
LAVORO ITALIANO
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Antonio Foccillo
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Autorizzazione del Tribunale
di Roma n.° 402 del 16.11.1984
Editoriale
Perchè non se ne parla? – di A. Foccillo
Intervista al Segretario Generale Luigi Angeletti: "Tra CGIL, Cisl e Uil
ci sono sensibilità diverse: ma o si riesce a fare un passo avanti tutti
insieme oppure un accordo separato sulle regole non avrebbe senso." - di
A. Passaro
Economia
Apprendere per cooperare - di P. Carcassi
Non è tutto oro ciò che luccica - di A. Croce
“Oggi è già domani”. La Previdenza Complementare (è) una scelta
per il tuo futuro - di M. Abatecola
Sta per scoppiare anche la bolla derivati? - di G. P.
Sindacale
Il mercato del lavoro in Italia: Studio UIL - di G. Loy
Più sicurezze nel lavoro - di C. Prestileo
La sfida del lavoro - di P. Nenci
Approfondimento
Scusi una domanda: lei sa che quest’anno è l’anno europeo
del
dialogo interculturale - di G. Salvarani
Cominciamo da una vera cultura previdenziale- di P. N.
Europa
Una rinnovata agenda sociale per l’Europa - di A. Ponti
Internazionale
Meeting Asia-Europa: prove di dialogo sociale - di M. Nicolia
Agorà
La diffusione della lingua italiana nel mondo - di A. Carpentieri
Cultura
La UIL UNSA attiva un nuovo servizio: Patrocinio per gli Autori
e
gli Artisti italiani - di N. A. Rossi
Dal cinema al DVD. Chi ne guadagna? - di L. Gemini
Leggere è rileggere. Louis Pauwels - Jacques Bergier: Il mattino dei
maghi - di di G. Balella
Inserto
Il ’68 e il ’69 della Uil: due anni di forte modificazione (prima parte)
- di P. Nenci
Di Antonio Foccillo
Il premio Nobel per l’economia, Joseph E. Stiglitz ha scritto
recentemente un articolo in cui affronta il problema che attanaglia
l’economia mondiale, cioè la crisi del sistema di neoliberismo. Lo
descrive con il sinonimo “integralismo di mercato” considerandolo il
“presupposto del tacherismo, del reagonomics e del cosiddetto
‘Washington Consensus’ che si sono rivolti a favore della
privatizzazione, della liberalizzazione e della risoluta concentrazione
sull’inflazione da parte delle Banche centrali indipendenti”. Egli
ritiene che questa ideologia sia fallita ancora una volta.
Infatti, scrive “Per un quarto di secolo tra i Paesi in via di sviluppo
c’è stata un’agguerrita concorrenza ed è chiaro chi sono i perdenti: i
Paesi che hanno perseguito politiche neoliberiste non soltanto hanno
perso la non irrilevante posta in gioco della crescita, ma oltretutto
quando hanno fatto progressi i benefici ottenuti sono andati in buona
parte ad accrescere in maniera sproporzionata lo status di chi già stava
in condizioni migliori rispetto ad altri…”. Nel continuare l’analisi di
questo processo passa ad affrontare la questione dei subprime che, oltre
ad aver procurato per tanti proprietari la perdita della casa e di
conseguenza anche i risparmi di tutta la vita, hanno provocato una
svalutazione globale. Tutto ciò porta ad “una recessione che sarà
duratura e di ampia portata”. Così continua “…la filosofia del libero
mercato è stata usata selettivamente, abbracciata, quando serviva
interessi speciali, liquidata, quando non serviva.” Per poi ragionare
sul fatto che “in un mondo di grandi ricchezze, milioni di persone dei
paesi in via di sviluppo tuttora non si possono permettere i requisiti
minimi nutrizionali. In molte aeree gli aumenti dei prezzi dei generi
alimentari e dell’energia avranno un effetto particolarmente devastante
sui poveri, perché sono queste due le categorie che assorbono la maggior
parte delle loro spese.”
Per concludere: “Oggi è in atto una discrepanza tra interessi sociali e
privati…”. “… il fondamentalismo del mercato neoliberale è sempre stato
una dottrina politica al servizio di determinati interessi. Non è mai
stato sostenuto da una teoria economica, né – e dovrebbe essere chiaro,
ormai – è supportato da un’esperienza storica. Apprendere, una volta per
tutte, questa lezione potrà rivelarsi il piccolo raggio di sole in una
nube scura che incombe ormai sull’economia globale”.
