L’economia dell’Emilia Romagna
OTTOBRE 2019
Sindacale
L’economia dell’Emilia Romagna
di   Giuliano Zignani

 

 

Dazi, Brexit, la frenata dell’industria tedesca, un Nadef poco coraggioso sullo sviluppo e una cassa integrazione che lungo la via Emilia torna a galoppare: troppe ombre incombono sull’economia dell’Emilia Romagna. Un sistema produttivo che risente di tutti i contraccolpi e gli scossoni nazionali e internazionali, ma che, tutto sommato, riesce ad attutire i fendenti grazie ad un robusto export. Ciò significa che il Pil regionale nel 2019 crescerà dello 0,6% contro lo ‘0’ secco previsto per l’economia nazionale. Partendo dalla Cig, vero termometro dello stato di salute lavorativo, i dati non appaiono molto incoraggianti. Da un raffronto tra i  primi nove mesi 2018 e quelli del 2019 balza agli occhi come la Cassa batta un +30,8%: da 10.402.520 a 13.608.199 ore. Con il picco della Cigs da 4.482.013 a 7.950.686 ore. Disaggregando l’andamento settore per settore, l’industria segna un +59% (da 7.486.474 a 11.163.818 ore) e l’artigianato un +6,911,4% (da 533 a 37.371 ore).
 
 
L’edilizia, già massacrata, si ‘limita’ ad un +15,1% (da 1.642.899 a 1.890.753 ore). Dati che, ad esempio a Bologna, hanno nomi e cognomi: Kemet, Mercatone Uno, La Perla, ex Breda Menarini, Magneti Marelli, solo per citare quelli balzati alle cronache. Tuttavia, quel +59% racconta di un’industria che soffre; un’industria grande, ma anche piccola e media, il vero nerbo del nostro sistema produttivo. Così non va. È evidente.  Al netto del chiederci dove sia il Mise e sul perché questo Governo non spinga davvero sull’acceleratore dello sviluppo, del taglio del cuneo e degli sgravi che darebbero ossigeno a imprese e anche ai dipendenti. Oltre ad una concreta lotta all’evasione: tema che ormai viene ripetuto come un mantra giusto per avere un titolo di giornale, salvo poi sciogliersi come neve al sole. Per inciso: se qualcuno a Roma se lo fosse dimenticato, l’abc insegna che se l’impresa non marcia, i lavoratori sono disoccupati e i consumi sono azzerati.  Inoltre, sempre se qualcuno se lo fosse fatto del sen sfuggire: se si ferma l’economia emiliano-romagnola, si ferma il Paese, essendo sul podio delle regioni che sono il motore economico-produttivo nazionale. Dubbi a Roma, interventi in Emilia Romagna.
 
 
La crisi e l’incertezza attuale, qui, si sentono meno perché i colpi sono smorzati da un Patto per il lavoro, siglato con la Regione, che ha messo in campo tutta una serie di interventi (da linee di investimento a politiche attive destinate ai giovani) che hanno dato e continuano  a dare  i loro frutti. Anche se i miracoli non possono certo farli, se ripeto, il Governo non sblocca i cantieri (già finanziati) per far partire le infrastrutture. Giusto per citare uno degli esempi più clamorosi. Le ultime indagini congiunturali evidenziano, nel secondo trimestre, un calo del volume della produzione delle piccole e medie imprese dell’industria in senso stretto dell’0,8% (dopo il -0,7% del trimestre precedente), una riduzione del fatturato dell’1,2% (-0,1% il fatturato estero) e una flessione degli ordini dello 0,7%. Non tutti i settori vedono il segno meno: la produzione agroalimentare cresce dell’1,7% (il fatturato è a +1,8%) grazie al contributo delle esportazioni (+4%), il legno sale dell’1%. Passo indietro per il fatturato dell’industria meccanica (-2%), per l’industria metallurgica (-2,3%), la moda (-3,6%). Una tendenza alla flessione che riguarda in particolare le piccole imprese.
 
 
Nel frattempo, in un anno, hanno chiuso i battenti 3.178 imprese, 634 nel manifatturiero, 1.954 nell’artigianato, 723 under 35 (solo le imprese straniere crescono, +1,7%, 836 in più). L’occupazione nel secondo trimestre è ancora in aumento (+1,3%). L’export dell’industria manifatturiera è cresciuto, del 5%, grazie alle performances del settore dei mezzi di trasporto (+10,4%), della metallurgia (+7%), della chimica (+4,6%). L’industria dei macchinari e delle apparecchiature non è andata oltre l’1,2%, fermo l’export della ceramica, cala quello delle apparecchiature elettriche (-1,2%) e del legno (-2,4%). L’Europa si conferma un mercato fondamentale e assorbe il 65,5% delle vendite estere delle industrie italiane: l’export verso il Regno Unito cresce del 10,9%, quello verso Francia e Germania dell’1,6%. In aumento anche le esportazioni in Cina (+11,8%) e verso gli Stati Uniti (+3,4%)».
 
 
 
 
 
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