Alessandra ALDINI: comunicato Stampa del 30/11/2015
Il Servizio Rapporti ONG sulla rotta Balcanica
Il Servizio Rapporti ONG sulla rotta Balcanica
30/11/2015  | Rapporti con le ONG.  

 

 

 

Il viaggio che abbiamo voluto vivere e testimoniare con il breve documentario e con il reportage fotografico nasce dal desiderio di guardare al fenomeno dei migranti in transito senza quelle spettacolarizzazioni che vengono continuamente offerte dai canali ufficiali della comunicazione.

 

I nostri occhi, senza preconcetti, pregiudizi, paure, per testimoniare il viaggio durissimo compiuto dai profughi e dai migranti che fuggono da guerre, soprusi, povertà e fame.

 

Volevamo anche recuperare testimonianze delle donne fuggite dalla guerra, perché da sempre guerre e conflitti armati le vedono anche vittime di violenza. Lungo il percorso ci siamo invece resi conto che il primo bisogno che sentivamo era quello di rispettare quelle donne ed i loro silenzi.

 

Abbiamo così deciso di incontrarle e parlare con loro senza chiedere e, molto spesso, senza filmare o fotografare. Di frequente hanno scelto di essere narrate nei racconti dei loro mariti, fratelli, amici. Sottomissione? Non credo. Soltanto l’esigenza di affrontare la drammatica quotidianità per raggiungere il futuro.

 

Prima di partire per le terre della “rotta balcanica” siamo andati a Ventimiglia, dove ci è stata negata l’autorizzazione alla visita del centro dei migranti in transito gestito dalla Croce Rossa Italiana. Abbiamo anche chiesto allo Sprar nazionale ma anche le visite a queste strutture ci sono state negate.

 

Siamo così stati costretti ad accantonare l’idea di iniziare il nostro viaggio partendo dal sistema di accoglienza italiano e ci siamo spostati verso la “rotta balcanica” che ad oggi rappresenta la principale via di accesso verso il nord dell’Europa.

 

Una rotta che testimonia l’esodo di chi è costretto ad abbandonare aree devastate da conflitti e da guerre, dove le donne subiscono violenze e le pratiche di tortura sono lo strumento utilizzato contro la resistenza, dove i bambini vengo forzatamente reclutati e dove vengono continuamente violati la libertà di espressione e la libertà di culto religioso.

 

Il viaggio dei popoli “senza”. Senza terra, senza casa, senza vestiti, senza cibo e senza diritti. Un viaggio reso meno duro da tutti i volontari che lungo il percorso supportano come possono i migranti.

 

Raggiunta Belgrado, oltre a visitare i luoghi frequentati dai migranti ed un centro di accoglienza profughi, abbiamo attraversato le frontiere di Serbia, Croazia, Slovenia, Austria ed Ungheria. Frontiere assai diverse anche nel sistema di accoglienza: da quello serbo aperto e demilitarizzato a quello Sloveno, Austriaco e Croato gestito dalle Forze dell’Ordine fino alla frontiera Ungherese invalicabile a causa di una rete, simbolo stesso del fallimento di una Europa inclusiva ed equa.

 

Ci siamo così resi conto che il passaggio stesso delle frontiere rappresentava un terreno di perdita di diritti, un percorso che negava costantemente la Dichiarazione Universale dei Diritti degli Uomini rendendo più fragili e vulnerabili milioni di donne, bambini e uomini in fuga.

 

Mentre pubblichiamo queste nostre testimonianze anche la “rotta balcanica” sta cambiando forma. La Macedonia, la Serbia, la Croazia e la Slovenia hanno deciso di selezionare le entrate permettendo il transito esclusivamente a Siriani, Iracheni ed Afgani mentre migliaia di migranti di altre nazionalità rimangono in attesa di conoscere la loro sorte.

 

Un esodo di cui difficilmente si possono prevedere gli esiti e su cui l’Europa dovrà assumersi la responsabilità di scegliere da che parte essere.

 

Una piccola testimonianza, la nostra, che vuole essere il preludio ad un impegno ancora più concreto della Uil sul fronte dei diritti di questi popoli e sul fronte di una comunicazione più efficace. Il mondo del lavoro ed i suoi valori possono e vogliono essere un baluardo contro ogni forma di ingiustizia e di violenza.

 

Non esistono guerre giuste o legittime: dove si uccide è l’umanità intera a perdere.  I carri armati non esportano democrazie e non annientano le ingiustizie.

 

Se non riusciremo a diffondere il principio che la violenza non è mai giustificata come mezzo per sostenere le proprie convinzioni, l’umanità non avrà imparato niente dalla lezione del ventesimo secolo.

 

Più di mezzo secolo fa, Gandhi denunciò apertamente la violenza che devastava la sua epoca. Ciò che ci distingue dalle bestie, disse, è il nostro continuo sforzo di migliorarci moralmente.

 

 

 

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