Di tutto ciò se ne parla poco in Italia. Quasi come se il problema non
interessasse sia alla politica (troppo indaffarata sulla discussione sul
sistema elettorale e dai problemi della giustizia ) sia a tanti
economisti. Fatte salve alcune eccezioni in primis il Governatore della
Banca d’Italia, Mario Draghi; il Ministro Tremonti e l’ex Presidente
della Consob Guido Rossi. Il Governatore non solo si è posto il
problema, ma, anche per la carica istituzionale, ha avanzato alcune
proposte pure a livello internazionale. Il Ministro Tremonti ha
elaborato una serie ragionamenti e ritiene che “mentre l’Europa cerca di
costruire un mercato perfetto, fuori dai suoi confini si sta facendo
un’altra cosa, il mondo dei monopoli e dei duopoli con elementi poco
trasparenti come i fondi sovrani.” Ma considera la crisi dei subprime
“non la fine del mondo ma la fine di un mondo”. E dalle macerie dei
mutui nascerà “un mercato più reale, ancorato al lavoro, meno virtuale e
immorale di quello in cui abbiamo vissuto in questo decennio”. Guido
Rossi considera oggi “il mercato qualcosa di più sofisticato, infatti,
di hedge e fondi sovrani non si conosce né la proprietà e né gli
interessi”. Ritiene che la “globalizzazione ha impoverito lavoratori e
classi medie che i sindacati hanno abbandonato a se stessi. Il mercato
ha un ruolo, ma ora servono interventi legislativi in grado di
tutelarli.” E il sindacato? Come Uil ci siamo già interrogati una prima
volta in un convegno sulla “Finanziarizzazione dell’economia” il 19
marzo e sulla rivista Lavoro Italiano abbiamo dedicato e continuiamo a
dedicare molto spazio ai problemi del mercato. Convinti che proprio
nella partecipazione alle formazioni sociali si esplica la piena
emancipazione della personalità e dei propri diritti, come sostiene
anche la nostra Costituzione, e che non è possibile scindere l’azione
sindacale del quotidiano dalla strategia di costruire una società più
giusta e più equa in cui logica economica, logica politica e logica
sociale siano un tutt’uno. Infatti, l’azione umana ha una pluralità di
motivazioni che non si possono ridurre in termini soltanto economici e
utilitaristici. Pertanto, l’azione delle formazioni sociali (partiti,
sindacati) essendo caratterizzata da prospettive di equità da favorire
socialmente, pur dovendo fare i conti con le leggi di mercato, si deve
proporre interventi volti a realizzare la giustizia e i valori
esistenziali. Il metodo economico è incompatibile spesso con gli
istituti direttamente incentrati sulla personalità umana (c.d.d. i
diritti della personalità) e trascura aspetti che mutano di gran lunga
gli stessi assetti istituzionali del potere. Tutto questo, a parer
nostro, esige una nuova progettualità, che senza sposare facili
massimalismi, induca a confrontarsi sulle possibili soluzioni che le
diversità culturali presenti nella società propongono e su un rinnovato
e corretto rapporto tra economia, etica, politica e mondo del lavoro.
Oggi si vive lo sviluppo neo liberista per lo più con l’atteggiamento
scettico del prendere atto (senza alcuna partecipazione critica) che
l’economia governa la politica e la legge è ormai amica solo del mercato
e delle sue ineludibili esigenze. E’ un realismo che considera il
primato di fatto del mercato come “valore” unico, sul quale costruire la
moderna legalità.
Il rapporto mercato-istituzioni rappresenta il problema centrale della
modernità. Occorre, però la consapevolezza che il protagonista di tale
rapporto è, e resta l’uomo, come persona, non già ridotto solo a
consumatore o produttore. Il mercato tende ad essere una realtà
pervasiva dell’ intera società la quale si può definire libera in quanto
garantisce la più ampia autonomia degli individui partecipanti. La
sfrenata libertà di mercato si traduce in lotta e in conflitto,
rischiando di relegare la dignità personale a semplice scambio,
esponendo i soggetti deboli, sopraffatti o sfruttati alla marginalità.
