IMPOSTA DI SOGGIORNO  - Ivana VERONESE
Veronese: rischio di buco nei Comuni a causa dei mancati incassi dell'imposta per il Covid-19
Studio UIL su Imposta di soggiorno e di sbarco
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15/05/2020  Sindacato.  

 

 

 

Rischio “buco di bilancio” nei Comuni turistici dovuti ai mancati incassi dell’imposta di soggiorno e/o di sbarco a causa della pandemia.

 

Sono 1.028 i Comuni italiani che applicano l'imposta di soggiorno o la tassa di sbarco con un gettito complessivo, nel 2019, di oltre 586 milioni di euro.

 

Sono i dati che emergono da un’indagine del Servizio Lavoro, Coesione e Territorio della UIL sull’applicazione dell’imposta di soggiorno e tassa di sbarco nei Comuni italiani.

 

In principio fu Roma: correva l’anno 2010, quando fu istituita nella capitale la tassa di soggiorno per ripianare il deficit comunale.

Successivamente (nel 2011), spiega Ivana Veronese – segretaria Confederale UIL – fu poi reintrodotta strutturalmente per tutti i Comuni con il decreto legislativo sul fisco municipale, in attuazione del federalismo fiscale.

 

L’introduzione da parte dei Comuni dell’imposta di soggiorno e dell’imposta di sbarco è facoltativa. Le tasse vengono applicate alle persone che alloggiano nelle strutture ricettive situate in località turistiche o Città d’arte o che sbarcano nelle isole.

La tariffa per la tassa di sbarco sulle isole minori è di 1,50 euro a persona. 

 

L’imposta di soggiorno, invece, da istituirsi con Regolamento Comunale approvato dal Consiglio, va da 10 centesimi ad un massimo di 5 euro per notte di soggiorno (fa eccezione Roma dove l’imposta può arrivare a 10 euro per notte).

Le modalità di applicazione sono diverse: dal versamento di un importo fisso a un importo variabile a seconda delle stelle della struttura. La moltitudine dei Comuni ha scelto – commenta Ivana Veronese – di diversificare le tariffe in base alle “stelle” attribuite alle strutture. Si paga per una o più notti in albergo, ma non solo: anche i campeggi, i bed and breakfast, gli agriturismi, sono toccati dall’imposta.

 

Il relativo gettito – continua Ivana Veronese – è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, di manutenzione, fruizione e recupero di beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali. 

 

Il gettito maggiore si registra a Roma, con 129 milioni, che da sola contribuisce per il 22% al gettito totale dell’imposta.

 

A Milano il gettito ammonta a 55 milioni di euro. Seguono Firenze, 48,8 milioni di euro; Venezia, 36 milioni di euro; Napoli, 12,3 milioni di euro; Rimini, 9,5 milioni di euro; Torino, 8,2 milioni di euro; Genova, 4,5 milioni di euro; Palermo, 2,6 milioni di euro; Matera, 1,6 milioni di euro.

 

Se si analizzano le cosiddette “località turistiche”, a Jesolo il gettito ammonta a 5 milioni di euro; a Riccione a 4,3 milioni di euro; a Taormina a 3,2 milioni di euro; ad Abano Terme a2,7 milioni di euro.

 

Purtroppo, il turismo sarà il settore che risentirà maggiormente della crisi e i primi effetti, con il blocco dei flussi turistici, sono già emersi a partire dal mese di febbraio.

 

Per questo lanciamo l’allarme di un buco nei bilanci dei Comuni cosiddetti “turistici” – conclude Ivana Veronese – perché con gli introiti di questa imposta i Comuni finanziano parte degli investimenti nelle opere infrastrutturali turistiche e i servizi pubblici.

 

Il decreto rilancio stanzia 100 milioni di euro per compensare i Comuni del mancato incasso: auspichiamo che siano sufficienti, ma temiamo che purtroppo non bastino a compensare le perdite.

 

 

 

Maggio 2020