno Stato membro dell’UE, visto che il nulla osta può essere sostituito da una comunicazione, da parte del datore di lavoro, allo Sportello Unico per l’Immigrazione per il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art.27 comma 1bis. 

 

-     Se il permesso di soggiorno non è stato rinnovato entro i sessanta giorni dalla data di scadenza, salvo il caso il ritardo sia dipeso da forza maggiore.

 

-     Allo straniero al quale sia stato revocato, annullato o rifiutato il permesso di soggiorno.

 

In tutti i casi prima segnalati, tranne nel primo come già specificato, nell’adottare il provvedimento di espulsione nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ai sensi dell’art. 29 del T.U. per l’Immigrazione, bisogna tener conto sia dei vincoli familiari, della durata del soggiorno nel territorio nazionale nonché l’esistenza dei legami familiari, culturali o sociali con il paese d’origine. Il provvedimento deve essere comunicato allo straniero sia mediante consegna a mani proprie o notificato in maniera scritta e motivata. In entrambi casi devono essere chiare le indicazioni sull’eventuale modalità di impugnazione e la possibilità di accogliersi ai programmi di rimpatrio volontario e assistito dipendendo dal caso. Nel caso lo straniero non comprende la lingua italiana, ha il diritto di ricevere anche una sintesi del contenuto del provvedimento, nella lingua a lui comprensibile, o se ciò non è possibile, in inglese, francese o spagnolo, secondo la preferenza indicata dall'interessato. 

 

Dipendendo dal rischio di fuga dell’interessato, l’espulsione amministrativa disposta dal Prefetto può essere ordinata con accompagnamento coatto immediato in frontiera o senza accompagnamento in frontiera ma con l’intimazione a lasciare il territorio entro un limite di tempo stabilito nel provvedimento stesso. Si considera il rischio di fuga dello straniero, che dovrà essere sempre accertato dal Prefetto ogni volta, nei casi in cui l’interessato non è in possesso del passaporto o di un altro documento equipollente in corso di validità; quando egli non dimostra la disponibilità di un alloggio dove possa essere rintracciato; quando la persona abbia dichiarato o attestato falsamente le proprie generalità precedentemente; ovvero quando egli non ha rispettato uno dei provvedimenti emessi dalla competente autorità  tra il termine concesso per la partenza volontaria o disponibilità economica per procedere al proprio rimpatrio nonché nel caso in cui l'interessato faccia rientro nel territorio italiano senza l’autorizzazione da parte del Ministero dell’Interno o rientri prima del termine stabilito nel provvedimento. 

 

Ci sono alcuni casi in cui il Questore dispone l’accompagnamento in frontiera della forza pubblica. Si tratta dei casi in cui l’espulsione è stata eseguita dal Ministero dell’Interno o se lo straniero fa parte di una organizzazione di criminalità organizzata nonché l’espulsione sia il risultato di una condanna penale imposta come pena accessoria, in questo caso parliamo dell’espulsione giudiziaria. Anche nel caso in cui la richiesta del permesso di soggiorno venga respinta perché è infondata o fraudolenta o se lo straniero non ha rispettato, senza motivo, il termine concesso per la partenza volontaria, fatto che può essere considerato come rischio di fuga.

 

Se invece si tratta di un’espulsione senza accompagnamento in frontiera, l’interessato può richiedere al Prefetto la concessione di un periodo compresso fra 7 e 30 giorni per la partenza volontaria, anche attraverso i programmi di rimpatrio volontario ed assistito. Dipendendo dalle circostanze specifiche di ogni caso, quel periodo può essere prolungato. L’interessato deve dimostrare di avere una certa disponibilità di denaro proveniente da fonti leciti pari a una cifra compresa da uno a tre volte l’importo dell’assegno sociale dell’anno di riferimento, deve consegnare il passaporto sino al momento della partenza e ha l’obbligo di dimora o di presentarsi in orari e giorni stabiliti presso un ufficio di polizia. La questura, una volta che acquisisce la prova dell’avvenuto rimpatrio, avvisa all’autorità giudiziaria per l’accertamento del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato perché possa pronunciare la sentenza di “non luogo a procedere”. Se lo straniero viene trovato ancora in Italia diventa destinatario di una seconda espulsione, con accompagnamento coatto in frontiera e viene trasferito a un Centro d’identificazione ed espulsione - CIE, oltre ad essere condannato a una reclusione di periodo variabile (da 1 a 4 anni se rientra dopo una prima espulsione; da 1 a 5 anni se lo straniero è già stato denunciato per un primo rientro illegale).

