L’Università: dove sta andando e dove vorremmo che andasse
SETTEMBRE 2019
Sindacale
L’Università: dove sta andando e dove vorremmo che andasse
di   Federazione Uilscuolarua

 

Tra le tante definizioni che ho letto sull’Università quella che più mi ha colpito è quella data da Giovanni Paolo II che quali elementi essenziali della missione universitaria indica lo sviluppo della cultura, la crescita della persona ed il servizio alla società. «Ogni università è una comunità accademica che, in modo rigoroso e critico, contribuisce alla tutela e allo sviluppo della dignità umana e dell’eredità culturale mediante la ricerca, l’insegnamento e i servizi offerti alle comunità locali, nazionali e internazionali » ( Ex corde Ecclesiae, n. 12, 15/08/1990). Tale definizione, con l’avvento dell’Università di massa, sembra più presente ed ampia rispetto a quella data dalla Charta di Bologna (1988) che definisce l’università come «l’istituzione che produce e trasmette criticamente la cultura, mediante la ricerca e l’insegnamento ». All’Università, infatti, viene oggi sempre più spesso richiesto un progetto didattico finalizzato alla preparazione professionale intesa come competenza funzionale al mercato. Ovviamente tale esigenza, trasformando di fatto, il metodo didattico degli Atenei, ha richiesto un grande impegno perchè la qualità della attività formativa professionalizzante non dipende dal numero di nozioni acquisite dallo studente ma dalla capacità di “pensare come fare” per affrontare i problemi nuovi posti dalla rapida trasformazione del nostro mondo.

 

È inoltre utile sottolineare che i percorsi professionalizzanti hanno generato una domanda di servizi e strutture diverse da quelle che venivano richieste in passato. L’impegno che in termini di: apertura dei servizi culturali (biblioteche 24 h); di attività divulgative (orientamento, notte dei ricercatori, alternanza scuola/lavoro); di ampliamento delle reti formative, viene oggi richiesto agli Atenei oltre a creare un aggravio per il personale docente e tecnico amministrativo ha generato per i loro bilanci dei costi spesso non previsti nel Fondo di Funzionamento Ordinario (FFO) che, dal 2009 è costantemente in calo. Se si pensa infatti che l’intero sistema universitario pubblico negli anni 2008/2009 costava allo Stato oltre 7 miliardi e 400 milioni e che a distanza di 10 anni, nonostante le evoluzioni normative intervenute, il FFO nel 2018 è stato quantificato in € 7.327.189.147 (comprensivo dei finanziamenti con vincolo di destinazione previsti da specifiche disposizioni legislative) si capisce come è difficile pensare che il disegno politico del nostro Paese, nono stante le tante dichiarazioni di intenti sancite dai vari politici che si sono succeduti, punti veramente alla ”conoscenza” quale volano per lo sviluppo umano e la crescita economica.

 

Ogni taglio all’istruzione e alla ricerca rende gli Atenei “dipendenti” da tre fattori. Il primo fattore è determinato dalla ricerca di nuovi iscritti perché a tale incremento consegue una maggiore entrata nei bilanci; il secondo ed il terzo sono costituiti dal conseguimento della laurea in corso e dal grado di internazionalizzazione raggiunto nei vari percorsi perché questi indicatori determinano il posizionamento dell’Ateneo nelle classifiche di merito sulla base delle quali, a livello ministeriale viene quantificata l’entità dei finanziamenti concessi. Questa politica competitiva, seppure stimolante per certi aspetti, ha portato avanti l’idea che il conseguimento della laurea non dipenda dalla capacità dello studente ma bensì dal diritto maturato a seguito del pagamento delle tasse di iscrizione. Questa conclusione, seppure nella sua tristezza, si concretizza quando si constata che la valutazione positiva del corso di studi dipende da indicatori che si basano sul numero di crediti formativi (CFU) conseguiti, sul numero dei fuori corso, degli abbandoni e del numero di studenti laureati in corso.

 

Tutti questi argomenti ci fanno capire che la direzione in cui stiamo andando non sembra corrispondere a quanto promesso in termini di investimenti e di interventi sull’università. Basti pensare ad esempio che il costo derivante dal rinnovo contrattuale del personale tecnico amministrativo e dirigente, dall’adeguamento stipendiale ISTAT e dallo sblocco degli scatti riconosciuti al personale docente (pari a circa al 3,48%), ha gravato completamente su un FFO che nel 2018 e 2019 non è stato integrato con i fondi necessari a coprire la maggiore spesa per il personale. Non meno preoccupante la tutela del Diritto allo Studio e del welfare studentesco. È grave infatti che le nuove normative, aggirando la necessità di giungere alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, oltre a prevedere l’accantonamento di circa € 30.000,00 dei fondi destinati al diritto allo studio per rispettare i vincoli europei ed evitare la procedura di infrazione (Legge Bilancio 2019 art. 1 co.1118.1120), mettano a rischio anche il diritto di godere delle borse di studio previste dai vari bandi regionali per scadenze anticipate fissate a livello nazionale quali ad esempio quella indicata nella Legge di stabilità per la Dichiarazione sostitutiva Unica (DSU). Non di minore gravità per il diritto allo studio è il rischio che potrebbe derivare dalla autonomia differenziata regionale.