Il mercato assume il ruolo istituzionale, di organizzazioni di relazioni
sociali, e di ridistribuzione di ricchezza e i grandi gruppi economici,
che svolgono le funzioni di governo privato della società, si prestano
alla cooperazione e alla sponsorizzazione compatibili con il loro
egoismo, ma niente affatto disponibili a gesti e forme di sincera
solidarietà. La società non è riconducibile al mercato e alle sue
regole, il mercato ha bisogno di norme che lo legittimino e lo regolino.
Occorre ritrovare le ragioni profonde della responsabilità individuale e
collettiva, impegnarsi sul piano della cultura politica, così da
contribuire a realizzare una democrazia economica, centrata sulla
persona e soprattutto sulle capacità imprenditoriali, finalizzata
all’utilità sociale (vedi la Costituzione), evitando che i detentori,
anonimi o no, delle grandi imprese siano anche i signori del governo.
Ma è necessario anche il controllo sulla forza pervasiva del mercato.
Quest’ultimo tende anche a creare bisogni corrispondenti agli oggetti
che produce ed a soggiogare le libertà e le capacità critiche delle
persone in un sistema perverso, pubblicitario e informativo. Ciò mette
in crisi la stessa formazione dell’opinione pubblica e il sistema di
controllo popolare, incidendo sulla cultura di massa. In gioco sono la
funzione delle regole e il comportamento democratico delle istituzioni,
la speranza di legalità della politica e nella politica, con sempre
maggiore difficoltà di controllo delle operazioni politicamente
rilevanti. Il mercato si pone solo il problema della distribuzione,
mentre lo Stato realizza prevalentemente la ridistribuzione. Con
l’attuale situazione economica la distribuzione delle perdite e dei
costi sociali avviene sempre a livelli di fasce di cittadini più ampie
con l’aumento delle povertà ed emarginazione, mentre si è persa la
capacità di ridistribuire la ricchezza prodotta che è il compito più
alto della solidarietà sociale e politica. La visione di una società in
cui vi sia giustizia sociale, equità, libertà, partecipazione
democratica, coesione e solidarietà non può essere considerata
un’utopia, ma deve vederci impegnati, proprio in un momento come questo,
per regolare realisticamente un mercato che non imponga il suo modo di
pensare e di agire, imponendo ad ognuno di noi la sua scala di valori al
punto che l’uomo venga misurato esclusivamente in termini di costi e
benefici. Certamente nelle attuali società, come in passato, non vi è
separabilità dell’economico dall’umano, ma questo deve indurre la
politica a riacquistare la sua centralità e il sindacato, insieme alla
politica e alla classe imprenditoriale, a configurare nuovi rapporti tra
economia ed etica, tra economia e diritto, tra economia e politica.
di Antonio Passaro
Angeletti, chi ci legge ha già conosciuto l’evoluzione della trattativa per la riforma del sistema contrattuale. Tra pochi giorni, infatti, giovedì 24 luglio, si svolgerà una sessione del confronto con la Confindustria decisamente importante per conoscere la strada che sarà imboccata. Resta la speranza di concludere entro la fine del mese di settembre. Ma è davvero, al momento, una prospettiva ancora realistica?
La strada è decisamente in salita e il prossimo appuntamento è cruciale. Oggi le posizioni sono distanti sia riguardo all’indice inflativo di riferimento per il rinnovo dei contratti nazionali sia in merito al peso economico da attribuire a questi ultimi. Se queste differenze saranno superate, a settembre il confronto potrà proseguire. Altrimenti non vedo quale miracolo ci potrà portare ad un accordo.
Via l’inflazione programmata, qual è il nuovo indice che si sta approntando?
Nel nuovo sistema – lo abbiamo ribadito a chiare lettere – non ci sarà più l’inflazione programmata, ma un sistema di calcolo come quello adottato in Europa. Ciò significa che saremo al riparo da operazioni politiche e misureremo l’andamento dei prezzi così come avviene in Germania e in Francia. Tutto questo ci sarà – così come ci sarà anche una crescita dei salari reali con la contrattazione di secondo livello – se supereremo le attuali differenze e se a settembre firmeremo l’accordo.