 

Salvo che sia diversamente disposto, il divieto di rientro per lo straniero espulso opera per un periodo non inferiore di 3 anni e non superiore a 5 anni a partire dalla data di esecuzione dell’espulsione, dipendendo dalle circostanze pertinenti nel singolo caso. Nell'eventualità che lo straniero sia stato espulso per motivi di pubblica sicurezza o per associazione con la criminalità organizzata, il termine di allontanamento può essere superiore a 5 anni e la durata è determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso.

 

L’espulsione giudiziaria

 

L’espulsione che sia il risultato di una condanna penale imposta come pena accessoria si tratta di espulsione giudiziaria. Ciò vuol dire che, ai sensi dell’art.16 del d.lgs. 286/98, il giudice può imporre l’espulsione come pena accessoria quando emette la sentenza di condanna per un reato non colposo, cioè volontario,  oppure nel caso in cui lo straniero, ritenuto socialmente pericolo, sia condannato per uno dei reati indicati negli artt. 380 e 381 codice di procedura penale ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 286/98.

 

Nel primo caso, il provvedimento d’espulsione viene comunicato allo straniero, il quale può proporre opposizione entro 10 giorni, davanti al tribunale di sorveglianza il quale deve pronunciarsi entro 20 giorni. L’esecuzione del decreto è sospesa fino alla decorrenza dei termini di impugnazione o della decisione del tribunale di sorveglianza.

 

Si può impugnare un decreto di espulsione?

 

Si, lo straniero ha il diritto di opposizione al provvedimento di respingimento in frontiera o con accompagnamento. Per esercitarlo deve presentare la richiesta entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento al Giudice di pace del luogo in cui ha sede l’Autorità che ha disposto l’espulsione. Il ricorso non sospende l’esecuzione dell’espulsione, a meno che la persona non lo richieda espressamente al Tribunale competente. Se lo straniero ha abbandonato il territorio italiano dovrà presentare la richiesta presso la rappresentanza consolare italiana nel paese estero di residenza, nonché dovrà firmare una procura notarile presso il Consolato italiano ad un avvocato in Italia.

 

Lo straniero colpito dal provvedimento di espulsione può ritornare in Italia?

 

Solo nel caso in cui venga rilasciata un’autorizzazione speciale da parte del Ministero dell’Interno lo straniero colpito da un provvedimento di espulsione può ritornare nel territorio nazionale prima del periodo di allontanamento previsto dal provvedimento. Il rilascio dell’autorizzazione al rientro è fortemente discrezionale da parte del Ministero, che non ha alcun obbligo di esito positivo nei confronti dello straniero. La richiesta può essere presentata dallo straniero presso la rappresentanza consolare italiana all’estero, la quale procede ad inoltrarla al Ministero dell’Interno che, dopo verificare l’autenticità della firma e analizzare la documentazione che motiva la richiesta di reingresso, rilascia o meno l’autorizzazione richiesta. È importante dimostrare di essere in possesso dei requisiti necessari per ottenere un permesso di soggiorno legato alla motivazione per la quale si chiede il rientro in Italia. Il Consolato italiano notifica all’interessato il parere emesso dal Ministero dell’Interno in merito alla richiesta entro 120 giorni (termine per la conclusione del procedimento) e in caso di esito positivo, rilascia il visto per il reingresso . Rientrare in Italia senza tale autorizzazione rappresenta un reato penale e lo straniero può essere incarcerato per un periodo da 1 a 4 anni oltre ad subire sanzioni amministrative.

 

Decorso il termine di divieto, lo straniero può rientrare in Italia solo se dimostra che si è effettivamente allontanato.

 

Per quali motivi lo straniero espulso può rientrare in Italia?

