Antonio FOCCILLO: comunicato Stampa del 21/09/2018
La Democrazia oggi!
La Democrazia oggi!
21/09/2018  | Pubblico_Impiego.  

 

di Antonio Foccillo

 

Stiamo vivendo una stagione di cambiamenti, spesso contrari agli interessi generali, che dimostrano, ancora una volta, di essere inadeguati a rappresentare una vera svolta. Troppa distanza, per non dire altro, fra chi decide e chi ne subisce le conseguenze. Oggi, però, le nostre società, proprio per l’assenza di partecipazione democratica vivono una realtà quotidiana in cui si è prodotto: distruzione di ricchezza, impoverimento, attacco al mondo del lavoro, tensioni sociali, crisi del debito, rischio di implosione dello spazio europeo. Sono gli effetti odierni, da prima, della lunga crisi iniziata nel mondo nel 2007, e, poi, delle misure adottate sull’altare dell’emergenza. Su tutto ciò, si è rischiato di immolare la democrazia europea, per effetto delle imposizioni dei burocrati europei che hanno preteso la costituzionalizzazione delle regole dell’austerità, bloccando, così facendo, qualunque proposizione di modelli economici, sociali e politici alternativi.

 

La causa profonda del processo storico che potrebbe destrutturare la democrazia nella sua ispirazione fondamentale sta proprio nel fatto che la democrazia contemporanea, nata negli Stati–nazione, è stata insidiata dalla globalizzazione e dall’Austerity, cosi come quella classica ha perso terreno dinanzi a un processo di mondializzazione del potere.

 

Carlo Fusi, analizzando questi accadimenti, sostiene che: “Privati delle loro protezioni ed esposti alla bufera della competizione globale che ha provocato la concentrazione in poche mani di una colossale ricchezza aumentando le disuguaglianze e sgretolato l’intera classe media, le sue certezze ed il suo benessere economico, un numero crescente di cittadini ha cominciato a dubitare anche della bontà dei meccanismi democratici di rappresentanza … il successo travolgente di partiti e movimenti che si dicono populisti e sovranisti dipende dal fatto che recuperano un orizzonte “protettivo” nei riguardi di bisogni considerati irrinunciabili… (1)”.

 

In Italia, inoltre, lo scontro politico ha prodotto l’abbandono della coesione e ogni gruppo politico sostiene solo le tesi del proprio schieramento pertanto sono venute meno quelle posizioni di mediazioni fra interessi diversi e di solidarietà fra le persone. Cosicché l’unità del corpo sociale è stata continuamente divisa: governanti e governati, società economica e società politica, nord e sud, pubblico e privato. Sono aumentate le distanze fra i cittadini perché vi è stata, purtroppo, la crescita della povertà, dilatatasi anche a quei ceti prima considerati non a rischio. Nello stesso tempo ha conquistato terreno il fenomeno di una nuova emarginazione sociale.

 

Secondo Claudio Cerasa: “L’epoca della disintermediazione non ha generato solo una disaffezione progressiva verso i corpi intermedi, e verso ogni forma di intermediazione, ma ha fatto crescere sempre più nelle nostre società, e nelle nostre famiglie, una necessità di avere risposte letteralmente immediate… Le risposte immediate non possono essere anche mediate, a problemi complessi spesso non immediati, porta inevitabilmente a farti concentrare più su capi espiatori che sulle soluzioni… La vera sfida della società aperta oggi prima di combattere il populismo è quella di governare l’impazienza provando a far diventare l’attesa non un vizio ma una virtù (2)”.

 

In questi anni si è determinato un mutamento netto anche dell’ordine costituzionale e questo sta avvenendo nel contesto di una realtà ancora almeno formalmente democratica. Ma misure legislative e alcune prassi hanno affermato una sorta di “dittatura” della minoranza organizzata e hanno compresso i soggetti della democrazia. Bisognerebbe, invece, mantenere, in un sistema che ancora voglia essere democratico, pesi e contrappesi, per evitare la cosiddetta “dittatura” della minoranza.

