Un obiettivo ambizioso, ma necessario per la Federazione UIL Scuola RUA
GIUGNO 2019
Agorà
Un obiettivo ambizioso, ma necessario per la Federazione UIL Scuola RUA
di   a cura della Federazione UilScuolaRua

 

 

Fare sindacato oggi nel sistema della Ricerca pubblica - a distanza oramai di quasi un trentennio da quando la UIL con la Federazione UIL Università e Ricerca (FURG) intese rispondere sul piano della rappresentanza sociale alla costituzione del Ministero dell’ Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST) (L. n. 168/89) - non è certo un impresa più agevole che in passato. Pur tra tante difficoltà notevoli sono stati i successi ed il consolidamento negli anni della presenza e dell’ iniziativa della nostra organizzazione. Ora le criticità che da tempo investono le dinamiche proprie di tale ambito strategico della vita del Paese hanno finito inevitabilmente per incidere sulle stesse relazioni sindacali e sulla vita del movimento. Anche per questo oggi la Federazione UIL Scuola RUA è chiamata a contribuire all’apertura di una fase nuova delle prospettive e dello sviluppo del settore, per mettere al centro del confronto con il Governo e con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca la prioritaria valorizzazione contrattuale, professionale e sociale della risorsa umana (Ricercatori, 
Tecnologi e Tecnici) impegnata nelle nostre istituzioni scientifiche pubbliche.
 
 
L’auspicio, e l’impegno, che qui formuliamo è che la recente intesa intercorsa con il Governo - a partire dal fondamentale potenziamento ed unitarietà nazionale dell’ Istruzione Pubblica - possa essere estesa, nel suo ulteriore sviluppo, ai temi della ridefinizione delle nuove risorse (contrattuali, umane e finanziarie) e dei futuri assetti del sistema di Ricerca e Sviluppo e degli Enti Pubblici di Ricerca. Nella prospettiva concreta dell’impegno del Governo a presentare nei prossimi mesi un disegno di legge - delega per un ulteriore, e non ben definito, intervento di riorganizzazione degli Enti Pubblici di Ricerca il nostro sindacato sarà, dunque, impegnato oltre che ai tavoli del rinnovo del CCNL nella formulazione di proposte per lì ulteriore riassetto generale del settore. L’ennesimo percorso legislativo e normativo potrà costituire il banco di prova per comprendere se agli Enti Pubblici di Ricerca ed alla stessa ricerca universitaria si intenderà restituire prospettive di sviluppo e di ruolo ( riconosciute almeno “sulla carta” nelle risultanze della indagine conoscitiva votate all’unanimità nel 2014 dalla Commissione Istruzione e Cultura del Senato) o piuttosto si vorrà continuare nella logica di quella compressione e destrutturazione operata dai Governi da almeno 10 anni a questa parte.
 
 
L’indebolimento del disegno riformatore degli anni ‘90 Si deve riconoscere, a questo proposito, che lo slancio riformatore che aveva caratterizzato gli interventi pubblici dei lontani anni ’80 e ’90 si è andato via via spegnendo, proprio in corrispondenza di una progressiva invadenza politica e burocratica che ha limitato in larga misura e fino ai nostri giorni le istanze di autonomia e la rivendicazione di un maggiore sostegno dell’ intervento pubblico. Nella “compressione” politica e nella incertezza sulle risorse il sistema di R&S del nostro Paese ha sin qui fallito sostanzialmente il compito fondamentale affidatogli: quello di fare della filiera “ricerca fondamentale - ricerca finalizzata ed orientata - ricerca applicata - trasferimento tecnologico” lo strumento del rilancio di una produzione innovativa e competitiva, della creazione di nuove  infrastrutture basate sulle nuove tecnologie, di nuovi e più efficienti servizi ai cittadini ed alla società. Sono venuti meno, conseguentemente, anche l’impegno, la spinta e la coesione della comunità scientifica ed accademica. Quest’ultima si in gran parte, per così dire, “adattata all’esproprio” della sua autonomia ed all’appesantimento gestionale di una “governance” pilotata dalla politica ed ancor più dalle burocrazie ministeriali. Una governance che, al contrario, era stata concepita da insigni politici e personaggi di scienza e di cultura - tra essi Antonio Ruberti, Giovanni Spadolini, Umberto Colombo - come azione di “indirizzo” e di “regolazione” da parte del MURST (oggi MIUR) nel rispetto di tre fondamentali parole d’ordine: “autonomia”, “programmazione”, “valutazione”.
 
