Antonio FOCCILLO: comunicato Stampa del 09/06/2016
Anche in una fase recessiva il movimento sindacale può svolgere la sua missione innovatrice
Anche in una fase recessiva il movimento sindacale può svolgere la sua missione innovatrice
09/06/2016  | Pubblico_Impiego.  

 

di Antonio Foccillo

 

Di fronte ai dati che descrivono nel nostro Paese, nonostante gli ottimismi, una crescita molto bassa, la più bassa in Europa, non è più possibile pensare di rilanciare l’economia senza un ruolo propositivo e di partecipazione di tutte le rappresentanze economiche e sociali al fine di analizzare ed eliminare tutte le storture della politica economica finora messa in atto in modo del tutto dissennato, la quale ha collocato in primo piano la stabilità monetaria al posto della centralità dell’uomo.

 

è oltremodo evidente che la classe politica, di destra o di sinistra, ritenga superato e di ostacolo il ruolo del sindacato, che ormai lo si ritiene rappresentativo solo dei pensionati, che, tra l’altro, proprio per le scelte di politiche economiche dei governi che si sono succeduti in questi anni sono stati ampiamente penalizzati.

 

Il giudizio negativo della classe politica sta acquistando consistenza, nell’opinione pubblica, proprio perché il sindacato nell’ultimo periodo di crisi è stato costretto a difendersi e di conseguenza si è ridimensionata la sua capacità propositiva.

 

Viceversa, anche in una fase recessiva come quella che stiamo vivendo, il movimento sindacale può svolgere la sua missione innovatrice, anche se, in tutte le fasi di crisi e con la conseguente caduta dell’occupazione, non riesce ad esprimere pienamente la sua forza progressista a causa del cambiamento dei rapporti di forza che, come stiamo constatando in questi ultimi tempi, ha portato alla caduta del potere contrattuale dei lavoratori, cui si aggiunge una grave crisi della politica che ha tenuto e tiene nell’incertezza e nell’inefficienza non solo i partiti e le istituzioni, ma anche le forze sociali.

 

Il sindacato non è riuscito ancora a reagire pienamente, perché, in questo contesto di crisi della democrazia, la questione sociale che è esplosa, fatta di una realtà senza lavoro e di attacco ai diritti ed ai livelli di vita degli operai e del ceto medio, ha consentito di stimolare nell’opinione pubblica una condivisione acritica e passiva di quella operazione politico-mediatica di semplificazione e di travisamento della realtà che ha rovesciato buona parte delle colpe sul sindacato con l’accusa di essere una forza conservatrice, un ostacolo allo sviluppo ed all’innovazione.

 

Il Sindacato, di tutto può essere accusato ma non di ciò, anche se, purtroppo, i fatti dimostrano che, soprattutto in mancanza di una politica industriale da parte del Governo, sta rischiando di consumare le sue energie su posizioni difensive, slegate da una visione del futuro per proteggere, senza molta fortuna, posti di lavoro che, per colpe imprenditoriali, non sono più competitivi.

 

Se si prosegue su questa impostazione si rischia di lasciare una buona parte dei lavoratori, e tra essi un grande esercito di giovani, senza alcuna tutela e soprattutto senza prospettive.

 

Il “settore” produttivo in Italia si sta ridimensionando, perché non si è riusciti a limitare la differenza di produttività e competitività delle nostre aziende, conseguenza del loro diverso grado di innovazione ed internazionalizzazione.

 

Tutto ciò, ha una valenza sul movimento sindacale, perché indebolisce il ruolo della contrattazione nazionale ed apre nuovi spazi alla contrattazione aziendale.

 

Infine non si può dimenticare che sull’avvenire del Sindacato incombe, non solo la netta riduzione della consistenza e della forza della classe operaia, che trovava nel settore manifatturiero il suo ambiente privilegiato, ma anche l’accentuazione della divisione all’interno del mercato del lavoro tra ceti proletari, esposti al declino, e l’esercito di riserva di origine straniera, tra “disoccupati cronici” e “giovani precari.

 

Il Sindacato deve tutelare tutti i lavoratori colpiti dalla crisi; deve difenderli per essere legittimato a prospettare ai lavoratori la possibilità di costruire insieme, nonostante le difficoltà esistenti, un diverso avvenire, rendendo evidente con i fatti che anche se la linea difensiva è obbligata in questo frangente essa rappresenta la risposta ad un’emergenza che non cancella l’aspirazione a un nuovo modello di società basato su nuovi assetti economici e sociali, nuove relazioni industriali ed un nuovo assetto istituzionale.