 

-     Per motivi di giustizia: Lo straniero che ha bisogno di partecipare al procedimento penale può essere autorizzato a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l’esercizio del diritto di difesa, per partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali è necessaria la sua presenza. Il Questore autorizza il rientro in base alla documentazione presentata dall’interessato presso la Rappresentanza diplomatica o consolare. Ovviamente lo straniero deve lasciare l’Italia dopo aver adempito gli obblighi processuali.

 

-     Per ricongiungimento familiare: Nel caso sussistano i requisiti ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. 286/98 per il ricongiungimento familiare, la Prefettura può rilasciare il nulla osta per la stessa motivazione. È importante ricordare che se lo straniero risulta segnalato nel Sistema Informativo Schengen – SIS, la Questura rilascia il proprio pare positivo provvisorio nel caso non ci siano motivi ostativi. Per poter completare la procedura, lo Sportello Unico per l’immigrazione invita allo straniero espulso a presentarsi presso la Rappresentanza Diplomatica italiana per legalizzare la documentazione che attesta il legame familiare con il richiedente. Dopo questo passaggio, la Questura consente la cancellazione della segnalazione SIS dello straniero, autorizzando il rilascio del nulla osta e del successivo visto.

 

-     Autorizzazione del Tribunali dei minori: nella tutela dello sviluppo psicofisico e delle condizioni di salute del minore presente nel territorio italiano, il Tribunale dei minori rilascia un’autorizzazione temporanea che consente l’ingresso del familiare espulso. La stessa può essere revocata nel caso la motivazione per la quale è stata rilasciata non sussiste più o nel caso l’attività svolta dal familiare risulta incompatibile con le esigenze del minore o per la permanenza in Italia.

 

Centro per l’identificazione ed espulsione - CIE

 

Si tratta di strutture nelle quali il Questore può trattenere gli stranieri sottoposti a provvedimenti di respingimento o di espulsione ma che non possono essere eseguite immediatamente per diversi motivi (non si riesce a rimpatriarli perché non collaborano all’identificazione o perché dal Paese d’origine non arrivano i documenti necessari.) e l'interessato può essere ospitato presso la struttura solo dopo che gli sia stata offerta la possibilità del rimpatrio volontario assistito, evitando così l’espulsione, tranne nei casi in cui il provvedimento sia dettata da motivi pericolosità sociale dello straniero. La gestione e l’organizzazione dei centri è affidata ai Prefetti delle Provincie in collaborazione con la Croce Rossa Italiana e in alcuni casi con la Caritas oppure con altre organizzazioni del terzo settore, mentre la garanzia della sicurezza e del mantenimento dell’ordine pubblico nel centro è un compito delle forze  dell’ordine. Al momento dell’ingresso dello straniero nel centro, le autorità italiane sono obbligate a prendere contatto con la Rappresentanza diplomatica del paese di provenienza (o di sospetta provenienza) e i familiari dello straniero nel caso quest’ultimo lo richieda. Per trattenere la persona nel Cie, è necessario un provvedimento di convalida da parte del giudice di pace territorialmente competente entro le 48 ore successive all’adozione del provvedimento e solo dopo che venga notificato all’interessato, inoltre lo straniero non può lasciare il centro di sua spontanea volontà ma ha la piena libertà di comunicazione con l’esterno nonché la facoltà di ricevere visite. Nel caso ci siano minori all’interno del nucleo familiare, i genitori possono richiedere di tenere i propri figli con loro nel centro oppure questa decisione può essere disposta dal Tribunali per i minorenni. Per l’udienza di convalida del provvedimento, lo straniero può presentare il suo procuratore di fiducia munito di delega o può avere un avvocato di gratuito patrocinio nonché un interprete nel caso non capisca la lingua italiana. La convalida comporta la permanenza complessiva di 30 giorni all’interno del Cie. Le eventuali proroghe devono essere accordate con il Giudice di Pace, di due mesi in due mesi per un periodo massimo di permanenza è di 18 mesi. Contro i decreti di convalida e di proroga, lo straniero può presentare ricorso alla Cassazione, ma comunque il ricorso non sospende l’esecuzione della misura.

 

Una volta decorsi il termine massimo di trattenimento senza che gli impedimenti all’esecuzione coattiva dell’espulsione o del respingimento siano venuti meno, la misura del trattenimento decade e lo straniero deve essere rilasciato. Ad esempio, se lo straniero viene trattenuto perché non è in possesso di un valido documento di viaggio, una volta decorsi i 18 mesi massimi di permanenza e se ancora il problema del documento non è stato risolto, lo straniero non deve può soggiornare all'interno del CIE e, quindi, viene rilasciato.