 
Le criticità del sistema di Ricerca & Sviluppo Prova ne sono oggi: la destrutturazione pressochè completa dell’ originario “quadro di comando” di R&S (D.Lgs. 204/1998); l’indebolimento e l’autoreferenzialità del PNR (Programma Nazionale della Ricerca) peraltro tuttora troppo slegato da una vera e condivisa strategia di politica industriale, dei servizi e della domanda pubblica di innovazione; il fallimento ed oramai la sostanziale cancellazione dell’ ANVUR (che troppo in ritardo ha focalizzato l’importanza strategica della cosiddetta “terza mission” della ricerca pubblica universitaria ed extra-universitaria). Sono stati cancellati, prima ancora di essere concretamente messi in funzione, i principali strumenti istituzionali di partecipazione della comunità scientifica alle scelte strategiche e programmatiche sulle traiettorie scientifiche e tecnologiche del Paese (Consigli Scientifici Nazionali ed Assemblea della Scienza e della Tecnologia, ipotizzati e regolamentati dal DPR n. 444/1999). Ha mancato al suo principale obiettivo - sostegno pubblico snello, efficiente e trasparente ad un rinnovato e sinergico impulso della ricerca delle imprese e delle collaborazioni pubblico-privato - il tentativo di riordino complessivo dei meccanismi per il finanziamento della ricerca industriale e della innovazione tecnologica (D.Lgs n. 297/ 1999). I successivi e reiterati interventi, all’interno delle varie manovre finanziarie e di bilancio, hanno finito, dietro la forte e continua pressione degli ambienti confindustriali, per privilegiare in via pressoché esclusiva meccanismi automatici di natura fiscale come il cosiddetto “credito di imposta”. Ciò con il risultato di far perdere, però, al sistema programmatico pubblico ogni reale possibilità di controllo sull’uso appropriato delle risorse e soprattutto sull’ apporto finanziario proprio delle imprese e sulle ricadute in termini occupazionali di personale ricercatore e di laureati e tecnici altamente qualificati all’ interno delle imprese stesse.
 
 
L’attacco al sistema degli Enti Pubblici di Ricerca - iniziato con  un processo di costante indebolimento del ruolo propulsore e della stessa identità del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e continuato con la riorganizzazione, l’ indebolimento e/o la cancellazione di altri importanti presìdi pubblici di ricerca in ambiti fondamentali della vita pubblica ( ambiente, sicurezza, energia, politiche del lavoro, economia etc.), con processi più o meno “striscianti di privatizzazione e con il depauperamento progressivo dei FOE (Fondi Ordinari) degli Enti- ha completato il quadro di un’ azione pubblica a dir poco “devastante”, in gran parte dei casi caratterizzatasi come “lottizzatoria”. Né il più recente e pur importante varo del Decreto Legislativo n. 218 del 25 novembre 2016 (“Semplificazione delle attività degli Enti Pubblici di Ricerca ai sensi dell’ art. 13 della L. n.124/2015”) si dimostra in grado di costituire una svolta decisiva ed alternativa nella vita degli EPR. All’impoverimento senza precedenti della ricerca pubblica extra-universitaria ed universitaria cui non ha nemmeno corrisposto il rafforzamento di quella privata delle imprese che rimane tuttora, dati e confronti alla mano, il vero “anello debole” del sistema). E non possiamo dilungarci, in questa sede, su altri fenomeni anch’essi molto negativi come l’assorbimento di notevoli risorse da parte di strutture di “intermediazione improduttiva”, il divaricarsi ulteriore del gap tecnologico del nostro Mezzogiorno, le difficoltà permanenti delle PMI a ristrutturarsi e ad intercettare finanziamenti ed opportunità di sostegno sui programmi nazionali ed europei, la necessità di migliorare il rapporto tra istituzioni scientifiche pubbliche e Regioni nei singoli territori ed in particolare nello stesso Mezzogiorno.
 
