Bassissima crescita demografica, fuga di italiani all’estero e politiche ostili all’immigrazione rischiano di condannare il futuro de nostro Paese
(Di Giuseppe Casucci)
Roma, 13 marzo 2018 - L’Italia perde costantemente quote di popolazione, sia a causa del basso tasso di fecondità, sia per la fuga di italiani qualificati all’estero. Attualmente gli autoctoni sono meno di 55 milioni ed in discesa apparentemente inarrestabile (- 100/150 mila l’anno). Anche il flusso di arrivi di stranieri è sensibilmente calato ed una parte di essi (causa mancanza di lavoro) torna a casa o va a cercare lavoro in altri Stati UE. Questo dovrebbe portarci a rafforzare programmi di sostegno alle famiglie e, al contempo, varare politiche maggiormente ragionate sugli stranieri. Invece prevale un sentimento (anche pubblico) di diffidenza e rigetto dei migranti (vedi risultati elettorali del 4 marzo) frutto delle conseguenze di una lunga crisi economica, ma anche di campagne mediatiche a dir poco razziste ed odiose. Attualmente gli stranieri residenti in Italia sono circa 5.047.000 (dati Istat), di cui 3.714.000 cittadini di paesi terzi. A questo numero bisogna aggiungere i circa 1,5 milioni di nuovi italiani: ex stranieri, cioè che si sono naturalizzati. Ma anche gli italiani residenti all’estero sono un numero paragonabile (circa 5 milioni). Quindi abbiamo 5 milioni di nostri connazionali che se ne sono andati, rimpiazzati da altri 5 milioni di stranieri. La differenza è che noi importiamo migrazione a basso livello professionale, mentre esportiamo laureati. Il motivo va ricercato nel gap tecnologico (ricerca, innovazione) – tra noi ed altri paesi - che si è protratto per anni. Si è preferito da parte del sistema economico nostrano cercare competitività sul fronte del dumping salariale ( o nello spostamento all’estero di alcune produzioni), invece che nella innovazione e maggiore qualità di processo e di prodotto. Non è un caso se la direttiva UE sulla “blue card si è rivelata in Italia un vero flop.
Questa situazione, se non corretta, rischia di portare il nostro Paese su di una strada di grave declino demografico, economico e politico a livello europeo. Basta solo pensare alla spesa previdenziale, in parte oggi pagata proprio dal lavoro degli immigrati.
La dinamica della popolazione italiana pone sfide a medio termine. Per determinare l’impatto socioeconomico delle tendenze demografiche è fondamentale la combinazione di due fattori principali: la variazione dell’entità della popolazione e la sua struttura. Entrambi i fattori dipendono dall’andamento del tasso di fecondità e dai flussi migratori. Tra il 2005 e il 2015 la popolazione in età lavorativa è aumentata di circa 770 000 unità, grazie a un saldo migratorio netto positivo pari a circa 1 610 000 unità. Secondo le proiezioni, tuttavia, la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) subirà una contrazione del 19% entro il 2050. In uno scenario a migrazione zero il calo sarebbe quasi il doppio. Nel 2016 la percentuale della popolazione italiana al di sopra dei 65 anni di età (22%) era inoltre superiore alla media UE (19,2%). Di conseguenza, l’indice di dipendenza degli anziani si è attestato al 34,3% (UE: 29,3%) e, secondo le previsioni, supererà il 60% entro il 2045. Se si aggiunge che l’Africa è in fase di raddoppio della popolazione, se ne deduce che le politiche di chiusura verso i migranti sono un vero suicidio da parte del nostro sistema/Paese. Prova ne è il blocco del decreto flussi d’ingresso in atto ormai da 8 anni, la necessità di delegare a Paesi africani il controllo dei flussi (a scapito dei diritti umani) ed una legislazione migratoria punitiva verso gli stranieri ed inefficace ai fini dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, oltre alla incapacità di governare i flussi. Per la UIL, oltre ad una politica decisamente favorevole alla fecondità delle famiglie italiane (maggiori servizi alle famiglie, parità effettiva di genere, maggiore stabilità nel lavoro ed accesso alla carriera), va varata una politica di ricerca di migrazione qualificata che deve andare di pari passo ad un ammodernamento dell’intero sistema economico e produttivo. Va dunque riformata la Bossi/Fini ed aperti i canali d’ingresso regolare per lavoratori stranieri, sulla base delle esigenze del mercato della manodopera; vanno valutati titoli e competenze degli stranieri, al fine di un loro riconoscimento e valorizzazione; va riformata la legge sulla cittadinanza per permettere ai figli dei lungo residenti di poter scegliere se diventare italiani; vanno offerte ai nostri connazionali in fuga verso l’estero occasioni vere di lavoro qualificato. Ne va del nostro futuro.
Scarica il Country report sull’Italia della Commissione Europea