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SETTEMBRE 2008

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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LUGLIO - AGOSTO 2008

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SOMMARIO

Editoriale
Spunti per discutere - di A. Foccillo
Intervista al Segretario Generale della Uil Luigi Angeletti
“Crescere contemporaneamente produttività e reddito dei lavoratori
dipendenti” - di A. Passaro

Europa
Sei mesi di presidenza francese quali opportunità per l’Europa - di N. Nisi

Economia
Ugo La Malfa - Il riformista moderno - di D. Proietti
La crisi del capitalismo e le scelte sindacali - di E. Canettieri

Sindacale
Questo è il momento della Uil - di P. Nenci

Società
Destra o sinistra - di G. Paletta

Attualità
Il bidone - di A. Ponti

Approfondimenti
Le prospettive del sistema bancario italiano alla luce delle implicazioni
della più grave crisi del mercato finanziario globale dalla fine
del secondo conflitto mondiale - di M. Sarli

Internazionale
Inaugurata a Lima la nuova sede del patronato ITAL UIL e della UIM PERÙ.
Intervista a Mario Castellengo, vicepresidente Ital - di A. Carpentieri

Agorà
Prospettive dell’azionariato deilavoratori - di M. Ballistreri
Non tutto quello che luccica è oro - di G. Salvarani

Cultura
Leggere è rileggere - Franz Kafka: Lettera al padre - di G. Balella
La scommessa del cinema italiano a Venezia - di S. Orazi
Il cinema ritorna allo spettacolo a Venezia: la posa della prima pietra
per un nuovo palazzo del cinema - di L. Gemini
La Cineteca Nazionale a Venezia 2008 - di L. G.

Inserto
Il ’68 e il ’69 della UIL: due anni di forte cambiamento - di P. Nenci

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EDITORIALE

Spunti per discutere

Di Antonio Foccillo

E’ da un po’ di tempo che stiamo dedicando editoriali ed approfondimenti sulla crisi della finanza americana eppure, per la sua gravità, che si è manifestata in questi giorni e per la sua capacità di nuocere su tutti i mercati ci voglio ritornare perché non sembra che questo tema abbia interessato il dibattito politico e sociale del nostro Paese. Ormai la dimensione sta diventando molto preoccupante e quasi ogni giorno si assiste, come un bollettino di guerra, alla caduta di colossi finanziari con gravissime perdite economiche e di posti di lavoro che per forza di cose influiranno su tutte l’economie mondiali, basta vedere come reagiscono le varie borse. Il nostro Paese, ci si dice, non sarà influenzato molto, perché il nostro sistema bancario è forte. Ma è proprio così? Vista l’interdipendenza dei sistemi bancari e vista la dimensione delle banche e assicurazioni che sono coinvolte? Non dimentichiamoci che anche in Inghilterra vi è stata già una crisi ed anche in Germania vi sono i primi scricchiolii, mentre la Spagna, proprio per il ridimensionamento del mercato immobiliare ha visto, per la prima volta, fermarsi la crescita del suo prodotto interno lordo. Allora non è solo un problema di come difenderci nell’immediato, ma di aprire un confronto a tutto campo su un sistema economico che in questi anni ha promesso ricchezza al mondo sulla base della libertà piena di mercato e della finiziarizzazione dell’economia. Quante volte sono state decantate le flessibilità sul lavoro, la globalizzazione, la finanza ed il mercato come le panacee di tutti i mali? Oggi i nodi vengono al pettine e forse, anche in Italia qualcuno, aprirà gli occhi e comincerà a superare quella posizione dell’ineluttabilità dei processi economici. Quanti discorsi e quante parole si sono sprecate per mettere a tacere quelli che qualche dubbio lo avevano espresso su questo promesso ”Eden”. Privatizzazioni, flessibilità, riduzione dei diritti, esternalizzazioni, così si distruggeva un patrimonio di professionalità, di management, di ricchezza, di socialità e solidarietà che pure sono state un patrimonio di cultura giuridica, politica, sociale che hanno caratterizzato l’Europa e il nostro Paese. Ebbene oggi la patria del capitalismo, dell’esasperazione del libero mercato, delle individualità e della competizione estrema, per tentare di mettere al riparo i disastri della finanziarizzazione dell’economia che cosa fa? Pubblicizza, cioè lo Stato interviene con soldi pubblici per salvare alcuni giganteschi fallimenti e per tranquillizzare i mercati. E’ allora non viene un dubbio a tutti noi che forse abbiamo sbagliato nell’assecondare le tante sollecitazioni ad andare nel senso inverso sia rispetto alla nostra storia di società solidale che di una economia che fosse il giusto compendio fra azione privata e pubblica. A quanto la discussione? La seconda tematica che vorrei affrontare è la conferenza di organizzazione della Uil, celebrata dal 15 al 17 di settembre. E’ stata una bella manifestazione, ricca di spunti, proposte, interventi e ospiti che l’hanno onorata. Eppure i mass media dove erano? Questo è un problema che riguarda tutti e non solo il sindacato. In un Paese democratico il sistema dell’informazione deve appunto solo “informare” tenendosi al di sopra delle parti. Al di là delle solite note sugli attuali assetti proprietari che tutti conoscono, il problema è come si formano obbiettivamente le opinioni delle persone? Vi è un tentativo, ormai sempre più evidente, di delegittimare tutte le organizzazioni rappresentative. Tutto deve essere nuovo, tutto può essere deciso, sempre in ambiti più ristretti e limitati. Chi si oppone è considerato conservatore. Basta guardare qualche trasmissione politica o d’informazione e valutare le opinioni che si diffondono, verificare come si orienta il consenso o il dissenso, per esempio, sulle azioni del sindacato. Da ciò poi nascono sondaggi che senza nessuna obiettività scientifica diventano di opinione comune. La terza questione è strettamente connessa con la precedente e riguarda lo stato di democrazia del nostro Paese. Un sistema si dice democratico, quando vi è un equilibrio fra i diversi poteri costituzionali, con opportuni pesi e contrappesi; quando vi è un controllo sull’operato della maggioranza da parte della minoranza; quando vi è una dialettica molto ampia ed articolata, dando spazio al pluralismo delle idee e, soprattutto, quando il cittadino può partecipare alle decisioni o attraverso coloro che elegge o attraverso le forme di rappresentanza (partiti e sindacati). Ebbene oggi tutto questo è in forse o non c’è più: non vi è nessuna legittimazione delle forme di rappresentanza; sempre meno ci sono sedi di partecipazione democratica dove potere affermare la propria soggettività; e non vi è nessun rapporto fra il rappresentante ed il rappresentato.