Che la riforma del sistema contrattuale sia necessaria per far crescere i salari reali lo abbiamo detto da queste stesse pagine in più di una circostanza. Non mi pare che, a questo punto, ci sia molto altro da aggiungere se non attendere l’esito dell’incontro del 24 luglio, sperando nel prossimo numero di poter dar conto di positivi avanzamenti. Ma un’ultima domanda vorrei fartela. Proprio in queste ore è stato firmato il rinnovo del contratto nazionale di lavoro del commercio solo da Uil e Cisl. Quale ripercussione può avere la vicenda di questa categoria sul tavolo generale della riforma?
Rispondo brevemente. Che tra Cgil, Cisl e Uil ci siano sensibilità diverse non è un mistero. Ma ciò che è avvenuto nella categoria del commercio non avrà alcuna conseguenza sul tavolo della riforma del sistema contrattuale. Sia chiaro che o si riesce a fare un passo avanti tutti insieme oppure un accordo separato sulle regole non avrebbe senso. Per il resto, sono proprio d’accordo con te: è meglio non aggiungere altro e attendere l’esito dei prossimi incontri. Ne riparliamo a settembre!
E allora cambiamo argomento. Cosa pensi della cosiddetta “Robin Tax” e delle critiche che, al proposito, sono state rivolte al ministro Tremonti?
Io credo che sulla Robin tax abbia ragione Tremonti e che, invece, sbagli chi sostiene che non si possano tassare le banche e le compagnie petrolifere perché altrimenti si trasferirebbero sui consumatori i costi derivanti da queste maggiori tasse. Se ciò fosse vero, vorrebbe dire che non si potrebbe tassare nessuna impresa e che, alla fine, unici soggetti da tassare sarebbero operai e impiegati. Semplicemente inaccettabile…
Intanto l’economia va decisamente male. I recenti dati su produzione industriale, fatturato e ordinativi sono sconfortanti. Qual è la tua opinione?
I dati sono preoccupanti e confermano l’opinione unanime che si sta andando incontro ad un rallentamento dell’economia che coinvolge anche l’Europa e il mondo. Per quel che ci riguarda, abbiamo un problema in più: che non aumentino le differenze tra noi e gli altri Paesi con cui dobbiamo competere. D’altro canto, è difficile che si produca se non si vende. Lo abbiamo detto molte volte e in tante occasioni: siamo un Paese che produce prevalentemente beni di consumo e la caduta dei consumi in Italia è dovuta sostanzialmente alla perdita del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni. E per far crescere l’economia ci sono solo due ricette: fare investimenti e rilanciare i consumi, aumentando i salari e riducendo le tasse sul lavoro dipendente e sulle pensioni. E’ paradossale, ma da noi i salari scendono e il costo del lavoro sale. La ragione di ciò sta nella scarsa produttività e la soluzione a questo problema sta nel collegare l’aumento dei salari all’aumento della produttività. Ecco perché il rafforzamento della contrattazione di secondo livello è decisiva. Ma qui torniamo su un punto che avevamo deciso di lasciare in sospeso, per il momento…
Nei ragionamenti di alcuni si torna a parlare di “autunno caldo”. Che ne pensi?
Io consiglierei di evitare la ripetizione di formule logore. Di autunno caldo ce n’è stato uno in condizioni sociali ed economiche profondamente diverse. Quelle successive sono state tutte parodie. Resta il problema salariale, non da oggi ma da qualche anno. Un problema che non è mai stato affrontato in maniera seria e che non è stato mai risolto. Noi abbiamo dato delle indicazioni precise. Per assumere decisioni conseguenti, vediamo prima se e come quelle indicazioni saranno raccolte.
C’è anche un problema inflazione…
Sì è vero, ma è soprattutto un problema di speculazioni. I governi e le autorità monetarie dovrebbero preoccuparsi di combattere le speculazioni che generano inflazione. Al contrario, una politica economica ossessionata dall’inflazione rischia di essere una politica economica che conduce alla recessione. Bisogna concentrarsi sulla scarsa crescita, sul calo della domanda interna e sui bassi salari. Questo è il punto.
E intanto nel pubblico impiego si ripropone il problema del rinnovo contrattuale. Che fare?
E’ un problema serio. La discussione sul pubblico impiego deve essere complessiva e deve riguardare i salari, l’aumento di produttività e le norme che governano lavoro e retribuzioni. Si possono discutere criteri diversi per la loro erogazione, ma le quantità economiche non possono essere eliminate. Altrimenti lo sciopero, a settembre, sarà inevitabile