Guglielmo Loy: comunicato Stampa del 06/03/2017
«Sfruttati e umiliati dai caporali così è stata distrutta la città parallela»
«Sfruttati e umiliati dai caporali così è stata distrutta la città parallela»
06/03/2017  | Immigrazione.  

 

Da operatrice Caritas, Concetta Notarangelo ha visto nascere l'accampamento «Senza alternative sorgeranno altri slum»

 

Dalla nostra inviata Concetta Notarangelo, La Repubblica

 

RIGNANO, 05 marzo 2017 - «Questa è davvero la fine». La nube nera disperde le baracche di legno e lamiere. Poche decine di migranti salvano dalla foga delle fiamme una bici, qualche coperta, bottiglie d'acqua. Concetta Notarangelo li guarda sfilare, nel lungo esodo da tempo atteso e mai voluto. Lei, trentunenne di Foggia, il ghetto di Rignano l'ha visto nascere. «Ci ho messo piede per la prima volta otto anni fa, quando era solo un villaggio di braccianti ». Prima l'assistenza da operatrice Caritas, poi i progetti con il missionario scalabriniano Padre Arcangelo Maira, memoria storica del ghetto dagli anni Novanta. «Andava sgomberato perché le cose sono cambiate – racconta l'operatrice – ma non con questa tempistica e con queste modalità».

 

Lei ha visto il ghetto cambiare forma, da borgo a città. È stata questa l'evoluzione?

 

«In otto anni l'ho visto nascere, crescere e ora morire. Ci sono stata quando c'erano 2.500 persone. Una vera e propria città parallela, con le attività commerciali, dal bar al ristorante e perfino il parrucchiere. E con i caporali, che hanno preso il controllo schiavizzando i lavoratori. Il picco di presenze l'abbiamo toccato dopo la primavera araba, che ha portato nelle campagne foggiane migliaia di migranti africani».

 

Con la Caritas avete provato a portare alfabetizzazione ed educazione alla legalità.

 

«Grazie all'aiuto di tanti volontari abbiamo fatto corsi d'italiano per bambini, sportelli di assistenza legale, distribuzione di beni di prima necessità ma anche progetti contro lo sfruttamento lavorativo. Abbiamo persino realizzato tra le baracche una officina per biciclette ».

 

Un percorso per nulla facile…

 

«Non senza difficoltà. Racconto un caso per tutti. A un certo punto abbiamo avviato un progetto di inserimento lavorativo in un'azienda del posto. I ragazzi del ghetto erano seguiti dalla Caritas e dai sindacati. Nonostante il nostro tutoraggio, alla fine ci siamo accorti che i braccianti erano comunque pagati cinque euro all'ora. E stiamo ancora combattendo affinché vengano registrate tutte le giornate lavorative. C'è qualcosa che non va nel sistema, il problema è a monte».

 

Prima dei caporali, sono i titolari della aziende agricole ad alimentare sfruttamento e schiavismo?

 

«Il problema comincia dalla grande distribuzione, per coinvolgere tutta la filiera agroalimentare. Nel sistema finisce che il pesce grande mangia sempre il pesce piccolo. I prodotti della terra sono pagati una miseria sul mercato, le aziende locali distribuiscono retribuzioni insufficienti, i caporali sfruttano i lavoratori: è un circuito al ribasso».

 

Qualcuno nel ghetto voleva davvero rimanerci?

 

«La parte buona degli abitanti voleva andare via da tempo. Ma chiedeva soluzioni alternative valide. Chi invece aveva altri interessi – come i caporali – ha fatto di tutto per restare, soffiando sul fuoco della protesta che ha portato alla distruzione delle baracche con l'incendio finale».

 

Lo sgombero andava fatto?

 

«Sì, ma con tempi e modalità differenti. Non a marzo, quando cominciano ad arrivare gli stagionali. E soprattutto non si è risolto il nodo principale, che è quello lavorativo. Se non si trova un modo per evitare lo sfruttamento, nessuno potrà permettersi di pagare un affitto. E quindi si formeranno subito altri ghetti».