Se non si ripristina una correttezza istituzionale, dove le regole valgono effettivamente e dove appunto ognuno può svolgere il ruolo per cui è preposto o è delegato, difficilmente le organizzazioni di rappresentanza potranno trovare spazi nelle decisioni politiche.

Veniamo all’ultima questione: l’Alitalia. Al momento della scrittura di questo editoriale siamo al disastro. La Cai ha ritirato la sua offerta ed il rischio di fallimento è sempre più vicino.

Da questa vicenda emergono molte considerazioni:

Passata questa ingiustificata euforia i problemi verranno all’indomani nella vita quotidiana e forse ci sarà da piangere. In sintesi, con tutto ciò  vorrei solo precisare che è opportuno, se vogliamo uscire dalla secche in cui il paese è incagliato con i rapporti fra le persone inaspriti, i valori inariditi e la prevalenza della legge della giungla, che bisogna ripartire ripristinando ruoli, sedi, strumenti di partecipazione per formare una nuova classe dirigente ed un nuovo sentire comune.

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Intervista al Segretario Generale della Uil Luigi Angeletti: “Crescere contemporaneamente produttività e reddito dei lavoratori dipendenti”.

di Antonio Passaro

Angeletti, dal 15 al 17 settembre si è svolta, a Roma, la settima Conferenza di Organizzazione della Uil. Il tema centrale dell’appuntamento è stato riassunto in uno slogan secco e inequivocabile: “la Uil, il Lavoro”. E’ questo ormai il leit-motv della nostra Organizzazione?

Certo. Lo abbiamo già detto tante volte: noi continuiamo a credere nell’articolo 1 della Costituzione che, come è noto, ci ricorda che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Noi dobbiamo sconfiggere il conservatorismo e contribuire alla realizzazione di una politica che si ponga l’obiettivo di far crescere l’economia. E questo è possibile solo valorizzando il lavoro perché è il lavoro che può consentire al nostro Paese di tornare a crescere.

Anche in questa occasione hai sollecitato la soluzione del vero problema economico del nostro Paese: la bassa produttività e i bassi salari…

Questa è la realtà e questi sono i nostri problemi che dobbiamo risolvere contemporaneamente: per contrastare il rischio di una recessione, bisogna far crescere la produttività e contemporaneamente il reddito dei lavoratori dipendenti. E ciò è necessario non solo per una questione di giustizia sociale ma perché un aumento della produttività e dei salari avrebbe ripercussioni positive per la competitività del nostro sistema economico e per il mercato interno.