 

Oggi, più che modifiche elettorali andrebbero ristabilite le connessioni della società alle istituzioni, in assenza delle quali la convivenza civile viene meno e una comunità politica si sfalda, precipitando nell’imbarbarimento.

 

Sul piano economico l’Italia da alcuni anni continua a pagare l’assenza di una politica economica orientata a promuovere e sostenere la crescita, congiuntamente ad un vero smarrimento di una propria politica industriale. I Governi hanno concentrato la loro attenzione esclusivamente al miglioramento dei conti pubblici, con scelte che hanno pesantemente penalizzato i lavoratori dipendenti, i giovani e i pensionati. Il necessario perseguimento di politiche volte al risanamento è stato fine a se stesso ed ha avuto come conseguenza quella di aggravare la recessione in atto nel nostro sistema economico e produttivo. Il limite maggiore dell’azione economica dei Governi è stato proprio quello di non sostenere sviluppo e crescita. Pertanto, da tutte le rappresentanze politiche e sociali deve venire una nuova iniziativa che metta al centro della discussione politica la ricerca di nuove proposte, di nuove regole e nuovi diritti, quale prospettiva per gli anni a venire. Occorrono programmi diversi, più ampi e complessi da discutere; occorre far vivere una concezione della “coesistenza” fra esperienze di pari dignità che ancora stenta ad essere accettata; occorre guardare con occhi attenti al rinnovamento, senza mostrare pericolose indifferenze; occorre ritrovare un rapporto con i giovani. Su queste basi si può dare davvero l’addio al passato e trovare nuovi assetti costruttivi da porre a confronto. Si devono rilanciare valori e solidarietà, coesione e certezze. Troppi in questi anni hanno lavorato per distruggere la cultura del dialogo e del rispetto dell’altro ed hanno accentuato le difficoltà delle istituzioni, mettendone in risalto soltanto gli errori e, così facendo, hanno delegittimato i rappresentanti delle istituzioni stesse e qualsiasi elemento di partecipazione democratica.

 

Bisogna, invece, essere capaci di proporre “un patto per il progresso” tra soggetti autonomi, portatori di interessi diversi e con gradi diversi di responsabilità istituzionale, culturale e sociale, ma tutti uniti contro il rischio di imbarbarimento della convivenza civile. La parte sana della società deve evidenziare nel Paese il comune sentire circa l’urgenza di porre fine alla perdurante situazione di povertà economica e infrastrutturale e quindi avanzare la richiesta di contribuire a ridefinire “regole nuove”, capaci di garantire il delicatissimo passaggio politico–istituzionale, che stiamo vivendo. Non v’è dubbio che tale svolta, richiederà un complesso sistema di regole, capaci di rendere più trasparenti e controllati. Si devono ricercare tutte le “condizioni per la democrazia”, come le definisce il sociologo americano Lipset (3), che siano in grado di assicurare lo sviluppo di un autentico Stato di diritto, una divisione effettiva dei poteri, l’autonomia della Magistratura, un ruolo attivo delle forze sociali e dei partiti. Diventa, quindi, pressante un impegno comune affinché il confronto sia ricondotto nell’ambito e nel rispetto dei diversi ruoli istituzionali, seppure nel contesto di una dialettica di contrapposizione politica. E, in una società in cui la democrazia rappresentativa sembra al tramonto, la gente vive la politica come un corpo estraneo, lontano, inafferrabile.

 

