Antonio FOCCILLO: comunicato Stampa del 20/01/2017
Tragedie, buoni propositi e pochi fatti
Tragedie, buoni propositi e pochi fatti
20/01/2017  | Pubblico_Impiego.  

 

di Antonio Foccillo

 

Il pensiero non può che correre subito all’Abruzzo e a quelle maledette sciagure che hanno stretto la morsa sulla regione verde d’Europa. La natura in pochi giorni è stata inclemente e ha messo in ginocchio questo territorio. I danni delle copiose nevicate sfiorano stime da capogiro a cui poco realisticamente i singoli Comuni riusciranno a far fronte se non ci sarà un consistente intervento da parte dello Stato. In quei giorni all’isolamento di interi paesi e quartieri, causati dall’impraticabilità delle vie di circolazione, si sono aggiunti numerosi guasti sia alla rete idrica sia a quell’elettrica, che sono persistiti per diversi giorni, facendo rimanere così anziani e intere famiglie nelle loro case senza luce e riscaldamento con temperature che si aggiravano al di sotto dello zero. Come se ciò non bastasse, anche la terra ha ripreso a muoversi e con violenza. Questa volta senza mietere vittime e lasciando solo tanta preoccupazione in chi aveva ancora lucide nella mente le esperienze de l’Aquila del 2009 e il vicino dramma di Amatrice.

 

Purtroppo la tragedia è arrivata ugualmente in quella stessa giornata con l’incubo del resort di Rigopiano nel comune di Farindola (Pescara). La montagna ha scatenato tutta la sua violenza spezzando tante vite e tante famiglie che soggiornavano in questo caratteristico albergo immerso nel verde delle montagne abruzzesi. Solo la tenacia umana di chi, nonostante travolto da questa furia, ha resistito giorni intrappolato e dei soccorritori che hanno impiegato tutte le loro energie giorno e notte, in condizioni difficilissime, nella speranza di salvare tutti gli ospiti del resort hanno ridonato all’Abruzzo un po’ di speranza e un po’ di sollievo in questo disastroso inizio del 2017.

 

E proprio i sopravvissuti e i soccorritori tutti, eroi che si sono strenuamente spesi, rischiando la loro vita per il pericolo di ulteriori slavine, sono l’immagine migliore di questa terribile vicenda, un’immagine di solidarietà, di forza e di voglia di vivere dell’Abruzzo e di tutta l’Italia unita nella speranza che da quei detriti innevati arrivassero buone notizie.

 

Alla gioia per i sopravvissuti, però, corrisponde il dolore immenso di chi non ce l’ha fatta e ha visto sgretolarsi in un attimo la propria famiglia, special modo per quei bambini che non potranno più abbracciare i propri genitori.

 

Giorni terribili in cui la natura non ha avuto pietà nemmeno per altre 6 persone, precipitate con un elicottero del 118, impegnato in un’operazione di soccorso, nei pressi dell’aquilano a causa anche delle precarie condizioni atmosferiche di quei giorni.

 

Qualcosa di incredibile per cui è difficile trovare parole e forse la cosa migliore è proprio rimanere in un rispettoso silenzio nei confronti di quanti questi giorni piangono e non speculare su queste tragedie, come purtroppo a volte fanno i mass media che focalizzano l’attenzione nell’immediato per poi gettare tutto nell’oblio pochi giorni dopo. Questa enfatizzazione mediatica è per l’appunto temporanea ma il dolore rimane e segna le persone che ne sono indelebilmente colpite e, allora, quali sono le risposte che possiamo dare e quali sarebbero le scelte che dovremmo prendere d’ora in avanti per evitare che tutto ciò si possa ripetere? Certo la natura non si può prevedere e forse nemmeno controllare ma sicuramente l’uomo può e dovrebbe rispettarla. Evitando polemiche sul caso specifico, sono ormai fin troppi anni che una sparuta parte delle società civile e non solo lancia allarmi contro gli abusi edilizi e gli eccessi della cementificazione del suolo e forse sarebbe il caso, dopo i numerosi eventi sismici degli ultimi, che si agisse finalmente sul recupero, sulla cura e sulla messa in sicurezza del patrimonio immobiliare esistente, pubblico e privato, ponendo un freno alla speculazione edilizia. La natura può essere ingestibile ma non lo è, al contrario, l’incuria dell’uomo nella progettazione edilizia. Bisogna ripartire perciò da controlli capillari e puntuali sull’esistente per garantire quanto meno il dovuto adeguamento sismico e idrogeologico di quelle strutture, cosa che purtroppo è stata fin troppo limitata o ancor peggio non è mai avvenuta.

