Antonio FOCCILLO: comunicato Stampa del 20/12/2016
La Uil si è sempre battuta per mantenere aperto un dialogo perché non ha mai perso la speranza di po
La Uil si è sempre battuta per mantenere aperto un dialogo perché non ha mai perso la speranza di po
20/12/2016  | Sindacato.  

 

di Antonio Foccillo

 

Alcuni autorevoli commentatori hanno subito sentenziato che la vittoria del No al referendum sulla modifica alla Costituzione sia un’espressa volontà di lasciare tutto com’è.

 

Non sono d’accordo. Il voto negativo è frutto di una serie di cause e motivazioni: a partire proprio dalla volontà di cambiare la politica economica che non dà nessuna prospettiva ai giovani, alla protesta dei militanti dei partiti di opposizione; dalla volontà di salvaguardare la Costituzione alla risposta all’arroganza del potere che giustificava i suoi numerosi errori e le sue proposte (riforma della pubblica amministrazione, riforma della scuola, Jobs Act, etc.) attaccando tutti e tutto, fino a sostenere che la Corte Costituzionale è un insieme di burocrati.

 

In tal senso tutti gli strumenti di partecipazione democratica sono stati ridimensionati nelle loro funzioni di rappresentanza e sono aumentate le distanze fra i cittadini. Nello stesso tempo ha conquistato terreno il fenomeno di una nuova emarginazione sociale.

 

La società è più complessa di una singola maggioranza e le problematiche economiche, sociali e di riforma vanno affrontate diversamente dal passato. Si tratta allora di stabilire sedi dove si possa tornare a confrontarsi, senza anatemi, per giungere a decisioni politiche di portata generale. Vi è ancora bisogno che nella società vi sia condivisione sulla progettualità politica.

 

La Uil, anche in questa fase difficile delle relazioni, si è sempre battuta per mantenere aperto un dialogo perché non ha mai perso la speranza di poter modificare le cose.

 

Questo atteggiamento, aggiunto alla ricerca dell’unità con le altre due organizzazioni, ha prodotto risultati positivi: dall’accordo sulle pensioni a quello sul pubblico impiego con il governo Renzi; dalla sottoscrizione di moltissimi contratti ad un nuovo clima di relazioni con le controparti, a partire con la Confindustria.

 

L’azione strategica del sindacato confederale deve però alzare il tiro ed essere strettamente intrecciata, a parer mio, al modello di società che si deve modificare, contribuendo a cambiare contemporaneamente la politica economica sociale e politica che si è determinata per effetto del combinato disposto della finanziarizzazione dell’economia e della politica di austerity che l’Europa con molta testardaggine ha continuato ad imporre. L’attuale condizione amplifica l’emarginazione e aumenta la povertà, pertanto, il sindacato deve riproporre una società in cui si stabilisca, non dico un giusto equilibrio, ma un equilibrio fra quelli che sono i forti e quelli che sono i deboli della società!

 

È necessario razionalizzare un sistema che ha impoverito il cittadino, senza dargli la possibilità di gestire adeguatamente il proprio reddito.

 

In Italia si è abbandonata la coesione perché sono venute meno le relazioni e la partecipazione dei cittadini che portavano a mediazioni fra interessi diversi e alla solidarietà fra le persone.

 

Il sindacato che ha sempre teso alla coesione sociale, deve riappropiarsi del proprio ruolo per tornare ad essere strumento di democrazia, di solidarietà, di emancipazione, di tutela e garanzia dei diritti, perché la sua azione è stata e deve essere improntata al riconoscimento dei bisogni primari della persona e alla salvaguardia della dignità dell’individuo.

 

Con un mercato che ha invaso prepotentemente tutte le scelte economiche, il lavoro ed i diritti devono uscire dalla logica difensiva e riprendere una fase di nuova tutela per riacquistare la dignità che gli compete. Non dobbiamo dimenticare che le conquiste sociali e le ampliate esigenze che chiamiamo diritti sono veramente tali se non rimangono un’affermazione puramente teorica e culturale. I diritti sono tali se sono garantiti.

 

Il sindacato in questo frangente, ha ancora una volta l’opportunità di contribuire a dare prospettive positive alla società, finalizzando la sua partecipazione a politiche economiche e sociali per appianare gli squilibri e ridurre la povertà. Per questo l’impegno a tutti i livelli non può che essere rivolto a ricercare soluzioni di dialogo fra le diverse componenti sociali e politiche e di partecipazione, in modo da costruire un progetto unico.

 

Venendo al domani sarà fuori di dubbio che il tema della modalità del processo di partecipazione, alla luce delle tante crisi, diventa elemento fondamentale e cruciale del sistema di relazioni industriali e sindacali. Se la sfida sarà colta da tutti avremo una nuova stagione del coinvolgimento dei lavoratori, per evitare che siano chiamati solo a gestire le crisi. Infatti, se non si fa partecipare la cittadinanza o la si chiama solo nei momenti di crisi, essa si sfiducia, cosa che è molto più distruttiva in un sistema democratico. Quando si genera l’apatia, non riconoscendo un ruolo di tutti i soggetti rappresentativi dentro il sistema decisionale, si rischia non solo la partecipazione, ma la stessa democrazia.