In aggiunta la “deriva leaderistica” ha concorso pesantemente a rafforzare questa espropriazione del diritto di poter partecipare alle decisioni collettive, autonomamente e criticamente, producendo crescenti fenomeni di rigetto nei confronti di “questa” politica, misurabile nell’aumento esponenziale del non–voto, o di movimenti anticasta la cui identità viene mistificata parlandone in termini di “antipolitica”. La legittimazione sostanziale della democrazia sta nella sua radicale alienità dalla rivoluzione e dal terrorismo. Ne consegue che la violenza verbale, la delegittimazione reciproca di maggioranza e opposizione, vanno evitate perché eccitano intolleranza e scontro tra i cittadini. La democrazia è colloquio in ogni luogo sociale, a partire dalla sua istituzione fondamentale che è il Parlamento. Eppure, nel corso della storia umana, la preferenza a volte è stata a favore del governo di pochi o di nazionalismi e dittature che insediavano un uomo solo al comando. La distorsione sistematica dei fatti e dei loro significati ad opera della demagogia e della propaganda o la verità celata dalla ragion di Stato o il perseguimento d’interessi spesso illegali o egoistici inducono una violenza psicologica nei cittadini con l’effetto di limitarne la libera determinazione dei comportamenti nell’esercizio dei diritti individuali e collettivi. La trasparenza della vita pubblica è condizione delle scelte libere e responsabili delle persone. Se queste scelte non sono né libere né responsabili, la democrazia diventa finzione di riti e procedure formali con il vizio originario di una coscienza violata e offuscata. In una democrazia rappresentativa non può non essere il Parlamento, ove si conduce una leale competizione tra maggioranza e opposizione, il luogo della più alta visibilità della libertà di coscienza.

 

Ma vi è un secondo valore costitutivo della democrazia contemporanea ed è la cultura, che diventa un problema politico, quando se ne scopre la forza, impiegabile sia a vantaggio dello Stato sia per la causa della libertà dei cittadini. La democrazia stessa ha bisogno di un consenso libero e critico dei cittadini, per non cadere nelle coazioni demagogiche di una propaganda politica alimentata dall’ignoranza, dalla disinformazione, dalla formazione intellettuale o subcultura faziosa. Tutti sintomi che sembrano preparare l’eclissi della democrazia stessa, che prelude non ad un vero e profondo cambiamento, ma a possibili fuoriuscite autoritarie dalla crisi, nuove deleghe in bianco alla tecnocrazia o al populismo. Le alternative, vagheggiate di Democrazia Diretta, invocata con il Discorso agli Ateniesi (4), oppure ricordando l’esperienza dell’Islanda e la sua rivolta con tanto di normazione retroattiva, o ancora la fantasmatica Democrazia Deliberativa di Popper (5), ove si ipotizza che un intero popolo possa divenire “Gruppo in fusione” che, sempre e perennemente mobilitato, decide su tutti e su tutto, sono tutte soluzioni che non hanno la forza per dichiarare la fine della democrazia rappresentativa, anche perché ignorano il problema fondamentale che non sta nel sistema di funzionamento della democrazia ma nell’assenza di valori ideali, sociali su cui deve basarsi lo stare insieme di una comunità nazionale.

 

Si impone, pertanto, proprio alla luce di queste considerazioni, l’esigenza di ripensare le regole della convivenza democratica, perché la democrazia è riconoscimento reciproco, è garanzia di pluralismo, è tutela delle diversità, è doveri e diritti, tutti principi che nell’attuale realtà sembrano essere stati messi da parte.

 

Su queste tematiche le battaglie sindacali possono essere ancora vincenti e soprattutto coinvolgendoli in particolare, se si continua a guardare la società, i cittadini, i lavoratori, i giovani in una nuova ottica di partecipazione e non come comparse passive di scelte fatte da altri. Il movimento sindacale deve essere una forza sociale portatrice di un’identità con un ruolo progettuale che gli faccia riconoscere il suo essere interlocutore sociale. Il sindacato, infine, proprio per la sua storia di organizzazione pluralista e riformatrice, deve imporre il recupero del confronto dialettico, che si svolga nella completa libertà d’espressione e nel rispetto dell’interlocutore. Solo così si rafforza il sistema democratico violato, da chi, invece, rifiuta il confronto (6).

 

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1) Il socialismo è morto? Viva il socialismo!, Il Dubbio 26.9.2018
2) C. Cerasa, Manifesto contro la politica on demand, Il Foglio 27.9.2018
3) S.M. Lipset, 1963, L’uomo e la politica, le basi sociali della politica, Edizioni di Comunità, Milano
4) Pericle, Discorso agli Ateniesi, pronunciato nel 431 A.C.
5) G. Pairetti, Democrazia deliberativa una ricostruzione critica, Manifestolibri
6) A. Foccillo, 2016, Democrazia Economia e Sindacato, Aracne editore, Roma