Antonio FOCCILLO: comunicato Stampa del 09/07/2016
Nessuno si interroga più
Nessuno si interroga più
09/07/2016  | Pubblico_Impiego.  

 

di Antonio Foccillo

 

Si può dire che è definitivamente finita l’eredità del novecento, perché i suoi valori sono stati ridimensionati, se non del tutto abbandonati.

 

Nessuno ormai è in grado di valutare se ci sono le condizioni per poterli rilanciare, nonostante quei valori sono i soli che possano ridare un futuro positivo alle persone.

 

Questo ha inciso anche sui grandi movimenti, quali i partiti ed i sindacati, che, dopo essere stati protagonisti nei profondi cambiamenti di tutto il novecento, con il loro corollario di militanza, di voglia di partecipare, per affermare i diritti di lavoratori e libertà per cittadini, oggi sono in difficoltà.

 

Le loro battaglie hanno garantito i diritti fondamentali della persona.

 

In tal modo sono state ampliate le varie libertà, da quella di pensiero a quella di associazione; le tutele sociali; il welfare e la democrazia. Principi che insieme ai diritti di cittadinanza sono stati poi riconosciuti e garantiti nelle Costituzioni di molti Paesi, nella seconda parte del novecento, dopo l’oscurantismo del nazifascismo.

 

Quei partiti si sono fatti paladini delle lotte di liberazione; del ripristino della dignità dell’uomo, ovunque fosse nato e collocato; dell’autodeterminazione dei popoli contro le dittature; della costruzione dello Stato laico ed hanno proseguito la loro opera attivamente anche nella costruzione di una legislazione sociale, che avesse al centro la tutela della persona, fondando il tutto sulla partecipazione, sulla libertà di pensiero e sulla sovranità popolare.

 

Questi, così, hanno permesso negli Stati, per lo più illiberali, di costituire un regime parlamentare.

 

In Italia, l’impulso al sistema di solidarietà e coesione, avviene in concreto con l’approvazione della Costituzione italiana del 1948, la quale riconosce fra i diritti essenziali della persona, quelli del lavoro, della salute, del diritto alla formazione e della scolarità, della previdenza e dell’assistenza sociale.

 

È vero che il nostro Paese usciva da una guerra che aveva messo fine ad una cruenta dittatura e questo, spingeva i cittadini italiani ed i lavoratori ad impegnarsi, tutti insieme, per contribuire nel creare condizioni diverse, dove la democrazia prevalesse e si instaurasse una repubblica.

 

In tutta Europa le società, riaffermavano il trinomio, su cui si è costruito il modello socialdemocratico del Welfare State, cioè libertà, uguaglianza e fratellanza.

 

La libertà era una conseguenza di un anelito sempre più forte di liberarsi delle catene delle dittature ed instaurare un periodo di pace, dopo i grandi sconvolgimenti delle guerre fra i diversi paesi europei; l’uguaglianza derivava dalla acquisizione dei principi di solidarietà e coesione, ma soprattutto dalla tutela dei diritti fondamentali della persona; la fratellanza si poteva configurare con l’abbattimento di tutti gli steccati, di sesso, di religione, di ceto e con l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

 

Oggi la globalizzazione - con la conseguente esplosione della finanziarizzazione - ha determinato una situazione in cui gli Stati non sono più sovrani delle loro singole scelte di politica economica.

 

Si sono travolte le vecchie certezze e si sono imposte politiche economiche sempre più restrittive e violente, cambiando anche governi legittimi eletti dai cittadini, per sostituirli con tecnici vicini alle grandi banche, a partire dalla Bce e della Goldman Sachs.

 

Queste politiche “neo liberiste” hanno creato povertà ed emarginazione ed una marea di contratti di lavoro sempre più precari, ma soprattutto hanno prodotto una disoccupazione che ha messo fuori del mercato milioni di lavoratori, tra cui un’intera generazione di giovani.

 

Questa politica della finanziarizzazione, del mercato selvaggio, del c.d. “neoliberismo”, e dell’austerità in Europa va cambiata!

 

Anche il FMI, con un articolo sulla sua rivista, a firma del vice-economista capo, Jonathan Ostry, e di altri due suoi colleghi, dal titolo “Neoliberismo: sopravvalutato?”, ha preso le distanze dall’ideologia del neoliberismo e dall’austerity, perché, sostiene che, invece, di produrre crescita hanno aumentato le disuguaglianze, mettendo a rischio un’espansione delle economie produttive.

