Gino Giugni
DICEMBRE 2019
Il ricordo
Gino Giugni
di   Antonio Foccillo

 

Gino Giugni, l’uomo del dialogo, del confronto, delle relazioni e quindi delle regole sosteneva: “È difficile la governabilità di una società complessa e lo stesso funzionamento delle sue democrazie rappresentative che ha richiesto e richiede un’integrazione delle rappresentanze politiche con le rappresentanze sociali”. Ha dedicato molta parte della sua vita a questo. Egli con la sua intelligenza, con la sua capacità di ascolto e mediazione ha contribuito a rendere questo Paese più civile, democratico ed evoluto socialmente ed economicamente. Giurista esimio, ma anche politico e Ministro. Di fronte a teorie e progetti attuali di riforme anche istituzionali molto vacue le pagine scritte da Giugni danno un senso di profondità e lucidità di pensiero di cui ultimamente si avverte la mancanza. Una società priva di discussioni collettive reali che si affida ad alienanti emozioni virtuali è destinata al declino. Per questo dobbiamo ricordare sempre la lezione di un uomo come Giugni che ha sempre praticato il dialogo e la sintesi fra gli interessi per arrivare ad una vera discussione collettiva di formazione di idee e di confronto dialettico. La sua sensibilità verso il mondo del lavoro costituiva un bagaglio permanente che ne arricchiva le potenzialità professionali, anche in veste istituzionale. Questo era Giugni. Questa è la ricchezza cha aveva e non può passare inosservata. La capacità di essere se stessi ovunque. Portare le proprie idee avanti in ogni luogo e in ogni momento, con l’obiettivo costante, del progresso sociale, ma senza mai prevaricare o lasciarsi andare ad isterismi. Era un uomo che credeva fortemente nella libertà e nella giustizia sociale: l’una inscindibile dall’altra. Infatti, per lui non vi era una senza l’altra.  Era un laico, nel senso del rispetto del pensiero altrui e pretendeva che esso fosse sempre riconosciuto ad avere titolo nella discussione, anche quando era in minoranza e non lo condivideva. Infatti, per questo dedicò le sue energie nel definire regole di supporto alle diverse rappresentanze per assicurare loro partecipazione e diritto all’esercizio della libertà di parola. Era anche un riformista ma per riforme inclusive e di coesione e non dividendi o contro qualcuno. Era un uomo di quella cultura intellettuale e giuridica che ha prodotto, a partire dagli anni 70, tanta legislazione sociale e che ha garantito diritti e prerogative sindacali. Nella storia ci sono uomini che non passano inosservati, che hanno una cultura poliedrica e nella nostra società, spesso intrisa di monocultura, non sempre si incontrano uomini così come era Giugni. Tutti lo abbiamo ricordato, giustamente, come il padre dello statuto dei lavoratori, ma io voglio ricordarlo per aver contribuito ad un altro evento, anch’esso importante, per la parti sociali italiane: l’accordo del 23 di luglio 1993. Oggi tanto criticato ma significativo, allora, per l’importanza che rivesti non solo sul piano salariale ma Istituzionale e per il fatto che rese possibile l’entrata nel processo di unificazione Europea, a pieno titolo, dell’Italia. Vi furono vari incontri, piuttosto inutili, finché, per sbloccare l’impasse il ministro del lavoro Giugni presentò un documento di approfondimento sui principali punti di contrasto e problema, ancora lontano da una soluzione, della rappresentanza sindacale. Il ritmo degli incontri si fece febbrile con numerosi colloqui informali del ministro Giugni con imprenditori e sindacati per tentare di sbloccare la situazione in vista dell’incontro ufficiale e per raccogliere elementi utili per varare un documento da sottoporre alle parti. Fino a che Giugni, con la sua sagacia e disponibilità, riuscì a consegnare alle parti un protocollo che il 23 luglio 1993 fu firmato da tutti.

Per capire l’importanza di quell’accordo bisogna ricordare cosa era l’Italia di quel momento: suicidi eccellenti, attentati, paura diffusa, confusione politica, crisi di valori. Tempi difficili che evidenziano il trapasso di un’epoca, da un cambio del precedente sistema di potere ad una delicata fase di transizione. Le autobombe di Milano e Roma, che seguono agli altri attentati di Roma e Firenze, sono segnali inquietanti di una nuova stagione di tensione, dove si annidano tante cose, la volontà di rallentare il rinnovamento della Repubblica, ma, anche, coloro che non hanno rinunciato agli strumenti della destabilizzazione, nel tentativo di far regredire il Paese o, comunque, per evitare la democratizzazione della società in ogni sua articolazione sociale, economica e culturale. In questo panorama d’incertezze s’inserisce un segnale in controtendenza rappresentato dall’accordo sul costo del lavoro e dalla riforma della contrattazione. Il Ministro Gino Giugni si mostra evidentemente entusiasta: “Non voglio enfatizzare, ma dentro c’è tutto: è una vera e propria costituzione delle relazioni industriali. Sotto il profilo politico sono due gli aspetti da sottolineare, il primo è che mentre i partiti sono allo sbando e cercano ansiosamente dei centri di raccolta, il mondo sindacale, nel senso più lato, ha saputo raggiungere un risultato atteso da una decina di anni”. “Ora la politica economica la decidono anche le parti sociali, esse si assumono delle responsabilità che in materia contrattuale e salariale sono molte ben definite, in materia di prezzi e tariffe c’è un lungo capitolo nel protocollo, in materia fiscale le scelte dell’esecutivo verranno sottoposte al vaglio delle parti sociali. Non solo, prima tutto si svolgeva per mezzo degli automatismi salariali, ora invece tutto si contratta e la contrattazione deve essere garantita altrimenti scattano le sanzioni”. “… Tale intesa rappresenta un fattore di stabilità, un vero miracolo di ricompattamento dei rapporti sociali in un Paese che si caratterizza per la polverizzazione nei rapporti politici”. Egli, infine, nel periodo di congedo dalla politica seguì le vicende delle relazioni sindacali da studioso, durante il periodo dello scontro sull’art. 18, del Libro Bianco e del dialogo sociale. Nell’ultimo suo libro: “La lunga marcia della concertazione”, così conclude: “Il mio auspicio è che la marcia interrotta venga ripresa”. Egli ritiene che quello che è avvenuto nello scontro di quel periodo ha minacciato: “L’esistenza di quel diritto del lavoro che fu un grande momento di realizzazione della giustizia sociale.” “… Su questa prospettiva ad un tempo di salvaguardia di un moderno e adeguato contrattualismo ed un altrettanto moderno diritto del lavoro possono, anzi si dovrebbero ricostituire, con tenacia pazienza e lealtà, le vie di un indispensabile ripresa unitaria per giungere in futuro – un futuro cui non si può offrire una data alla ripresa della marcia della concertazione.” In conclusione voglio ricordare quello che scriveva un giornalista inglese: “Nessun uomo grande vive invano, la storia del mondo non è altro che la biografia di grandi uomini”.

 

Considerandolo tale, a nome della UIL e di tutto il movimento sindacale voglio dire solo:   “Grazie Gino”.

 

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