Il ragazzo, malato e con problemi di ritardo mentale, è nato a Napoli ed è sempre rimasto in Italia. Ma non ha i documenti in regola. Ora deve «tornare» in Serbia
Milano, 28 novembre 2014 - Qui non può stare, non ha il permesso di soggiorno e deve tornare a casa sua, dove è nato: lo aspettano l’«espulsione» e il rimpatrio in Serbia, ha stabilito il prefetto di Venezia. Peccato che per Emra Gasi, 22 anni, «casa» sia San Donà di Piave, provincia di Venezia. E il posto dove è nato Napoli, italianissima Campania. «In Serbia non ci sono mai stato, neanche lo so parlare il serbo», giura dal Cie di Bari, il centro di identificazione ed espulsione dove è rinchiuso dal 25 novembre, nonostante sia positivo all’epatite C e abbia un handicap cognitivo certificato dal suo medico curante. «Sono in questo centro che non so neanche bene come si chiama, non riesco a mangiare né a dormire, sono abituato a stare con la mia famiglia — spiega al cellulare — Mi sento malissimo e voglio tornare da mia madre». Ieri il giudice di pace di Bari ha deciso invece di «trattenerlo» ancora nel Cie, in attesa di trovare «un vettore adatto» a portalo oltre confine. Burocrazia, marginalità sociale e ignoranza hanno finito per formare una trappola che rischia di inghiottirlo, senza ritorno.
Il luogo di nascita sbagliato
«La scorsa settimana è stato fermato a San Donà di Piave, dove risiede dal 2000, per un controllo dei documenti — racconta l’avvocata Uljana Gazidede, che lo assiste a Bari — . Aveva la carta di identità italiana, ma neppure sapeva di dover avere il permesso di soggiorno». Tra i documenti prodotti dall’avvocata c’è anche un certificato del suo medico curante che attesta il «ritardo mentale» del ragazzo: «Non è capace di sbrigare questo tipo di pratiche — sostiene il legale —. Così lo hanno convocato in questura e gli hanno notificato il decreto di espulsione per aver “violato le norme” su “ingresso” e “soggiorno” in Italia». Ed è qui che le cose si complicano: «Capisce? Dicono che è “entrato” illegalmente in Italia perché è nato in Serbia e portano come prova il suo passaporto serbo. Ma in realtà quello è il documento della madre: Emra Gasi ha un certificato di nascita italiano in cui è scritto nero su bianco che è venuto al mondo a Napoli — protesta l’avvocata Gazidede —. Ma il giudice di pace di Bari ha detto che comunque non è italiano e dovrà andarsene». Secondo l’avvocata, però, il giovane è sconosciuto alle autorità serbe: «Il consolato di Trieste ci ha comunicato che non è mai stato registrato alla loro anagrafe». E adesso Gasi è chiuso in una stanza, a 800 chilometri dalla sua casa di San Donà, in una terra di nessuno burocratica.
Una storia di emarginazione
Come è stato possibile che il ragazzo non sia stato registrato? «I genitori sono profughi della ex Jugoslavia, fuggiti nel 1989 quando è scoppiata la guerra — spiega l’avvocata —. Finché è stato minorenne, era registrato sul permesso soggiorno del padre, che come la madre e il fratello ne aveva uno illimitato». Al compimento della maggiore età avrebbe dovuto chiedere nuovi documenti: la legge italiana prevede che se un bambino è nato in Italia da genitori stranieri a 18 anni possa chiedere la cittadinanza se ha risieduto in maniera continuativa in territorio italiano. Nel suo caso nessuno lo ha fatto.«Proprio in quel periodo però suo fratello si è ammalato ed Emra è diventato tossicodipendente — racconta Denis Mazzon, di San Donà di Piave, un amico di Gasi che in questi anni ha preso a cuore la sua vicenda — ora ne è uscito ma ha contratto l’epatite. In più l’estate scorsa è morto il padre per un tumore, mentre la madre è analfabeta. Si sono ritrovati in una situazione disperata». Gasi non è senza macchie: ha avuto problemi con la giustizia, una condanna in primo grado per danneggiamenti e una per stalking. «Ma era riuscito a riprendersi, adesso è a posto — sostiene Mazzon —. Ma con l’espulsione rischia di perdere di nuovo tutto. E nelle sue condizioni non è in grado di resistere a lungo dentro al Cie». Gli amici e i familiari chiedono che possa tornare a casa al più presto, in attesa di chiarire la sua situazione. E Gasi ha paura: «Non ci voglio andare in Serbia, io mi sento italiano, come tutti».