 
Le cifre del sottodimensionamento del sistema di R&S In definitiva tutti i principali punti di osservazione, nazionali ed internazionali, (OCSE, Commissione UE, JRC SCIENCE FOR POLICY REPORT - RIO, ISTAT, EUROSTAT – CNR/ISSIRFA etc.) hanno fornito le cifre e la misura di quello che potremmo definire un vero e proprio “declino” del sistema di R&S del nostro Paese. Tre dati, più di altri, sintetizzano, nonostante alcuni segnali positivi di ripresa nel periodo 2017-2018, la permanenza di una grave situazione di sottodimensionamento di tale sistema.
 
 
Seppure 4° in termini assoluti in Europa nel livello complessivo di spesa per Ricerca l’Italia è 12° per la medesima spesa in percentuale del PIL 1,35% contro una media UE del 2,2% (23,300 miliardi di euro meno della metà della spesa della Francia ¾ in meno della spesa della Germania). L’ Italia rimane altresì ben al di sotto della media UE nel n.ro complessivo di personale addetto alla Ricerca. Su 1000 unità fisiche di lavoro 4,1 contro gli 8,2 della Germania, gli 8,7 della Francia, gli 8,1 del Regno Unito. Il numero di ricercatori nelle imprese italiane ogni 1000 occupati è di 2,58 contro gli 8,79 della Francia, i 7,38 della Germania, i 4,84 del Regno unito. Ma ci sono anche i segnali positivi. Fondamentalmente 3 si sono confermate, in questi anni, le alternative al declino del sistema di R&S italiano: a) la qualità dell’ apporto dei ricercatori italiani e della rete scientifica; b) la specificità e la complessiva tenuta del modello ordinamentale e contrattuale della ricerca pubblica extra-universitaria; c) il sostegno finanziario e la funzione di indirizzo programmatico dei programmi europei (Fondi Strutturali e Programmi Quadro).
 
 
La qualità dei ricercatori italiani Su questi tre elementi occorre rilanciare una forte iniziativa della Federazione UIL Scuola RUA, in tutti i punti di una rete di istituzioni e strutture, con l’obiettivo di tornare ad esercitare con la elaborazione e con la mobilitazione di tutte le energie disponibili la necessaria pressione sui poteri politici e di creare le indispensabili alleanze. La qualità dei ricercatori italiani è dimostrata a tutti i livelli: dai moltissimi campi di applicazione nei quali viene esaltata addirittura a livello mondiale la loro produzione scientifica di eccellenza; dal contributo che i nostri migliori cervelli hanno offerto e stanno offrendo agli sviluppi scientifici e tecnologici dei paesi più avanzati; dai servizi che tecnologi, sperimentatori, scienziati prestano quotidianamente nel nostro Paese per il funzionamento di servizi essenziali alla produzione, alla sicurezza dei territori, alla salute, alla qualità dell’ambiente e della vita sociale. È questa qualità che impone al Paese e alla collettività nazionale un diverso e più diffuso riconoscimento della funzione sociale del ricercatore e di tutta la ricerca pubblica. Vanno applicate e rispettate in tutti gli Enti, ed in tutti i contesti, le direttive della Carta Europea del Ricercatore a cominciare dalla valorizzazione e dal pieno inserimento professionale delle energie più giovani. Debbono essere garantiti gli spazi di autonomia contrattuale e gestionale; completati i processi di stabilizzazione del precariato in tutti gli EPR e negli Atenei; aperti gli spazi ad un confronto serio sul nuovo reclutamento, per il quale sono in corso di sviluppo in Parlamento nuove iniziative legislative sulle quali il nostro sindacato deve dire la sua. Vanno aumentati gli spazi di partecipazione non solo a livello di Ente (partecipazione elettiva nei CdA e nei Consigli Scientifici) e di Ateneo ma anche nel cosiddetto “quadro di comando” a livello MIUR: Qui è indispensabile “equilibrare” con la presenza di un organismo rappresentativo dei ricercatori pubblici quello già in funzione per Presidenti degli EPR.
 