 

Programmi di rimpatrio assistito

 

Se lo straniero non dispone di mezzi propri per ritornare al paese d'origine, può accogliersi ai “programmi di rimpatrio assistito” curati da organizzazioni internazionali, enti locali e associazioni attive nell’assistenza agli immigrati in modo tale di poter viaggiare in condizioni di sicurezza. L'autorità responsabile in Italia per la gestione dei fondi per questi programmi è la Direzione Centrali Servizi e l'Immigrazione del Dipartimento delle Libertà Civili ed Immigrazione del Ministero dell'Interno. Questa iniziativa è co-finanziata dagli Stati Membri dell'e Europea e dal Fondo Europeo Rimatri. All'interno del programma è prevista l'assistenza per l'organizzazione e il pagamento del viaggio e il supporto alla reintegrazione sociale e lavorativa nel paese d'origine.

 

Ai sensi dell'art. 7 della Decisione 2007/575/CE (rif. normativa italiana vigente Legge n.129 del 2 agosto 2011), le persone che possono presentare domanda sono i soggetti vulnerabili previste dall'art. 19, comma 2bis del d.lgs. 286/98 (disabili, donne sole con bambini, anziani, persone affetti da grave patologie o con problemi di salute fisica e/o mentale e senza fissa dimora); vittime di tratta, richiedenti e titolari di protezione internazionale o umanitaria; le persone che non hanno i requisiti richiesti per il rinnovo del permesso di soggiorno (e rinunciano al loro status e al loro permesso di soggiorno al momento della partenza, senza che questo comporti alcun tipo di divietato per il reingresso in Italia) o i destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento ai senti dell'art. 10, comma 2 del d.lgs. 286/98 che sono trattenute nei CIE ai sensi dell'art. 14, comma 1 del medesimo decreto legislativo o gli stranieri che hanno un provvedimento di espulsione ma che hanno un periodo per la partenza volontaria, cioè coloro che non hanno un accompagnamento coattivo in frontiera.

 

Non sono ammessi ai programmi di rimpatrio assistito i cittadini comunitari, gli stranieri in possesso di un permesso di soggiorno CE per lungo soggiornante, gli stranieri che sono sottoposti ad espulsione per motivi di pericolosità o nel caso in cui lo straniero ha violato le norme sul reingresso o le misure imposte dal Questore, così come coloro che hanno un’espulsione derivante da una sentenza penale (espulsione giudiziaria).

 

Il programma si divide in 4 fasi:

 

1.  PRE-PARTENZA: comprende la fase di informazione e orientamento nonché autorizzazione da parte del Ministero dell'Interno in caso di esito positivo e rilascio degli eventuali documenti necessari da parte della Rappresentanze Diplomatiche presenti in Italia.

 

2.  PARTENZA e ARRIVO NEL PAESE DI ORIGINE: comprende l'organizzazione del viaggio; l'assistenza aeroportuale e il pagamento dell'indennità di prima sistemazione e/o il rilascio del kit per prime necessità a cura degli Enti attuatori del Ritorno Volontario Assistito. Quest'ultimo passaggio avviene solo se è previsto nel programma al quale aderisce lo straniero. All'arrivo nel paese lo straniero viene accolto e, in caso di necessità, assistito per raggiungere la destinazione finale; se si tratta di minori o vulnerabili si procede alla riunificazione familiare, alla segnalazione ai servizi sanitari se necessaria, e alla consulenza per la reintegrazione solo se previsto dal progetto concordato con il migrante. Tutto ciò è a cura degli Enti attuatori del Ritorno Volontario Assistito nei Paesi Terzi di destinazione dei beneficiari.

 

3.  REINTEGRAZIONE NEL PAESE DI ORIGINE: Si tratta dell'accompagnamento alla realizzazione del Piano Individuale di Reintegrazione ma viene svolta solo se è prevista dal progetto al quale partecipa lo straniero.

 

4.  MONITORAGGIO: fino a 12 mesi dall'arrivo del migrante nel paese d'origine.