E anche la ricetta continua ad essere sempre la stessa…

Noi pensiamo che una buona politica consista nella riduzione delle tasse solo sui salari e sulle pensioni e nel fare un accordo per un nuovo sistema contrattuale che consenta la crescita dei salari reali dei lavoratori grazie all’aumento della produttività. Un discorso, questo, che vale sia per l’impresa sia per il pubblico impiego.

A tal proposito, mentre scriviamo, è in corso una difficile trattativa per la riforma del sistema contrattuale. Chi legge, avrà già conosciuto l’esito di questa vicenda che vede i Sindacati su posizioni non omogenee. Ma, al momento, qual è la tua idea?

Io credo che non abbiamo alternative ad un buon accordo. L’alternativa sarebbe la rassegnazione, sarebbe lasciare inalterata l’attuale condizione senza preoccuparci di difendere le persone che rappresentiamo e che ci chiedono di attivarci perché i loro salari aumentino. Ma noi non vogliamo, non possiamo e non dobbiamo rassegnarci. Ed è per questo motivo che non subiremo veti.

Altro tema particolarmente scottante è quello relativo al destino di Alitalia. Alla proposta della cordata di imprenditori italiani che intendono rilevare la compagnia di bandiera non hanno aderito la Cgil e le sigle degli autonomi e la Cai ha ritirato la propria offerta. Cosa fare adesso? 

Con il ritiro dell’offerta da parte della Cai, siamo di fronte ad una catastrofe sociale per i lavoratori: nei prossimi giorni non si parlerà più di condizioni di lavoro ma di posti di lavoro. Ma è una catastrofe anche sindacale: questa vicenda mi ricorda quella di circa trent’anni fa alla Fiat.

Proprio in questi minuti ci sono tentativi disperati per provare a rimettere insieme i cocci. Tu hai fatto una proposta…

Sì. Io penso che siano tutti i lavoratori di Alitalia a dover decidere del proprio futuro: a loro spetta valutare se accettare o respingere il piano della Cai. Le decisioni che riguardano i posti di lavoro non possono essere assunte solo dai sindacalisti, tanto più in Alitalia dove questi sindacalisti non sono votati dai lavoratori. E poiché, a questo punto, tra pochi giorni, molte migliaia di persone rischiano di restare per strada senza alternative e senza futuro, siano i lavoratori a dire sì o no a quel piano. E la Cai consideri vincolante il voto di quelli che potrebbero diventare i suoi lavoratori.

Qualunque sarà l’esito della vicenda Alitalia sia della riforma della contrattazione, alla fine di questo settembre 2008 il sistema delle relazioni industriali nel nostro Paese è comunque destinato a mutare. Ma - in attesa che la cronaca ceda il passo alla storia e per cambiare argomento - ciò che invece non sembra cambiare è l’attitudine della politica a incidere sulle vicende dell’economia. Cosa ne pensi?

Intanto vorrei chiarire che noi ci interessiamo della vicenda politica non perché intendiamo dare consigli o giudizi ma proprio perché i problemi del Paese sono sempre gli stessi, restano irrisolti e ci riguardano molto da vicino. Il principale nodo da sciogliere, non ci stancheremo mai di ripeterlo, è quello della bassissima crescita dell’economia. Ciò determina scarsa disponibilità di posti di lavoro ben pagati, salari tendenzialmente più poveri degli altri Paesi, scarsità di risorse necessarie al funzionamento dei servizi pubblici, dalla sicurezza alla scuola, dalla ricerca alla sanità. La riduzione delle entrate conseguente alla stagnazione dell’economia congiunta all’irrisolta questione dell’evasione fiscale non fanno che aggravare, per noi, le conseguenze della crisi finanziaria mondiale e dell’incombente recessione. In questo modo, anche il nostro debito diventa un fardello sempre più pesante da sopportare, con l’enorme quantità di miliardi di euro che bisogna pagare ogni anno per i tassi di interesse. Perché il Paese si risollevi non possiamo pensare di affidarci alla buona sorte o al solo impegno dei cittadini e delle imprese: è necessaria una buona politica.

E qui torniamo a bomba e il cerchio si chiude: cosa deve fare la politica?

Deve fare le riforme: dal federalismo, alla scuola, alla giustizia; riforme importanti che, se fatte bene, produrranno vantaggi per il nostro Paese nei prossimi anni. Ma, intanto, occorre subito una buona politica economica che contrasti i rischi di una probabile recessione. E qual è la buona politica economica, lo abbiamo già detto.

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