 
Occorre rivisitare profondamente meccanismi e criteri che hanno sin qui indirizzato, non sempre felicemente, la scelta dei vertici degli EPR stessi. Vanno sostenuti ed incentivati i nostri ricercatori nel compito fondamentale di assorbimento delle risorse legate alla progettazione e programmazione europea (PON, POR, Horizon 2020 etc.) attraverso la creazione e diffusione di appositi nuclei tecnologici e tecnici di supporto. Si devono agevolare, ed incentivare tutti i processi di mobilità che accrescono i curricula e l’esperienza, soprattutto internazionale, dei ricercatori. Vanno ulteriormente implementati i programmi e le risorse legati allo sviluppo dei dottorati innovativi a carattere industriale, con un più forte e costante rapporto tra Atenei ed Imprese, non lesivo della autonomia dell’insegnamento, bensì per individuare migliore finalizzazione gli ambiti scientifici e tecnologici di applicazione delle nuove ed elevate conoscenze/competenze in modo da fare incontrare più agevolmente domanda ed offerta di lavoro qualificato e a più elevato contenuto tecnologico nell’ industria e nei servizi.
 
 
I nuovi obiettivi della contrattazione Sul contratto non cè molto da aggiungere a quanto da mesi e mesi andiamo affermando e “predicando” con forza e convinzione. L’impianto fondamentale del  CCNL della Ricerca pubblica (DPR 171/1991) è stata sicuramente una delle conquiste più importanti del sindacato. Grazie a quel modello ordinamentale abbiamo potuto tutelare e salvaguardare le alte professionalità scientifiche e parallelamente le peculiarità tecnologiche e tecniche, evitando che le distanze dai sistemi di riferimento interni (docenza universitaria) ed esterni (ricercatori europei) si acuissero all’inverosimile. La contrattazione e la qualità della contrattazione resta la vera alternativa ad una rinnovata e non certo auspicabile ripresa di una spinta rigide forme di “garantismo giuridico” per noi improponibili e che oltrettutto penalizzerebbero ed isolerebbero (nel ruolo ad esaurimento) la stragrande maggioranza degli attuali ricercatori ed in particolare i più giovani e precari.
 
 
Oggi questo modello va concretamente rivisitato e migliorato, a partire dal rinnovato confronto sui nuovi ordinamenti professionali e classificatori e dal prossimo varo del nuovo CCNL, per rivitalizzarne la strumentazione; pe: rendere più appetibili e più competitive le retribuzioni del personale di ricerca in tutti gli EPR; per incrementare le disponibilità delle risorse accessorie anche in collegamento all’attuazione ed al completamento dei processi di stabilizzazione; per aprire nuovi spazi a meccanismi di sviluppo delle carriere ed a “premialità” di più agevole praticabilità e di più garantita e periodica attuazione, che in aggiunta ad alcuni di quelli attuali  possano incentivare ed accompagnare la crescita delle conoscenze e delle competenze del personale; per permettere il superamento delle ancora troppo diffuse forme e situazioni di sottoinquadramento; per garantire e rafforzare tutte le forme di retribuzione “accessoria” e di “indennità” collegate alla peculiarità ed alla complessa articolazione della organizzazione del lavoro degli EPR nei laboratori e nei nuclei gestionali; per sganciare il sistema di valutazione dai rigidi schemi delle cosiddette “performances” inapplicabili, in sistemi così complessi; per far sì che anche i percorsi di mobilità e l’impegno profuso dai ricercatori e tecnologi nell’ utilizzo e nell’ assorbimento delle risorse esterne, e di quelle europee in particolare, possano costituire elementi sempre più importanti di riferimento per premiare il merito ed il lavoro individuale e di gruppo. Resta assodato che solo una adeguata disponibilità di risorse finanziarie ed un “cambio di marcia” nelle relazioni sindacali all’interno degli EPR con il rafforzamento degli strumenti di partecipazione e di contrattazione  potranno rendere effettivamente praticabile una simile prospettiva.
 