 

Siccome ciò non è compito esclusivo del Sindacato bisogna impegnare le altre istituzioni, per quanto di loro competenza a contribuire a questa rinascita dell’Italia.

 

Noi riteniamo che si stanno accumulando grandi tensioni sociali che chiamano le istituzioni a risposte nuove ed urgenti.

 

In Italia e soprattutto in Europa manca finanche un dibattito sulla crisi e sono assenti iniziative adeguate per una proposta capace di ridare al progetto europeo consapevolezza dei suoi problemi e dei suoi possibili destini.

 

Il Movimento sindacale deve assolutamente trovare la chiave giusta per affrontare questa realtà e trovare la forza sufficiente per contrastare i processi in corso.

 

Anni di denunce e di lotte, di scioperi e trattative hanno messo in evidenza le ragioni e l’indignazione dei lavoratori ed hanno prodotto grandi manifestazioni di protesta, senza riuscire però ad aprire nuovi sentieri di sviluppo e di occupazione.

 

Il fatto è che i governi nazionali avevano delegato la loro politica economica alle ottuse politiche iperliberiste dominanti in Europa, invece, era proprio qui che bisognava intervenire e non sul governo nazionale in agonia politica, privo di qualsiasi principio di etica pubblica, tutto proiettato e perso sul terreno dei propri interessi di casta e di un’improduttiva competizione tra partiti.

 

Il sindacato deve opporsi efficacemente all’operazione in atto che prevede un riequilibrio delle finanze ed una diminuzione del debito semplicemente liberandosi dagli oneri derivanti dalla protezione degli strati sociali più deboli e dal mantenimento di una serie di servizi pubblici a suo tempo considerati essenziali per promuovere lo sviluppo economico-sociale e oggi ritenuti un fardello.

 

Anche nella cosiddetta economia del debito, una corretta concezione politica economica nazionale, seppure inserita in un contesto di economia globale, dovrebbe distinguere tra investimenti e spese superflue che non sono i consumi, poiché i primi servono per creare ricchezza futura ed i secondi servono a vivificare l’economia reale.

 

Il movimento sindacale non può consentire che lo Stato del benessere, cioè lo Stato che con la sua presenza nell’economia ha favorito il mantenimento di una società più equilibrata, sia destinato ad entrare in crisi e, con esso, a incrinarsi pericolosamente il “contratto sociale”, il patto di solidarietà, su cui si fonda.

 

Su piano valoriale bisogna evitare che la continua disgregazione degli organismi partecipativi distrugga ogni valore sociale e democratico, a cominciare da quello della solidarietà, della coesione ed integrazione sociale che danno fondamento ad uno Stato.

 

La solidarietà fa riferimento alla politica sociale quale strumento di aiuto e redistribuzione sociale, in cui è compresa sia l’idea di patto intergenerazionale, ma soprattutto l’idea di bene collettivo nell’intervento dello Stato, attraverso gli strumenti che garantiscano la persona in tutta la gamma dei suoi bisogni.

 

La salvaguardia di un modello di Stato sociale nell’era della globalizzazione dipende dalla possibilità di creare una federazione di stati europei, a partire dall’Eurozona o da alcuni suoi paesi chiave.

 

Se ciò non si realizzerà verranno meno le condizioni per mantenere la solidarietà fra le diverse regioni europee, privando i popoli, non solo quelli europei, di un modello di riferimento per promuovere uno sviluppo più giusto e sostenibile a livello internazionale.

 

Vi sono quindi ragioni sufficienti di carattere morale, oltre che politico, per battersi al fine di ridare dignità e ruolo alla politica in Europa per un progetto di costruzione di uno Stato federale europeo.

 

E’ necessario quindi proporre una iniziativa politica a livello europeo per ripristinare condizioni di equilibrio nella gestione delle risorse a favore dell’intera collettività e non solo dei paesi egemoni.

 

In tal senso, il sindacato deve proporre nuovi modelli economici e sociali, per avviare uno sviluppo economico diverso, non più solo mercantile, considerando le modalità di un lavoro a valenza sociale complessiva.

 

Bisogna uscire da una logica difensiva, riproporre come centrale il problema del sociale e ripartire all’attacco, anche con obiettivi intermedi, ma ben definiti e caratterizzati.

 

Un nuovo modello di crescita economica, un forte progetto di rinnovamento che riaccenda le speranze sopite con una seria e corretta politica sociale, non più basata sull’assistenzialismo e le spese improduttive, ma su un percorso che mira ad una reale democrazia economica del sociale e del lavoro, che può ancora realizzarsi.

 

Su queste basi si può dare davvero l’addio al passato e trovare nuovi assetti e nuove strategie che impegnino il sindacato nella sua funzione Confederale.