 

Scrive Riccardo Staglianò che addirittura: “L’anno scorso, per dire, un altro paper (sempre del Fmi, N.d.A.) riabilitava i sindacati, stabilendo un rapporto tra il loro declino e aumento delle disuguaglianze”.

 

Si potrebbe dire, alla Catalano, meglio tardi che mai. Ma non è così.

 

Pensate a quante campagne di abiura si sono avute contro chi in passato criticava tale politica.

 

Chi la contestava minimamente era accusato di conservatorismo o di voler limitare le possibilità di espansione delle economie.

 

Sono anni che anch’io, molto modestamente, ho sempre sostenuto con gli editoriali di questa rivista e con i miei libri la dannosità di questa politica e, in sua vece, la necessità di proporre una politica economica keynesiana.

 

Purtroppo tanti anche nel nostro Paese, e anche governanti di sinistra, in Europa e in Italia, hanno sostenuto acriticamente queste politiche e attuato i dettami del Washington Consensus, della piena libertà di mercato, delle liberazioni e delle privatizzazioni, ma soprattutto hanno imposto la fuoriuscita dello Stato dal mercato e l’abbattimento delle politiche di Welfare. Tutto questo con politiche rivolte alla liberalizzazione dei capitali che si dovevano spostare senza “lacci e lacciuoli” e con la politica di austerità che portava a tagliare soprattutto la spesa pubblica. Ma cambierà qualcosa dopo l’articolo del FMI?

 

In Europa, forse qualcosa cambierà, anche per effetto del referendum inglese, con la scelta del Brexit, che potrebbe portare ad un peggioramento nelle economie, non solo per gli inglesi, ma per l’Europa intera.

 

Paul Krugman scrive: “La Gran Bretagna non è la Grecia: ha una propria valuta e i suoi prestiti sono in questa valuta, quindi non rischia una pressione che creerebbe caos monetario… Tuttavia da un punto di vista economico, la brexit appare una cattiva idea”.

 

Ed è una cattiva idea anche perché potrebbe essere un esempio negativo da perseguire per altri Stati dell’Unione Europea.

 

In tal senso sempre Krugman scrive: “Più importante, tuttavia, è la triste realtà dell’Unione Europea…Il cosiddetto progetto europeo cominciò più di 60 anni fa, e per molti anni ebbe un’enorme forza positiva. Non solo ha promosso il commercio e aiutato la crescita economica; è stato anche un baluardo per la pace e la democrazia in un continente con una storia terribile. Ma l’UE di oggi è la terra dell’euro, un grave errore aggravato dall’insistenza della Germania a trasformare la crisi provocata dalla moneta unica in una morality play dove si scontano i peccati (commessi dagli altri, ovviamente) con dei rovinosi tagli al bilancio”.

 

Infatti, l’Europa che era stata la speranza di grandi cambiamenti e di possibilità di sviluppo ha fallito, con le sue politiche economiche, rinnegando quel contratto sociale che aveva fatto con i suoi cittadini per mettere al centro di tutto l’uomo.

 

Scrive Josè Ignazio Torreblanca : “Se l’Europa vuole sopravvivere politicamente, ha bisogno di una periferia in pace e di una globalizzazione compatibile con i suoi principi e con i suoi valori. Ma invece di creare un anello di prosperità e sicurezza intorno a sé, è pressata da un enorme arco di instabilità che si estende dall’Artico al Magreb, e che, in assenza di sicurezza interna ed esterna finisce per permeare le sue frontiere e alterare l’equilibrio dello stesso progetto europeo. All’interno, le tensioni generate dai difetti di progettazione dell’euro e dall’inadeguatezza e dalle divisioni messe in mostra quando si è trattato di affrontare con efficacia e rapidità una crisi finanziaria come quella che si è scatenata nel 2008 hanno creato una crisi di legittimità molto difficile da risolvere. In assenza di un’identità comune e di una democrazia vibrante, l’Unione Europea può trarre la sua legittimazione unicamente dai risultati economici, che oltre a non arrivare dividono gli europei in due blocchi contrapposti…Non c’è da stupirsi che in un’Europa che non cresce, non crea occupazione e mette gli stati membri uno contro l’altro intorno a politiche di austerità che alcuni percepiscono come vessatorie e altri come assolutamente insufficienti, si assiste all’ascesa di forze antieuropee”.

