Un modello di scuola, basato sul dettato costituzionale, che ha consentito al nostro Paese...
SETTEMBRE 2019
Sindacale
Un modello di scuola, basato sul dettato costituzionale, che ha consentito al nostro Paese...
di   Pino Turi

 

Un modello di scuola, basato sul dettato costituzionale, che ha consentito al nostro Paese di arrivare ad essere tra i sette Paesi più industrializzati del mondo

 

Cambiano i governi, i problemi restano. A scuola però, anche quest’anno, con la consueta puntualità, la prima campanella è suonata per tutti gli studenti. Bisogna dire che, l’unico ministero che ha scadenze così definite e, che bene o male porta a compimento è quello dell’Istruzione. Un ministero che conta oltre un milione di addetti. Un numero enorme che non deve fare pensare ad un eccesso ma a una dimensione importante e nazionale. In Italia il 94% degli alunni si iscrive alle scuole statali, quelle che la costituzione ha dettagliatamente definito nell’art. 34 in cui assegna allo Stato la funzione fondamentale di educare e istruire i suoi cittadini che, attraverso la scuola, possono ambire ai più alti studi che aprono le porte ad altrettante posizioni sociali. È questo modello di scuola, basato sul dettato costituzionale, che ha consentito al nostro Paese di arrivare ad essere tra i sette Paesi più industrializzati del mondo. La scuola è stata un ascensore sociale che ha rivoluzionato positivamente le tradizionali classi sociali che nei secoli precedenti si erano sclerotizzate. Stiamo parlando quindi di democrazia e benessere. Un’eredità che il mondo della scuola ha saputo offrire e conquistarsi con la passione e la dedizione del suo personale, a cui oggi non si vogliono riconoscere meriti, ma piuttosto imputare le ragioni delle difficoltà attuali. Un clima indotto da modelli di pseudo efficientismo, tarati sul modello del mercato, che hanno creato veri e propri mostri, culturali prima, istituzionali dopo. Una classe politica ed economica, miope ed egoista nei momenti della crisi, invece di spingere sulla scuola e sull’istruzione per garantire veri investimenti, ha preferito giocare sulla tattica e sull’egoismo. Ma una società che preferisce più ordine pubblico che istruzione, non ha un grande futuro né sociale né economico.

 

È destinata allo scontro se non al declino. Così torniamo all’incipit di partenza: cambiano i governi ma per la scuola restano gli stessi problemi. Tutto mentre l’Istituzione scuola affina le sue doti di comunità educante, funziona ogni anno bene, anche se sempre più sola e senza alleati, mentre i detrattori, i critici interessati invece di diminuire aumentano. Abbiamo così assistito alla campagna per l’autonomia differenziata: un progetto sbagliato, al quale ci siamo opposti fin dall’inizio, che andrebbe a rafforzare gli elementi di egoismo già presenti nella società, resi argomenti politici di campagna di adesione politica. Un progetto che rispecchia il concetto di scuola vista come servizio, che deve accontentare clienti di ogni tipo, santificando nel mercato ogni elemento di merito. Un merito da supermercato, insomma: scegli i tuoi studi, i tuoi insegnanti e decidi chi è bravo e chi no, decidi se aumentargli lo stipendio o diminuirlo, e la chiamano buona scuola. Buona scuola per chi, poi? Dobbiamo tornare agli antichi valori e fare in modo che la scuola assuma la funzione che gli è propria, vale a dire, ognuno è diverso dall’altro e questa è una ricchezza, un valore da non perdere. La scuola è comunità educante, in classe si ritrovano diverse individualità che si mettono insieme, si confondono e si integrano. La vera buona scuola è quella che insegna il pensiero critico, quella che consente allo studente di farsi un’idea propria e, magari di poter meglio competere nella società. Regole e condizioni sociali che la scuola non si può limitare a trasmettere, ma tradurre, decondizionare, per indurre cambiamenti virtuosi. Una buona scuola deve fare emergere i talenti, quelli che sono in ogni bambina o bambino.

 

Gli insegnanti hanno spesso il delicato compito di dover dire dei no, di tracciare delle linee di confine, di evitare, molte volte anche contro la volontà dei genitori, le spinte inutilmente competitive. Quanti genitori riversano sui propri figli aspettative e scenari di successo futuro, senza curarsi delle aspirazioni e dei sogni dei propri figli. Non tutte le bambine ballerine e i bambini calciatori saranno prime ballerine alla Scala o vinceranno il Pallone d’oro. Un ruolo che la scuola di un paese moderno in continua evoluzione, deve svolgere, ma non lo può fare da sola serve un nuovo patto che ridia slancio e ruolo alla scuola e ai suoi insegnanti che questo compito devono svolgere. La scuola statale di questo paese è sotto attacco da tempo: dalla politica che vorrebbe controllarla, dai privati che vorrebbero sfruttarla, dalla società che la critica, dalle mille difficoltà dei cambiamenti imposti dalle nuove tecnologie. Quella famosa rabbia che aleggia nella società, varca le soglie di ogni comunità, e la scuola che è specchio fedele del quotidiano ne deve fare i conti tutti i giorni. È un fatto che esiste, in proporzione, proprio come nella società. Per fronteggiarlo, i genitori non possono mettersi in posizione di censori o di clienti, ma entrare e collaborare a fare funzionare al meglio la comunità educante. Questo significa partecipare, con la critica se necessaria, ma con le idee e la condivisione di chi ha a cuore i destini dei propri figli e quelli più in generale dell’intera comunità nazionale.

 

Occorre tracciare un quadro di chiarezza e riportare la scuola alla sua funzione essenziale, quella educativa. È in questo modo che la scuola può essere in grado di sostenere ogni cittadino, soprattutto quelli più deboli. Se si compie questo semplice passo preliminare cambia anche la prospettiva dalla quale si può sostenere la scuola, anche attraverso un rilancio degli attuali Organi collegiali che vanno riformati e non eliminati. Fiducia, vicinanza, critiche costruttive, consentono ad ogni alunno o genitore purché partecipino con convinzione all’educazione dei figli, ma in collaborazione e mai in contrapposizione. Questa è la scuola a cui Piero Calamandrei, padre costituente, assegnava il compito di trasformare i sudditi in cittadini. Grande assente, in questi anni, la politica che di questo si deve occupare. Dove per politica intendiamo la responsabilità che la classe dirigente di questo paese deve assumere, uscendo dagli egoismi, per guardare al futuro rappresentato dai giovani del nostro paese che vanno guidati e non indottrinati. Responsabilità che attiene anche al sindacato, che della classe dirigente è parte importante.

 

 

*Segretario Generale Uilscuolarua

 

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