Veneto, una regione nel limbo
OTTOBRE 2019
Sindacale
Veneto, una regione nel limbo
di   Gerardo Colamarco

 

 

Parlare dello stato di salute del Veneto in questo scorcio finale del 2019 non è così semplice. Certamente quest’area è ancora un’isola felice, rispetto ad altre del Paese, anche se sono lontani i tempi in cui il Nordest era considerato la locomotiva d’Italia. Assieme a Lombardia ed Emilia-Romagna, il Veneto produce poco più del 40% del PIL italiano. Inoltre queste tre regioni totalizzano più del 50% dell’export di tutto il Paese. Ma è tutto oro quello che luccica? In verità il Veneto vive da qualche anno ormai in una sorta di limbo: il tessuto di piccole e piccolissime imprese (il 92% conta meno di 15 dipendenti) è ramificato e funzionante. Ma sono i mercati esteri a costituire l’ancora di salvezza per questo tessuto, vista la stagnazione del mercato interno. Non è mai stato detto apertamente dai rappresentanti politici locali, ma nel Nordest in pochi vedevano con favore le politiche anti-euro del precedente governo. I 28 Paesi dell’Unione Europea costituiscono lo sbocco del 67,4% delle merci venete (mentre, per esempio, verso gli Stati Uniti l’export è del 5,0%).
 
 
I settori trainanti dell’economia veneta sono l’alimentare, l’abbigliamento, l’arredamento, l’automazione. Funzionano perché c’è un discreto tasso di innovazione, una propensione all’internazionalizzazione e una riconosciuta qualità artigianale. Soffrono invece comparti come quello dell’edilizia e tutta la grande industria. Porto Marghera, uno dei poli industriali più importanti d’Europa, è l’ombra di se stesso, sia come produzioni che come numero di addetti. Eppure il “vecchio” Petrolchimico offrirebbe tutte le chances per fare ricerca, innovazione, occupazione di qualità, puntando sulle energie rinnovabili, sulla chimica green e su tutto quello che comporta la non più rinviabile rivoluzione verde che dovrà essere al centro di tutte le politiche future. A parte i cantieri infiniti del MOSE e della Pedemontana Veneta, le opere pubbliche sono drammaticamente ferme: ciò vuol dire meno lavoro, meno investimenti, meno occupazione. E sì che è proprio quel tessuto di piccole imprese citato all’inizio che avrebbe bisogno di reti di collegamento moderne ed efficienti, visto che inoltre la regione ospita il terzo aeroporto d’Italia e uno dei porti più importanti dell’Adriatico. Una speranza è costituita dall’assegnazione a Cortina delle Olimpiadi Invernali del 2026, assieme a Milano.
 
 
Una battaglia per la quale la Uil Veneto è stata in prima linea: ci auguriamo che non si perda questa occasione, grazie anche al legame con il capoluogo lombardo, per investire sul territorio e creare nuova occupazione. Ci sono altri fronti aperti: tra i più importanti, quello dell’autonomia e quello della sanità, su cui il sindacato confederale e le categorie sono impegnati quotidianamente. Essi esulano un po’ dall’argomento centrale di questo contributo, sulle condizioni economiche e produttive della regione, e che magari approfondiremo in un’altra occasione. Ma anche essi contribuiscono a rafforzare questa immagine di un Veneto sospeso, incapace di uno scatto in avanti. 
 
 
 
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