Subito una Commissione costituente per l’unità sindacale
GIUGNO 2019
Intervista a Carmelo Barbagallo
Subito una Commissione costituente per l’unità sindacale
di   Antonio Passaro

 

 

Segretario, quello di giugno è stato il mese più denso di grandi iniziativesindacali nazionali: praticamente, una a settimana. Si è chiuso così il lungo ciclo di mobilitazione, a sostegno della piattaforma sindacale di Cgil, Cisl, Uil, iniziato con la manifestazione del 9 febbraio, che ha coinvolto la stragrande maggioranza delle categorie e delle realtà territoriali. Andiamo in ordine cronologico e cominciamo dalla manifestazione dei pensionati dell’1 giugno: Piazza San Giovanni invasa dalle “pantere grigie”. Come è andata?

E' andata molto bene. Abbiamo manifestato perché i pensionati non possono essere il bancomat dal Paese: 3,6 miliardi in meno, in tre anni, per il sistema previdenziale nel suo insieme sono una cifra enorme. Noi chiediamo, invece, che siano rivalutate le pensioni anche sulla base di uno specifico paniere di riferimento. Inoltre, è inaccettabile che i nostri pensionati paghino il doppio della media delle tasse pagate dagli altri pensionati in Europa. C’è, poi, l’urgenza di provvedimenti sulla non autosufficienza e, più in generale, occorre mettere in piedi un sistema per l’invecchiamento attivo: i lavori socialmente utili, ad esempio, dovrebbero essere appannaggio non dei giovani, ai quali invece vanno date certezze e stabilità occupazionale, ma degli anziani. Hanno cercato di mettere l’un contro l’altro i giovani e gli anziani ma, in realtà, entrambi scappano dal nostro Paese perché entrambi hanno difficoltà di inserimento sociale o lavorativo e redditi esigui. I pensionati non vogliono essere un peso, ma vogliono dare una mano a risolvere i problemi del Paese e noi non ci fermeremo fino a quando non ci daranno retta.

 

Il sabato successivo, poi, sono scesi in piazza i lavoratori del pubblico impiego. Con lo slogan “Il futuro è servizi pubblici”, hanno rivendicato il riconoscimento del valore del loro lavoro.

È una giusta rivendicazione perché i lavoratori del pubblico impiego sono l’ossatura portante del nostro Paese. Se la P.A. e i suoi servizi funzionano bene, infatti, possiamo risolvere anche i problemi generati dalla crisi economica. Bisogna, innanzitutto, rinnovare i contratti. A suo tempo, i partiti ora al Governo hanno sostenuto che gli 85 euro del precedente rinnovo erano pochi: siamo d’accordo e, dunque, per il prossimo contratto, in linea con ciò che rivendichiamo nel privato, chiederemo 200 euro di aumenti. A questo proposito, proponiamo che si stabilisca la detassazione degli aumenti contrattuali e di produttività.

 

E, a giugno, c’è stato anche uno sciopero, quello proclamato dai metalmeccanici, con tre manifestazione, a Milano, Firenze e Napoli. Le crisi industriali mordono il settore e le tute blu hanno chiesto certezze e prospettive. Ci sono possibilità di ripresa per il futuro?

Il Paese è fermo, l’economia è al palo e noi vorremmo fare la nostra parte per dare impulso alla ripresa. Insieme ai metalmeccanici, chiediamo salvaguardia dell’occupazione, crescita dei salari e riduzione delle tasse, investimenti e sicurezza sul lavoro: insomma, futuro per l’industria e sviluppo per il Paese.

 

Infine, Reggio Calabria, teatro di unagrande manifestazione per il rilancio del nostro Mezzogiorno. Qual è la strada da seguire per raggiungere questo obiettivo?

