La macchina dell’accoglienza è al limite. Ma è necessario preoccuparsi anche del disagio psichico di chi proviene da esperienze di guerra e di tortura
di Francesca Ronchin
Milano, 27 marzo 2016 - Ahmed, un ragazzo somalo di 24 anni, si guarda attorno spaesato. Gli operatori del centro di accoglienza dove risiede da qualche mese l’hanno accompagnato al SAMIFO, centro di Salute per Migranti Forzati. «Ha dolori dappertutto, un malessere diffuso che dura da mesi», ci spiega il mediatore. Ahmed ha fatto richiesta di asilo, e come lui molti altri. Stessa scena all’ambulatorio stranieri del Policlinico Umberto I, uno degli ospedali a Roma più frequentati oltre che da migranti forzati, anche da quelli irregolari, quelli che non hanno i requisiti per essere considerati profughi o che ormai sono in Italia da anni con un visto scaduto.
«Generalmente si tratta di somatizzazioni da stress», spiega la dottoressa Paola Massetti, che ogni giorno riceve decine di pazienti che lamentano disturbi gastrointestinali, respiratori, o del sonno, «i più correlati alla sofferenza psichica».
Il personale medico che lavora con gli stranieri è concorde: almeno 4 ogni 10 stranieri che arrivano nel nostro paese, presentano un disturbo da stress post traumatico, un disturbo psichiatrico transitorio conseguente a traumi subiti nel Paese d’origine o durante un viaggio lungo anche due anni, tra torture, violenze psicologiche e lavori forzati. Disturbo che spesso, una volta messo piede in Italia, non si estingue.
Anzi. «Se già c’è un 30, 40% di migranti che arrivano in Italia con un alto grado di stress post traumatico – spiega il dottor Giancarlo Santone, psichiatra responsabile del SAMIFO - c’è poi un altro buon 20% che tra centri d’accoglienza sovraffollati e l’incertezza di un futuro, in Italia sviluppa un pesante stress d’adattamento. Insomma, in totale si arriva ad un buon 50% di “stressati” cronici provenienti per lo più da Africa e Medio Oriente, alle prese con problematiche d’integrazione e mancanza di lavoro».