 

Qui però entra in gioco una componente fondamentale per rendere tutto questo possibile, ossia il ruolo e la funzione delle istituzioni dello Stato. Perché a chi ha profetizzato l’eccessiva burocratizzazione della macchina del Paese, demonizzandola e riducendola sempre più all’osso, risponde l’evidenza dei fatti, ossia l’impossibilità delle articolazioni dello Stato più prossime ai cittadini di prevenire problemi purtroppo imprevedibili o quanto meno di corrervi ai ripari. Purtroppo, i questi anni ha vinto un neo liberismo che ne ha smantellato le funzioni. L’impianto delle “nuove” proposte politico-economiche e finanziarie si è concentrato, purtroppo, principalmente sui tagli alla spesa pubblica, senza mai valutare le ricadute sui costi sociali. Per completare il tutto, in nome di una presunta ripresa e del libero mercato, si privatizza ciò che ancora non era stato possibile privatizzare.

 

L’attacco principale si sviluppa contro la Pubblica Amministrazione, riducendone gli investimenti e parallelamente diminuendo il livello del benessere, della civiltà, della solidarietà e delle pari opportunità di tutta la comunità. Come se al ridursi del perimetro di azione dello Stato, tanto ambito dai dogmi neoliberisti perorati dalle politiche di spending review, si risolvessero tutti i mali e le inefficienze dello Stato. Queste come altre critiche sono solo strumentali, finalizzate a sostenere l’abolizione totale dell’intervento dello Stato e quella quasi completa della Pubblica Amministrazione, anch’essa da ridurre ai minimi termini come lo stesso perimetro dello Stato.

 

Queste teorie stanno mostrando, invece, solo che all’indietreggiare dello Stato e all’eclissarsi dei suoi corpi intermedi corrisponde proporzionalmente l’avanzare dei disservizi, dei disagi e delle diseguaglianze.

 

Oggi la macchina amministrativa versa in condizioni molto difficili per la mancanza di strumenti, la pochezza di stimoli professionali, la fatiscenza di sedi e della tecnologia in uso ormai superata, l’inadeguatezza degli stipendi e la carenza di mezzi, strumenti e organico. Per la rilevanza sociale dei servizi che offre, sarebbe opportuno investire nella Pubblica Amministrazione piuttosto che svilirla con continui tagli lineari.

 

Questa linea politica non corrisponde alla storia di un Paese come l’Italia, radicato su una Costituzione che affida allo Stato il compito di garantire e promuovere la coesione sociale, onde consentire la libera partecipazione dei cittadini alla vita della comunità nazionale.

 

Per queste ragioni, noi ribadiamo che per tutti, a prescindere dal ceto e dal luogo di nascita, devono continuare ad essere garantiti i servizi pubblici essenziali dalla Pubblica Amministrazione.

 

Bisogna porsi, tutt’al più, il problema di come rendere i servizi pubblici più produttivi e di come renderli vicini alle esigenze della gente, intervenendo nel funzionamento delle strutture di erogazione delle assistenze, apportandovi criteri come la modernizzazione, la professionalità, la tempestività e la qualità del servizio offerto.

