Guglielmo Loy: comunicato Stampa del 16/06/2017
Ius Soli, negare la cittadinanza non allontana i pericoli
Ius Soli, negare la cittadinanza non allontana i pericoli
16/06/2017  | Immigrazione.  

 

Sarebbe auspicabile che un provvedimento così delicato per il nostro futuro passasse da un’intesa larga. Perché questa riforma necessaria va anche condivisa

 

di Goffredo Buccini, http://www.corriere.it/

 

Milano, 15 giugno 2017 - Le intemperanze leghiste di ieri al Senato (in piena sincronia con quelle di gruppuscoli dell’ultradestra appena fuori dal Palazzo) segnano un nuovo picco di tensione, di certo non l’ultimo, nell’assai accidentato percorso parlamentare dello ius soli. La legge, passata quasi due anni fa alla Camera e insabbiata finora sotto migliaia di emendamenti in gran parte strumentali, è ora incardinata in Aula e, ove approvata, consentirebbe a circa 800 mila ragazzi, figli di stranieri ma nati o cresciuti qui, di prendere infine la nostra cittadinanza (per «diritto di suolo», appunto).

 

Attenzione, i dettagli contano. E qui conta proprio quell’avverbio: infine.Perché, certo, in questi tempi di ferro e sangue, non sono incomprensibili i timori di tanti italiani di fronte a chi si percepisce diverso per abitudini, cultura o magari opzione religiosa. Eravamo «brava gente», aliena dal razzismo, finché in Italia gli unici stranieri erano i turisti. Le migrazioni degli ultimi vent’anni hanno cambiato il sentire comune, i morsi della crisi economica e il terrore islamista in tante piazze europee hanno fatto il resto. Non è casuale che i leghisti nell’Aula e i neofascisti fuori gridassero all’«invasione», cavalcando appunto tali non incomprensibili timori. E tuttavia nella cavalcata c’è un imbroglio. Perché questi ragazzi, le «seconde generazioni», non ci stanno invadendo: da un pezzo sono già qui, tra noi; sono i figli dei primi migranti e da anni in mezzo a noi studiano o lavorano, chiedendo infine di essere riconosciuti da quella che considerano la loro nuova patria.

 

Intendiamoci: nessuno può immaginare lo ius soli pressoché automatico (la cittadinanza assunta tout court in base al luogo di nascita) che ha in fondo segnato la storia di un grande Paese dalla frontiera mobile e dall’immigrazione fondante come gli Stati Uniti.La vecchia Europa ha radici ben più profonde, tradizioni secolari. E il cuore culturale di questa vecchia Europa, certo, siamo noi. Ma, attenzione, in Europa siamo anche il fanalino di coda, o quasi, nel riconoscimento dei nuovi cittadini: Germania, Francia e Inghilterra, pur con ragionevoli paletti, ci stanno ben davanti.

 

La versione italiana ora in discussione prevede un diritto di suolo assai temperato (subordinato in sostanza allo status di lungo soggiornante di almeno un genitore) e, accanto ad esso, uno ius culturae assai intrigante: ne beneficia lo straniero entrato in Italia prima dei 12 anni che abbia frequentato regolarmente un percorso formativo di almeno cinque anni.Chi avesse modo di conoscere qualcuno delle «seconde generazioni» scoprirebbe che l’opzione culturale non è secondaria: spesso questi ragazzi hanno fior di titoli di studio e parlano un italiano assai migliore di molti tra coloro che ieri protestavano (vale appena la pena di notare come la Lega, che ha considerato storicamente l’italianità un disvalore o un insulto, tenti in nome dell’italianità di escludere dall’Italia i nuovi italiani...). Detto questo, però, sarebbe davvero auspicabile che un provvedimento così delicato per il nostro futuro passasse da un’intesa larga e raggiungesse il punto di compromesso più accettabile per la più ampia platea. Perché questa riforma necessaria va anche condivisa. E se perfino esponenti responsabili dell’area moderata (valga per tutti Stefano Parisi) avanzano dubbi sul tema della sicurezza nazionale, significa che il dibattito deve essere quanto più possibile serio e autentico.

 

In realtà mischiare i problemi non pare una buona cosa. Negare ai nuovi italiani la cittadinanza (che poi significa lasciarla così com’è adesso: più lenta e umiliante da ottenere) non ci mette affatto al riparo da ondate migratorie fuori controllo e pericolosi radicalismi tra i nuovi arrivati. Sostenere che la questione migratoria non sia un’emergenza, qui e ora, in un Paese che ha attorno frontiere sbarrate, perde di vista ogni giorno frotte di clandestini e dovrà forse accogliere quest’anno più di 200 mila sbarchi è certamente puro abbaglio irenico. L’Italia è un imbuto senza sbocchi e la questione migratoria rischia di far da detonatore a tutte le nostre questioni irrisolte (da quella meridionale a quella abitativa, dall’abulia burocratica al feroce attivismo criminale), stravolgendo la nostra democrazia. A questa emergenza il Viminale sta lodevolmente cercando risposte che, condivise, sarebbero ben più cogenti. Così come la nostra politica estera si gioverebbe di forze responsabili del Paese che facessero quadrato in Europa, isolando chi specula per un pugno di voti in più.

 

Ma i ragazzi delle seconde generazioni non sono il problema, sono una possibile soluzione. Sono mediatori naturali tra la cultura dei padri e la nostra, che è diventata loro facendone in qualche modo degli «arcitaliani», perfino pieni di ingenuo orgoglio d’appartenenza: l’esatto contrario di quei terroristi naturalizzati in Inghilterra o in Francia le cui foto ieri mattina i militanti di Casa Pound inalberavano davanti al Senato con lo slogan irridente «grazie ius soli». Considerare compatrioti, come facciamo adesso in virtù del diritto di sangue, quei figli di italiani che magari non hanno mai messo piede in patria, e stranieri questi figli d’Italia che ci siamo cresciuti, trasmettendo loro le nostre leggi e la nostra cultura, beh, quella sì che sarebbe la ricetta del risentimento futuro: un piatto avvelenato che faremmo ancora in tempo a evitare.