 
Il ruolo fondamentale dell’ Europa Le risorse messe in campo dall’ Europa - a gestione “diretta” (Programmi Quadro - Horizon 2020) e a gestione “indiretta” (Fondi Strutturali FSR /FSE - Programmi Operativi Nazionali - Programmi Operativi Regionali) costituiscono la parte preponderante, e perciò essenziale, del “budget” finanziario complessivo a disposizione delle strutture di ricerca e dei ricercatori italiani per l’attività progettuali delle nostre istituzioni scientifiche. Senza queste risorse l’attività progettuale della maggioranza degli EPR sarebbe paralizzata ed impossibile. Solo queste risorse “esterne” consentono lo sviluppo concreto della programmazione scientifica nazionale. La quota di cofinanziamento nazionale è sempre più debole e costretta a continue rimodulazioni. Il sistema delle imprese, a sua volta, assorbe una quantità notevole delle risorse dei programmi UE. Si pensi, a titolo esemplificativo, che un ente come il CNR per il suo funzionamento “basale” (personale/funzionamento strutture) pressoché l’intera disponibilità dell’ attuale FOE.
 
 
Questo dato da solo dimostra la funzione insostituibile delle risorse europee, grazie alle quali, peraltro, vengono concretamente attuati i programmi e gli obiettivi indicati dal PNR (Programma Nazionale della Ricerca) ed il Programma Operativo Nazionale (PON) della Ricerca e dell’Innovazione, anch’esso gestito dal MIUR. Le risorse UE risultano altresì essenziali per la programmazione a livello regionale e territoriale. Stante questa situazione e soprattutto in vista delle nuove grandi opportunità offerte dell’ avvio del nuovo quadro finanziario pluriennale UE 2021-2027 che prevede un forte incremento delle risorse destinate a Ricerca e Innovazione (si discute di un maxi-programma di 100 miliardi di euro complessivi) la Federazione UIL Scuola RUA, con il sostegno essenziale della Confederazione, deve saper rivendicare con sempre maggiore vigore e capacità propositiva: a) la esclusione degli investimenti in Ricerca ed Innovazione dai vincoli del patto di stabilità; b) l’adozione da parte dei governi nazionali e locali di misure ed assetti di governance atti a garantire che le risorse europee siano gestite con il massimo rigore; che i programmi siano sempre più collegati alle politiche di Coesione, alla Strategia di Specializzazione Intelligente (SSI), al recupero del gap tecnologico e produttivo del nostro Mezzogiorno; che siano effettivamente verificate le ricadute occupazionali ed innovative dei progetti; che quest’ultimi favoriscano lo sviluppo di effettive sinergie nella rete di ricerca (Atenei, Enti ed Imprese) e siano incentivate le collaborazioni pubblico-privato; che siano sviluppate al massimo grado possibile le azioni formative dei ricercatori e sostenuti coerentemente gli interventi previsti nella programmazione e nello sviluppo dei “Clusters Tecnologici Nazionali” e nelle aree scientifico-tecnologiche ad essi collegate; c) il superamento necessario dell’ autoreferenzialità delle istituzioni scientifiche in modo tale che esse sviluppino le proprie azioni effettiva e piena coerenza con la programmazione europea, nazionale e territoriale e riorganizzino la propria rete di ricerca sul territorio per potenziare al massimo le capacità di assorbimento delle opportunità offerte dall’Europa, la modernizzazione e l’adeguamento alle nuove frontiere tecnologiche e culturali delle strutture scientifiche, sperimentali e gestionali. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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