Il Paese invecchia e perde popolazione mentre cresce la pressione migratoria. Senza politiche lungimiranti, il rischio è un’Italia più povera, divisa e marginale nello scenario globale.
L’Italia si trova davanti a una delle sfide più complesse del XXI secolo: la crisi demografica. Non si tratta soltanto di un calo delle nascite, ma di un fenomeno che investe l’intera architettura sociale ed economica del Paese. Gli indicatori parlano chiaro: una quota crescente di anziani, un numero sempre più ridotto di giovani e un progressivo indebolimento della famiglia come struttura di sostegno. La cosiddetta “famiglia lunga”, fatta di nonni, genitori, figli e nipoti, che per secoli ha rappresentato la colonna portante della società italiana, si sta sgretolando. Al suo posto, nuclei più piccoli, spesso isolati, che faticano a garantire quella solidarietà intergenerazionale che ha sempre caratterizzato il nostro modello sociale.
Questo mutamento non è soltanto statistico: ha ripercussioni tangibili sulla vita quotidiana. Gli anziani si trovano sempre più spesso soli e bisognosi di assistenza, mentre i giovani, pochi e dispersi, rischiano di crescere senza reti familiari forti, dipendendo in misura crescente dai servizi pubblici. La società italiana, tradizionalmente compatta e comunitaria, va così incontro a una trasformazione che la rende più fragile e meno coesa. Il rischio di una pressione migratoria non governata è oggi uno dei nodi più delicati per l’Italia e per l’Europa. Mentre la popolazione italiana cala rapidamente, con un costante invecchiamento e una natalità tra le più basse al mondo, molti Paesi del cosiddetto “terzo mondo” vedono raddoppiare i propri abitanti. Questo squilibrio demografico genera una spinta naturale verso le migrazioni di massa, che potrebbe riversarsi soprattutto sulle coste mediterranee. Gli effetti rischiano di essere pesanti: aumento della concorrenza per lavoro e servizi sociali, pressione sul sistema sanitario e abitativo, tensioni culturali e religiose...
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