Quando abbiamo proposto di fare la manifestazione a Reggio, qualcuno ha prospettato le difficoltà logistiche con cui avremmo dovuto fare i conti per portare così tante persone in quella città. Ebbene, proprio per tale motivo abbiamo ritenuto giusto non desistere dal nostro intento. Negli ultimi 16 anni, dal Sud sono andati via 1.200.000 concittadini, di cui la metà giovani e ben 160.000 laureati: questa è la nostra principale preoccupazione, perché non possiamo regalare un così grande patrimonio agli altri Paesi. Ecco perché c’è bisogno di investimenti pubblici e privati in infrastrutture materiali e immateriali. Per rilanciare l’economia, si potrebbe cominciare dal mettere in sicurezza il territorio, che è a rischio sismico e anche idrogeologico, magari utilizzando le risorse europee che spesso restano colpevolmente inutilizzate. Non c’è altra strada: servono interventi straordinari. Ecco perché noi continuiamo a batterci affinché il Governo ascolti le nostre rivendicazioni e le nostre proposte. Siamo disponibili a discutere, ma se non ci convocano, saremo costretti a proseguire nella nostra lotta.

 

A Reggio Calabria, il Sindacato è tornato dopo decenni: era il 1972. Fu un evento storico. Partecipasti anche tu a quella manifestazione?

Sì, c’ero anche io. Quella fu una manifestazione a sostegno e in solidarietà dei lavoratori e dei cittadini reggini, duramente provati dai famosi “moti” e dal “boia chi molla”. Allora, come ora, c’eravamo e ci siamo. Cgil, Cisl, Uil ci sono sempre stati per difendere la democrazia dal fascismo e dalle brigate rosse, dalle mafie e dai caporalati. È inutile che ci chiedano dove eravamo e cosa facciamo: stiamo in mezzo al popolo, ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani. Il Sindacato ha sempre avuto un ruolo importante nella Storia del Paese, a difesa della democrazia, della libertà, della legalità e del progresso.

 

E dopo tutte queste manifestazioni, ora, viene evocato lo sciopero generale. Che si fa?

Io gli scioperi non li minaccio: se necessario, li faccio. Alle nostre manifestazioni c’è stata una grande partecipazione: il Governo deve tenerne conto e convocarci per ascoltare le nostre ragioni, le ragioni di milioni di lavoratori, pensionati e giovani. Poi, si vedrà.

 

A proposito di convocazione, sulla vicenda ex Ilva, il Mise ha convocato i Sindacati per il prossimo 9 luglio. Una decisione tardiva?

Era necessario fare l’incontro subito, perché a quella data, l’azienda avrà già avviato la procedura unilaterale di cassa integrazione: non bisognava consentire all’azienda di muoversi autonomamente. Ancora una volta, una multinazionale non rispetta le regole, ma anche il Governo, così facendo, sta contribuendo a determinare questa situazione. Stiamo rischiando sia di far chiudere una grande azienda sia di regalare il mercato italiano dell’acciaio a chi continuerà a produrlo all’estero. Dunque, confrontiamoci subito per trovare, insieme, una soluzione al problema: dobbiamo stabilizzare questo sito produttivo, per ottenere sviluppo economico e occupazionale e per risanare l’ambiente.

 

L’Eurostat ha certificato che, purtroppo, l’Italia ha il record di neet, giovani che non lavorano né studiano. Come interpretare questo ennesimo dato negativo?

Il dato Eurostat sui cosiddetti neet è davvero preoccupante: è un record di cui avremmo fatto volentieri a meno. Non c’è più fiducia nel futuro e così il nostro Paese è destinato a una stagnazione perpetua. Per restituire speranze e opportunità concrete ai nostri giovani, bisogna creare un collegamento tra scuola e mondo del lavoro, da un lato, e servono investimenti in ricerca, innovazione e infrastrutture, dall’altro. Solo così si può creare lavoro e dare una prospettiva ai giovani.

 

E a proposito di lavoro, sempre a giugno, hai partecipato, a Ginevra, alla Conferenza internazionale dell’OIL, in occasione della celebrazione del centenario. Quali sono le prospettive di questo importante organismo?