 

Tale autonomia, infatti, oltre ad incrementare il grado di disparità tra gli Atenei e le disuguaglianze e disomogeneità di diritti fondamentali tra gli studenti iscritti a corsi universitari in Regione diverse, potrebbe mettere in seria crisi l’unitarietà del sistema pubblico della Istruzione e della Ricerca. La spinta sempre più forte rivolta all’aumento degli iscritti, le ripetute sentenze che impongono di soggiacere alle decisioni assunte dalla giustizia amministrativa mettono in grave difficoltà gli Atenei per ciò che riguarda le risorse logistiche (aule e laboratori) organizzative (reti formative per percorsi professionalizzanti) e umane (scarsità di docenti). Proprio per far fronte a tali carenze si rendono necessari urgenti interventi ministeriali in termini di finanziamenti (fondi edilizia universitaria e adeguamento FFO) di docenza (definizione ruolo unico PO/PA e rivisitazione figura ricercatore previsto dalla L. 240/2010) di stabilizzazione e potenziamento del personale. Tale ultima esigenza, dettata dalla riduzione dovuta al blocco del turn/ over a cui abbiamo assistito in quest’ultimo decennio, è fondamentale per garantire il normale funzionamento delle diverse attività universitarie. Non di meno importanza ed urgenza la necessaria riqualificazione di tutto il personale tecnico ed amministrativo strutturato in servizionel rispetto delle funzioni svolte; ciò al fine di dare unitarietà di trattamento a livello nazionale e garantire il giusto riconoscimento alle professionalità acquisite nei diversi gradi di responsabilità ricoperti. Il numero di precarinel campo della ricerca e della didattica è di gran lunga superiore a quello degli altri settori pubblici.

 

Per garantire in tutti gli Atenei il regolare svolgimento delle attività di didattica, di ricerca e amministrativa, ai circa 6000 ricercatori di tipo A e B dobbiamo aggiungere circa 30.000 unità tra assegnisti di ricerca, dottorandi, contratti di collaborazione, titolari di borse di ricerca, docenti a contratto e, non da ultimo personale tecnico e amministrativo assunto a tempo determinato per progetti non rientranti nelle attività delle strutture che ne fanno richiesta. Possiamo dunque stabilire con certezza che il numero dei precari oggi è pari se non superiore a quello dei strutturati (circa 45000). Richiamando la figura dei docenti a contratto si ritiene necessario richiamare il grande impegno richiesto al personale delle varie professioni sanitarienelle attività didattiche, di laboratorio e di tirocinio professionalizzanti previste dai percorsi formativi dei corsi di laurea professionalizzanti di area sanitaria. Nel rispetto del principio di inscindibilità dettato dalla norma tra le attività di didattica/ ricerca/assistenza svolte dal personale universitario, si considera necessario rivedere il blocco delle assunzioni imposto dalla norma, per l’area socio-sanitariaipotizzando in tale ambito la figura del “formatore” e garantire l’applicazione, in tutte le Regioni in cui trovano sede le facoltà mediche:

 

a) del D.Lgs 517/99 che normando i rapporti tra SSN e università, stabilisce di individuare un modello unico di Azienda Ospedaliero Universitaria (AOU), avente autonoma personalità giuridica, per la gestione delle attività assistenziali, di didattica e di ricerca;

b) della normativa contrattuale (ex art. 28 oggi arto 64)che, per il personale universitario, prevede il collocamento/ equiparazione in posizioni/figure riconducibili al personale del comparto e/o dirigenza del SSN. In tale ambito.

 

Per quanto riguarda l’edilizia universitaria si ravvede la urgente necessità che venga ravviato il fondo nazionale destinato a tale settore. I finanziamenti previsti dalla Legge di Bilancio del 2019 ed i finanziamenti previsti dal DM 853/2018, (destinati per la quasi totalità alla realizzazione/riqualificazione di alloggi e residenze per studenti universitari) non sono sicuramente sufficienti a garantire in termini di sicurezza e manutenzione tutte le infrastrutture universitarie esistenti che, costituiscono un patrimonio edilizio di notevole pregio architettonico in stato di grave obsolescenza. In assenza di assegnazioni ministeriali, gli unici interventi che si sono realizzati per far fronte alle maggiori criticità, sono stati finanziati dagli atenei con fondi propri o con fondi messi a disposizione dagli Enti locali.

 

Se a tutto quanto sopra esposto aggiungiamo l’obiettivo più volte dichiarato del superamento del numero chiuso(al quale in ambito sanitario non si associa un sostanziale incremento delle borse per gli specializzandi) si rende necessaria una attenta riflessione.

Se oggi il MIUR per l’attivazione dei corsi di studio offerti dai vari Atenei richiede il rispetto di specifici indicatori qualitativi e quantitativi sia a livello di docenti che strutturali, come si può giustificare il fatto che tali vincoli possano essere superati nell’ottica di un allargamento del numero di studenti iscrivibili?

Dobbiamo forse pensare che tutta la politica sul sistema di qualità, sulla trasparenza e sui sistemi di valutazione e accreditamento dei corsi di studio sia stata “perdita di tempo” e che i concorsi di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato siano stati solo “spreco di danaro pubblico”?

 

Dobbiamo pensare che il supporto dato dal personale precario e da quello in servizio (tra l’altro spesso sotto-inquadrato rispetto alle funzioni svolte) al raggiungimento dei requisiti sino ad oggi imposti dalle norme “non era necessario” e che di tale personale e professionalità acquisite il sistema universitario “ne possa fare a meno”?

Poiché le risposte a tali domande non potranno che essere negative si evidenzia l’immediata esigenza di urgenti interventi normativi che, anche attraverso la stabilizzazione di tutto il precariato presente e la riqualificazione del personale strutturato nei diversi ruoli, permettano un vero rilancio dell’università italiana; ciò al fine di garantire agli studenti di tutte le sedi del paese una formazione che in termini di qualità, efficacia ed efficienza, risponda alle esigenze della società a quelle del mercato, agli standard previsti dalla normativa europea sulla libera circolazione e, per quanto riguarda i corsi di studio delle Facoltà di Medicina e chirurgia, alla programmazione e requisiti previsti dal Sistema Sanitario Nazionale. 

 

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