 

Di fronte a ciò piuttosto che chiudersi in difesa il sindacato confederale, deve uscire allo scoperto ed indicare un suo modello di società e di regole condivise, un modello di stato sociale, una partecipazione nella gestione dell’economia e delle scelte economiche e quindi, anche, di nuove relazioni partecipate a livello di azienda. In sintesi deve ritornare a fare politica, avendo la consapevolezza di essere soggetto rappresentativo di un vasto mondo e che in una società democratica e pluralista ogni soggetto sia legittimato e accettato anche per la sua capacità propositiva, che partendo dagli interessi particolari li inquadra sempre in un quadro di compatibilità generale del Paese.

 

Il sindacato deve riprendere la battaglia per riprecisare i contenuti di una società più giusta e più equa, dove si salvaguardino la persona e i diritti di cittadinanza in tutti i suoi aspetti: dal diritto al lavoro alla vita; dalla sicurezza sociale e personale; dal ripristino del potere di acquisto ad un fisco che recuperi la sua funzione di ridistribuzione della ricchezza e della solidarietà. Sono principi considerati dai più “conservatori” e “vecchi”, ma proprio in quanto tali la loro efficacia è stata ampiamente sperimentata e sono quelli che hanno dato al Paese anni di benessere e garanzie, considerando ogni individuo non un suddito ma un cittadino a pieno titolo.

 

La Uil con la sua storia di organizzazione laica, riformista, pluralista e tollerante può essere il soggetto in grado di assumersi questo compito, ovviamente riaffermando anche il diritto per il cittadino e per il lavoratore di essere protagonista delle scelte, partecipando e scegliendo i suoi rappresentanti nel parlamento, nella politica e nel sociale.

 

Tutto è modificabile, basta metterci l’impegno e la convinzione della giustezza delle proprie valutazioni. Le battaglie vanno fatte sempre per cambiare le cose, valutando però il consenso sulle proprie posizioni e coinvolgendo quanto più possibile le persone che si vogliono rappresentare in un’ottica riformista che prevede piccoli passi, ma comunque modificativi del preesistente.

 

Oggi più di ieri vi è bisogno che prevalga la cultura laica e riformista. Una delle condizioni che ha consentito al nostro Paese di evolversi sempre più in senso moderno e sul piano sociale e civile sta proprio nell’affermarsi della laicità dell’uomo, della sua natura di soggetto storico, indipendente dagli ordini religiosi e rituali, con la ricerca continua di una verità, frutto del dubbio e della ragione. Il mondo del lavoro è il terreno più fertile per riconoscere ed applicare la filosofia laica e riformista, poiché maggiormente sente l’esigenza di valori portanti, propri del riformismo storico. E’ proprio con riferimento a questi valori che il movimento sindacale deve ridare smalto ideale e nuove strategie di ampio respiro alla propria azione.

 

È necessario restituire ruolo centrale al progetto sociale basato sull’Uomo, ricollocando i suoi bisogni, materiali, culturali e spirituali, in un quadro armonico che sappia tener conto delle trasformazioni della società - intervenendo per correggerne le storture - che si evolve con accelerazione progressiva, anche sotto la spinta dell’allargamento europeo e, comunque, innanzi al nuovo scenario politico-commerciale mondiale. Prescindere da ciò potrebbe essere un errore esiziale. è esigenza generale che il sindacato e la Uil in particolare accentui il suo ruolo di soggetto politico trainante, giacché la “politica” sembra aver perso voglia di confronto e di dialogo, annullando il rapporto con le parti sociali, sterilizzando le ideologie, mortificando le tensioni sociali per indirizzare tutte le sue energie verso leaders che una volta investiti dal voto elettorale ed ottenuta la guida del governo o della opposizione, divengono “centrali” e che, per rimanere tali, conculcano a loro volta le forze che li hanno prescelti, convinti di essere gli unici e diretti interlocutori di un corpo elettorale, che esiste solo virtualmente nei sondaggi. In Italia siamo arrivati oggi ad un punto di svolta nelle relazioni sindacali e nella gestione della difficile situazione politica ed economica.

 

Il sindacato, in possesso di capacità di analisi e di proposta idonee al superamento della crisi, deve diventare forza trainante e non trainata in rapporto a schematicità politiche e sociali non più valide. Un progetto ed un modello di società ove il ruolo del sindacato non abbia quale unica funzione il rivendicazionismo, ma spazi sui grandi progetti di rilancio che possano dare certezza al futuro di tutte le componenti di una società più ordinata, più giusta, più equa. Solo in tal modo può tornare ad essere il sindacato di tutti. Quindi si riavvii il dialogo con chi vuole condividere questo percorso - che parte da lontano - si apra un ampio e franco confronto. Si dia vita ad iniziative condivise che mettano nella condizione, non solo, di fare scelte sindacali strategiche per i prossimi anni, ma che pongano nella condizione di scegliere i compagni di viaggio di un progetto condiviso e sostenuto e con loro ricostruire quel grande contenitore laico e riformista, che manca - purtroppo da tempo - nel nostro panorama politico-sindacale.