Guglielmo Loy: comunicato Stampa del 15/03/2016
La verità sulla Siria
La verità sulla Siria
15/03/2016  | Sindacato.  

 

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Clarissa Ward e Salma Abdelaziz della CNN sono andate sotto copertura nell’area siriana controllata dai ribelli dell’opposizione anti Assad, dove pochi giornalisti erano stati nell’ultimo anno. Hanno lavorato con il regista siriano Bilal Abdul Kareem su una serie di reportage esclusivi.

 

By Clarissa Ward with Salma Abdelaziz, CNN

 

tabellina-15032016aMarch 14, 2016 - Rebel-held Syria (CNN) - C'è un momento nauseante tra il momento in  cui senti il  rumore degli aerei, mentre aspetti che rilascino il loro carico. Un vuoto si forma nel tuo stomaco. Sai che potresti morire, ma sai anche che non c'è alcun modo per indovinare dove la bomba colpirà.

 

Su di una collina che domina Ariha, la nostra guardia del corpo Abu Youssef sembra aver individuato il Jet nel cielo e lo segue con gli occhi. "Aerei russi", dice. Improvvisamente si piega. Il boato dell’esplosione rimbomba con un "thwoomp."  

 

Dove la bomba ha colpito, seguono altri suoni. Sirene. La gente che grida chiedendo aiuto. Metallo che raschia le macerie, mentre i volontari tentano furiosamente di estrarre le persone sepolte sotto i detriti. I sopravvissuti di questa martoriata cittadina siriana maledicono il presidente Bashar al-Assad ei suoi sostenitori russi

 

Al più vicino ospedale, a circa 10 miglia di distanza, ancora altri suoni. Uomini che discutono, mentre cercano di estrarre dal retro di un’auto un ragazzo gravemente ferito. Medici che gridano alla gente di stare indietro. Un parente che piange sommessamente. Per un visitatore, c’è qualcosa di vertiginosamente surreale in tutto questo. I suoni permangono a lungo quanto le immagini. Ma tutto questo fa parte della vita quotidiana nel nord della Siria.

 

Siamo sul terreno da meno di 24 ore, quando il bombardamento aereo ha colpito. Ora, dopo cinque anni di questa guerra, gli attacchi contro le aree controllate dai ribelli sono implacabili, soprattutto dall’aria. Tutto è cominciato con  bombe barile confezionate artigianalmente ed espulse a casaccio dalla parte posteriore degli elicotteri della Syrian Air Force. Poi, lo scorso settembre, la Russia si è unita ai combattimenti ed i bombardamenti – a migliaia – sono diventati più potenti e punitivi. La Russia afferma di prendere a bersaglio solo i combattenti “terroristi” di Isis e gli affiliati di al Qaeda Jabhat al-Nusra. Ma il bombardamento a cui abbiamo assistito ha colpito un mercato della frutta. Ed è la gente ordinaria che va al mercato.

 

Un attimo prima discutevano con il fruttivendolo il prezzo delle arance. Un attimo dopo erano morti. I gruppi di monitoraggio sostengono che almeno 2000 civili sono stati uccisi da quando la Russia si è unita ai combattimenti. "Ogni giorno, ho il dubbio se inviare mia figlia a scuola," mi dice la giovane donna. Siamo seduti su cuscini sul pavimento di una casa di Maarat al-Numan, una città devastata dai raid aerei negli ultimi mesi. Sua figlia di 6 anni si trova accanto a lei, guardando timida questi visitatori stranieri mentre si mastica i capelli. "Certo che voglio che abbia un’istruzione, ma ogni volta che esce di casa c'è sempre una possibilità  che ..." La sua voce si spegne. Non finisco la frase per lei. C'è sempre una possibilità che non tornerà. C'è sempre una possibilità che sarà uccisa. C'è sempre una possibilità  di rimanere mutilata da una bomba.    

 

Molti siriani mi hanno detto che non senti il rumore degli aerei se vieni colpito, li senti solo se non sei tu il bersaglio. Sembra essere diqualche conforto - almeno non si sa che si sta per morire nei momenti prima che accada. Non condivido questo pensiero con la giovane donna. Annuisco in silenzio. In Siria ora, ci sono un molti silenzi. Molto rimane non detto. Le domande sono generalmente accolte con sospetto. Una cultura della paura permea il posto.

 

tabellina-15032016Quasi nessun giornalista occidentale ha visitato questa parte del paese da più di un  anno.  La Turchia ha di fatto sigillato i confini delle aree controllate dai ribelli – all’interno delle quali la minaccia di attacchi aerei indiscriminati permane.

 

Abbiamo viaggiatosotto copertura, indossando il “Niqab”, un velo nero che copre tutto il viso, ad eccezione di una piccola fessura all’altezza degli occhi.