Noi crediamo che debba essere rafforzato il ruolo dell’OIL perché, a 100 anni dalla sua istituzione in seno all’ONU, c’è ancora molto da fare, nel mondo, per affermare i diritti e la giustizia sociale. La globalizzazione non è stata governata e hanno finito col prevalere la finanziarizzazione dell’economia e le liberalizzazioni selvagge: c’è stato, così, un arretramento sul fronte dei diritti e delle tutele. Noi, invece vogliamo riaffermare il valore del lavoro e, insieme alla Confederazione Europea dei Sindacati, pensiamo che ciò sia possibile, a partire da una rinnovata crescita dei salari e dall’affermazione generalizzata della contrattazione, come strumento per la giustizia e la dignità nel lavoro. Peraltro, la necessità di far crescere i salari e il diritto alla contrattazione collettiva sono due tra i temi di cui ha parlato nel suo intervento, a Ginevra, lo stesso Sergio Mattarella. Il Presidente della Repubblica, ancora una volta, ha dimostrato la sua lungimiranza e la sua grande attenzione a queste tematiche, con un richiamo alla parità di opportunità e di trattamento per tutti i lavoratori, all’idea del lavoro come strumento per affermare la dignità della persona, alla necessità di attuare le Convenzioni sui lavoratori migranti: tutte considerazioni che condividiamo appieno. In particolare in Italia, poi, lo ribadisco, noi chiediamo una riduzione dell’enorme peso della tassazione sul lavoro dipendente, oltreché sulle pensioni, per rientrare quantomeno nella media europea. In occasione di un evento internazionale così importante abbiamo ribadito queste nostre rivendicazioni, determinati a farle valere per lo sviluppo del nostro Paese e per un futuro del lavoro migliore e più giusto in tutto il mondo.

 

Un’ultima domanda. Sempre a giugno, si sono celebrati i 75 anni del Patto di Roma. Cosa ci insegna, oggi, quell’evento e cosa fare per rinnovare quel patto unitario?

Il Patto di Roma segnò l’inizio del Sindacato moderno. Fu firmato da Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi ed Emilio Canevari, ma fu Bruno Buozzi, il leader riformista del sindacalismo italiano, a vergarlo con il suo sangue. Buozzi, infatti, fu trucidato dai nazisti in fuga dalla Capitale proprio il giorno prima che fosse firmato il Patto di Roma, alla cui definizione e stesura egli aveva lavorato, nei mesi precedenti, da protagonista, insieme a Di Vittorio e Grandi. Le tre anime storiche del sindacalismo italiano, messo a dura prova dal ventennio fascista, diedero vita all’esperienza del Sindacato unitario post bellico. Poi le strade si sarebbero separate. Ebbene, oggi, non esistono più le motivazioni ideologiche che, per due volte, in contesti e situazioni del tutto differenti, portarono alla rottura dell’unità, prima negli anni Cinquanta e poi negli anni Settanta. Oggi, è possibile riprovarci ancora, facendo tesoro di quelle due precedenti esperienze. Noi non pensiamo a un Sindacato unico, che non ci piace affatto, così come non ci piacciono i giornali o i partiti unici. Noi proponiamo un Sindacato unitario, con organismi decisionali unitari, costituiti sulla base degli effettivi rapporti di forza tra Cgil, Cisl, Uil e, quindi, secondo logiche non paritetiche, ma proporzionali, senza maggioranze assolute né diritti di veto. Si insedi subito, dunque, una Commissione costituente dell’unità sindacale. Sarebbe il modo migliore per onorare l’impegno, il lavoro e i sacrifici dei nostri padri e per dare ancora più forza e sostanza alla difesa degli interessi e dei diritti di tutti coloro che a noi si affidano per raggiungere gli obiettivi dell’equità e dello sviluppo.

 

 

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