 

Oggi, infatti, tutti i nodi stanno venendo al pettine. La crisi della democrazia, la conseguente mancanza di partecipazione che nei momenti elettorali vede sempre di più l’astensione dei cittadini e l’abbandono dei valori solidali e di coesione, alla fine hanno fatto prevalere solo egoismi, individualismi e mancanza di cultura politica e civile, che hanno portato ad un cambiamento privo di un retaggio valoriale e soprattutto inconsapevole di cosa, quelle scelte, potevano provocare e come avrebbero inciso sui destini dei Paesi e dei cittadini.

 

In questo scenario nessuno s’interroga più. Tutti conformisti, tutti si schierano con il vincitore, magari un attimo prima che succeda, per garantirsi solo vantaggi personali. Dove sono finiti i grandi progetti che smuovevano le coscienze e portavano fino al sacrificio personale per garantire un futuro migliore per le proprie famiglie? Dove sono finiti ideali e valori che determinavano società democratiche e garantivano tutte le libertà?

 

Si può pensare di continuare così? Non credo. Una svolta è necessaria, anche culturale, per continuare a far pensare le persone sulla necessità di interrogarsi come si vuole costruire il domani; come, qualsiasi scelta che si deve fare possa presupporre un’evoluzione positiva.

 

Le recenti elezioni amministrative in Italia sono sintomatiche di molte delle cose dette.

 

Astensione, voto per protesta, voto contrario o comunque molto differente alle proprie abitudini.

 

Una dimostrazione della stanchezza e della voglia di cambiare, comunque, a prescindere da quello che si potrebbe determinare. Ci sarebbe bisogno di valutazioni reali e di nuovi ideali, al di là della solita manfrina su qualche punto perso o guadagnato del singolo partito.

 

Scrive Stefano Bartezzaghi: “Ma la rifondazione ideale presuppone un orizzonte assai più ampio. Temi prospettive, ricerca di nuovo rapporto con la base sociale e gli elettori, un rinnovamento che non sia solo la resa dei conti con gli avversari interni per promuovere il proprio gruppo di potere… c’è solo da cominciare…Ma nulla sarà possibile senza idee e suggestioni calate nel solco del riformismo europeo, fondato su una nuova visione non solo propagandistica dell’Italia di oggi e del suo disagio, sullo sfondo di una ripresa economica troppo fragile e di ingiustizie percepite come intollerabili”.

 

È proprio così!

 

Ed il Sindacato? Anch’esso si deve interrogare sulle proprie politiche e sulle necessità di una nuova azione. Deve uscire allo scoperto e rinnovare profondamente la sua strategia, ridiventando attore protagonista di un nuovo modello economico, che dia nuovamente, prospettive di sviluppo e di formazione di ricchezza e di conseguente distribuzione della stessa, ma deve soprattutto ripensare ad una nuova Società che ritorni ad essere solidale e coesa. Grandi battaglie, come in passato, possono di nuovo smuovere le coscienze e far ritornare alla militanza attiva le persone e i lavoratori. Ricreare un circuito di partecipazione consapevole, che ridia speranze e certezze per un avvenire diverso e di crescita anche per le nuove generazioni, oltre che per gli anziani ed i lavoratori.

 

È possibile farlo, riprendendo il gusto del confronto a tutto campo sulle idee e sulle proposte, ridiventando interlocutori credibili delle istituzioni e del Governo. Non è persa la speranza ed il sindacato deve contribuire a individuare un nuovo percorso di rinnovamento e di progettazione, fondata su vecchi valori del novecento che sono ridiventati ancora più attuali.

 

Solo così si può uscire dall’abisso!

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1 Articolo dal titolo: Il neoliberismo rinnegato dai suoi alfieri: iniquo e dannoso, Il Venerdì de La Repubblica 24.6.2016

2 Articolo dal titolo: Gli errori dell’Unione non si risolvono fuggendo, Restare è il male minore. La Repubblica 20.6.2016

3 Ibidem

4 L’autore è direttore della pagina degli editoriali del quotidiano spagnolo El Pais

5 Articolo dal titolo: In marcia verso l’abisso, La Repubblica 21.6.2015

6 Articolo dal titolo: Il voto d’impulso, La Repubblica del 20.6.2016