 

Non ci mette molto la gente del posto a capire chesono una straniera, ma molto pochi chiedono di dove vengo o cosa stia facendo qui. Ci pensano due volte a fare queste domande. Invece raccontano le loro storie. Vogliono che il mondo sappia.

 

Il viaggioper arrivare ad Aleppo è ora estremamente difficile e pericoloso. Le truppe di terra di Assad hanno usato la copertura aerea russa per circondare i ribelli che controllano la parte orientale della città, dove fino a 320.000 persone potrebbero essere intrappolate.

 

Ora c'èsolo una strada che i ribelli possono utilizzare per entrare e uscire dalla città - una volta il più grande e vivace centro economico e culturale della Siria  - ed è affiancata su entrambi i lati da forze nemiche. I cecchini sono ovunque. La chiamano la strada della morte.

 

Ciprecipitiamo lungo la pista a tutta velocità, il cuore in gola. Guardo i terrapieni di terra costruiti su entrambi i lati per nascondere le auto dalla vista del nemico. Sembravano pateticamente vulnerabili.

 

Mi viene in mente una visita in Siria quattro anni fa, quando un capo dei ribelli con orgoglio mi ha mostrato un arma su cui avevano lavorato per mesi. Era una catapulta fatta in casa. Una catapulta per combattere contro proiettili di artiglieria. "Davide e Golia», sussurrai a me stessa. Non sapevo se ridere o piangere. "Il primo è stato mio nipote. E dopo di lui suo cugino, mio figlio, il figlio di mia figlia, mio figlio di mezzo, e uno dei suoi figli, poi il mio terzo figlio, e suo figlio.  Sono tutti morti in prima linea, e ringrazio Dio per questo."

 

In un appartamento buio e angusto ad Aleppo orientale, Souad – 70 anni - sta elencando i membri della famiglia che sono stati uccisi nei combattimenti di questa guerra. Occhi lattiginosi, lo sguardo assente si perde nell’aria mentre lei li conta sulle dita ossute. Sono nove in totale. Il mio cervello si sforza di elaborare la portata della perdita. Non ci sono lacrime. La tristezza e la perdita molto tempo fa si sono trasformate in accettazione cupa, resa possibile da una fede incrollabile in Dio. "Ringrazio Dio per ogni situazione. Ho sentito la notizia e dico grazie a Dio per qualsiasi cosa", dice Souad, aggiustandosi il velo nero. "Veniamoda Allah e a lui ritorniamo".

 

Suo nipote siede accanto a lei mentre parla, ascolta con attenzione mentre sorseggia caffè arabo nero e concentrato. Dimostra 40 anni, ma probabilmente non arriva a 30. La barba è lunga e indossa pantaloni mimetici. Lui è un combattente con Ahrar al Sham, un gruppo ribelle islamico che si batte su tre fronti. Su di uno è l'esercito di Assad. Su di un altro c’è ISIS. Sul terzo, le forze curde sono in agguato.

 

Quando mirivolgo a lui, abbassa lo sguardo timidamente per evitare di incontrare i miei occhi. Per alcuni, potrebbe apparire come il sessismo o disprezzo. Ma capisco che è inteso come un gesto di rispetto. Mi domando che cosa accadrà se verrà ucciso - se Souad continuerà a stare qui in Sukkari, un quartiere distrutto dalle bombe russe e del regime. Sì, mi dice. Lei resterà qui fino alla morte.

 

La guerra alla normalità

 

Dottor Firas Al Jundi non ha tempo di sedersi con noi. Lui è uno di una manciata di chirurghi in unico ospedale ancora in piedi in Maarat al-Numan. Il mese scorso, il più grande ospedale, sostenuto da Medici Senza Frontiere, è stato distrutto da attacchi aerei. Venticinque persone sono state uccise. Il gruppo sostiene che missili russi o di regime siano responsabili. La Russia ha categoricamente negato il proprio coinvolgimento.

 

Jundici dice che ora tratta fino a un centinaio di persone al giorno. Il suo volto è grigio e le occhiaie circondano i suoi occhi. E’ il volto di qualcuno che non sa cosa pensare o sentire più, di qualcuno che va avanti per inerzia. Quando parla, preme le mani sulla scrivania, come se fosse in qualche modo l'unica cosa che lo sorregge.

 

Ci dice che non hanno abbastanza medicine, che l’acqua è troppo sporca per essere usata in chirurgia. Dice che, malgrado i dinieghi, il regime di Assad e la Russia prendono cinicamente di mira gli ospedali deliberatamente. I quattro ospedali sono stati colpiti lo stesso giorno un mese fa. Vogliono distruggere tutti i servizi medici in modo che la gente sia obbligata a fuggire. Gli chiedo come mai non lasci la Siria. Con il titolo e l’esperienza medica sarebbe relativamente facile per lui andare in qualche posto più sicuro. Fa una pausa prima di rispondere.  Posso sentirlo deglutire. 