 

E per questo motivo, mi trovo costretto a tornare sull’irragionevolezza – oltre alla sua illegittimità sotto un profilo squisitamente costituzionale – dello svuotamento del ruolo delle Province, non solo mortificate nella loro rappresentanza ma soprattutto, ai giorni nostri, nelle loro capacità economiche e di conseguenza di azione. Dopo i recenti esiti referendari non si è riusciti, infatti, a porre rimedio all’errore che il c.d. Governo dei professori fece con l’abolire un apparato costituzionalmente previsto attraverso una legge ordinaria. Le Province sono ancora lì - ora senza nemmeno dipendenti - col nome di Enti di area vasta e con le stesse funzioni di prima, ma senza la benzina per mettere in moto quella macchina con cui dovrebbero svolgere le loro competenze. Risultato? Non ci sono fondi per gli spazza neve, per la cura del manto stradale e della vegetazione delle strade provinciali, per la messa in sicurezza degli edifici scolastici.

 

In questo quadro di idee e soprattutto dopo i fatti di questi giorni torna poi quanto mai forte la questione relativa all’abolizione del Corpo Forestale dello Stato, come della Polizia provinciale, e questo è testimoniato, in maniera a dir poco paradossale, dall’impossibilità che si è avuta nell’emergenza di utilizzare il parco elicotteri della guardia forestale. Questi mezzi sono stati costretti a rimanere a terra per problemi inerenti l’incompatibilità di volo con patente militare trattandosi di mezzi “ancora” civili.

 

Un’assurdità burocratica che si aggiunge al lunghissimo elenco di problemi ancora irrisolti scatenati dallo spacchettamento del Corpo forestale dello Stato imposto con la legge di riforma della pubblica amministrazione, che sta scontando la superficialità con cui ha tirato i fili di tutta questa operazione di trasferimento di un corpo civile in corpi militari.

 

Questa è la burocrazia che andrebbe “tagliata”, invece ad essere recise sono sempre le risorse a quelle istituzioni di rappresentanza democratica più vicine ai cittadini e che meglio sono a conoscenza delle problematiche del proprio territorio.

 

Questa è una vicenda che rimane aperta, special modo dopo gli esiti referendari, e a cui bisognerà trovare risposta, come bisognerà rispondere a chi ormai lamenta da anni il mancato riconoscimento della professionalità di lavoratori instancabili, spesso precari, che mettono a repentaglio la loro vita per aiutare il prossimo. In questi giorni tutti si sono prodigati giustamente nel riempire di elogi i soccorritori e in particolar modo i vigili del fuoco, ancora una volta protagonisti di professionalità e coraggio. Servitori dello Stato di cui tutti noi non possiamo che essere fieri ma che allo stesso tempo hanno lo stipendio bloccato ormai da sette anni, come il resto dei lavoratori pubblici, e che si trovano a fronteggiare situazioni di emergenza con squadre il più delle volte mutevoli, nelle quali ai contrattualizzati a tempo indeterminato si affiancano numerosi vigili a tempo determinato se non a chiamata. Per non parlare, poi, dell’età media di un corpo che per ovvie ragioni dovrebbe avere forze fresche. Difatti, i dati riportarti ultimamente dalla Ragioneria dello Stato sull’invecchiamento della forza lavoro della P.A. non possono che risultare ancora più pesanti nei corpi di polizia, dove oltre alle necessarie competenze anche la resistenza fisica ha il suo peso e non da poco.

 

Il blocco del turn over non è più in alcun modo sostenibile e si dovrebbe proprio iniziare con il dare stabilità ai tanti giovani, ma anche a meno giovani che purtroppo lo sono diventati con lo trascorrere degli anni, che rimangono in attesa dello scorrimento delle graduatorie e che vengono chiamati a prestare servizio solo occasionalmente o per brevi periodi.

 

Allo stesso tempo è imprescindibile rinnovare i contratti per riconoscere finalmente i dovuti adeguamenti salari a questi pubblici dipendenti che tanto celebriamo ma purtroppo solo in occasione di disgrazie.

 

In effetti, da circa vent’anni, ossia da quando il debito pubblico è diventato la priorità delle priorità, la politica economica risparmia sistematicamente sulla manutenzione delle infrastrutture fisiche e dilapida le poche risorse disponibili in spese improduttive.

 

La macchina dello Stato deve riprendere linfa, c’è bisogno di investire e di ridare slancio all’intervento dello Stato nelle scelte di peso della politica economica, non rimanendo più schiavi di ciechi tagli lineari della spesa pubblica.