 

“Se lo facessi abbandonerei la mia coscienza”, dice Jundi. Il viso si trasforma e lui piagnucola sommessamente. Cede all’improvviso. “Questo è il nostro Paese, non possiamo abbandonarlo.  Se lasciamo allora avremo venduto la nostra morale. Chi curerebbe la gente? ». Si interrompe e singhiozza.  Debbo piantare le unghie sul palmo delle mani,  per non piangere anch’io.   "Potrei facilmente andare via, ma rimarremo qui," riprende forza   mentre continua. "Sono pronto a morire piuttosto che lasciare. Tirerò avanti a qualunque costo." E’ il tipo di coraggio che ti lascia sconcertato. Il giorno prima abbiamo intervistato un avvocato che è sopravvissuto ad un bombardamento del suo tribunale. Uno dei due che abbiamo visitato e che è stato raso al suolo. “Questo è il prezzo che dobbiamo pagare per vivere in una zona libera”, ci dice prosaicamente mentre sostavamo davanti alle macerie.

 

Assa dei suoi alleati russi dicono che la loro è una guerra contro il terrorismo. Ma sul terreno, la gente crede che la vita di tutti i giorni sia il bersaglio. E 'una guerra alla normalità. Vai a risolvere una controversia in tribunale? Ti colpiamo. Vai all’ospedale per un controllo cardiologico? Ti colpiamo. Vai a comprare un po’ di frutta? Ti colpiamo.

 

Immagina di stare annegando

 

Guardo fuoridal finestrino della macchina attraverso la fessura nel mio niqab. "La democrazia è la religione dell'Occidente", dice una scritta in bianco e nero. Ci sono un sacco di scritte come queste da queste parti ora. I cartelli invitano gli uomini a unirsi alla jihad contro Assad e incoraggiano le donne a coprirsi completamente. Guidiamo attraverso checkpoint dopo checkpoint presidiato da Jabhat al-Nusra, l'affiliato di al Qaeda qui. Il radicalismo che ha preso piede nelle aree siriane controllate dai ribelli sembra più pronunciato ogni volta che ritorno per una visita, ma queste scritte sono sui muri da anni.

 

Nel 2012, chiesi all'allora Segretario di Stato Hillary Clinton se lei fosse preoccupata che islamisti e gruppi jihadisti potessero sfruttare il vuoto creato dal caos e la violenza in Siria, se la comunità internazionale non avesse in qualche modo riempito questo vuoto. Lei evitò  abilmente di rispondere alla domanda.

 

Quasitutti quelli che incontrate qui vi diranno che vogliono vivere liberamente e in modo equo. Ma la maggior parte vi dirà anche che vuole vivere sotto un certo tipo di governo islamico. La gente vi dirà che odia l'estremismo. Eppure Jabhat al-Nusra gode di una quantità enorme di supporto sul terreno. Si tratta di un rapporto conflittuale e complicato. Un giovane attivista dei media mi ha detto tutto d'un fiato che odiava al-Nusra – ma subito dopo ha aggiunto che suo cugino era un loro combattente.

 

Annifa, un medico siriano-americano si è spiegato con me in questo modo: Immagina di stare annegando, che stai per morire e cerchi disperatamente chiunque possa aiutarti, ma non c'è nessuno.Ma poi vedi qualcuno che ti tende la mano. Forse non ti piace lo sguardo di quella persona, ma è la sola chance che hai di sopravvivere. Così afferri quella mano.

 

Inferno e paradiso.

 

E 'il nostroultimo giorno in Siria e siamo in un soleggiato uliveto vicino al confine turco. E’ di una bellezza spettacolare, serena anche - un mondo lontano dalla devastazione cui abbiamo assistito ore prima presso la località di un attacco aereo, apparente nella città di Daraat Izza. I contrasti e le contraddizioni di questo paese mi fanno girare la testa. La siria è l’inferno. Ma stando sotto il sole tiepido, ad osservare le foglie d’olivo verde argento che si piegano dolcemente sotto la brezza, sembra anche il paradiso. Un cessate il fuocoè in vigore da un paio di giorni, anche se - sulla base di ciò che abbiamo visto e sentito - è difficile avere molta fiducia che terrà.

 

Ci stiamo preparando a partire, e salutiamo. Regaliamo un sacchetto pieno di cioccolatini britannici alle nostre guardie del corpo. Abu Youssef ci ringrazia e in silenzio porge a ciascuno di noi un pezzo di carta bianco ripiegato con le nostre iniziali su di esso. "Promettimi che non leggerete questo fino a che non sarete tornati a casa a Londra", dice. Due voli e 72 ore più tardi, apriamo le lettere. "Spero abbiate un buon ricordo di noi”, c’è scritto: “Per favore, diteal mondo la verità sulla Siria".