Guglielmo Loy: comunicato Stampa del 15/09/2015
Il caso della «censura» di Giorgia Meloni
Il caso della «censura» di Giorgia Meloni
15/09/2015  | Sindacato.  

 

La leader di Fratelli d’Italia si è fatta fotografare con la bocca chiusa da un bavaglio e tra le mani un cartello con la scritta «stop immigrazione»

 

di Giovanni Maria Bellu, www.notizie.tiscali.it 

 

Questa storia, molto complicata, avrebbe appassionato solo un numero ristretto di giuristi e di attivisti dei diritti umani se la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, qualche giorno fa non avesse deciso di farsi fotografare con la bocca chiusa da un bavaglio e tra le mani un cartello con la scritta: “Stop immigrazione”. Una performance finalizzata a denunciare una “interferenza” di un organo governativo – l’Unar, ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – sulla sua libertà di manifestazione del pensiero: la libertà di un parlamentare della Repubblica garantita dall’articolo 68 della Costituzione.

 

Questa interferenza – denunciava la Meloni imbavagliata – era stata esercitata dall’Unar con l’invio, il 2 settembre, di una lettera che stigmatizzava il contenuto di un post da lei pubblicato il 29 giugno (all’indomani degli attentati terroristici in Tunisia, Francia, Somalia e Kuwait) sulla sua pagina Facebook. Si trattava di alcune considerazioni coerenti con la linea della destra radicale che vede l’Islam in quanto tale come un terreno di coltura favorevole al terrorismo. La Meloni, coerentemente, invitava a prendere “la (piccola) quota di immigrati che reputiamo necessaria (…) da quei popoli che hanno dimostrato di non essere violenti”. E aggiungeva: “Per gli altri, porte chiuse finché non avranno risolto i problemi di integralismo e violenza interni alla loro cultura”.

 

L’Unar opera sulla base di segnalazioni che vengono inviate da cittadini o da associazioni. Così accadde anche in quella occasione. Quindi il direttore, Marco De Giorgi, utilizzando una formula già adottata molte altre volte, inviò alla Meloni la lettera dove (“pur nell’intangibilità del principio di libera manifestazione del pensiero, garantito dalla Costituzione italiana, e condividendo la preoccupazione relativa alla gestione di un fenomeno così complesso come quello migratori”) rilevava che la comunicazione di quel post su Facebook pareva basata “ su generalizzazioni e stereotipi” e, per questo, non favoriva “un sollecito e adeguato processo di integrazione e coesione sociale”. “Si coglie l’occasione – questa la conclusione della missiva - per chiedere di volere considerare per il futuro, l’opportunità di trasmettere alla collettività messaggi di diverso tenore”.

 

Sono queste ultime parole a configurare, secondo la Meloni e il centrodestra, l’impropria interferenza (la “censura”) sull’attività di un parlamentare. Censura aggravata dal fatto che a esercitarla è stato un ufficio che, come l’Unar, dipende dalla presidenza del Consiglio dei ministri ed è fisicamente ospitato in locali di pertinenza di Palazzo Chigi. Un “bavaglio governativo”, dunque (e infatti, per sottolinearlo, la Meloni si è imbavagliata proprio a Palazzo Chigi).

 

La scaltra performance ha scatenato un terremoto politico che ha fatto traballare la poltrona di De Giorgi. I senatori Gaetano Quagliariello e Maurizio Sacconi hanno presentato un’interrogazione parlamentare e la Meloni è stata ricevuta dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Sull’incontro il Quirinale non ha emesso alcuna nota, ma la parlamentare ha affermato che il capo dello Stato le avrebbe detto di considerare “una anomalia” il fatto che un ufficio del governo mandi a un parlamentare eletto una missiva per richiamarlo sulle posizioni espresse. “Ora aspetto – ha aggiunto la Meloni - di sapere che cosa ne pensa il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che anche su questa vicenda non ha avuto il tempo di esprimere un parere”.

 

Il parere è arrivato ieri, nel corso del question time, attraverso la risposta che il ministro Maria Elena Boschi ha dato all’interrogazione. Fin dalla sua istituzione, ha spiegato il ministro, è stato considerato come rientrante nelle funzioni dell’Unar rivolgere raccomandazioni. In definitiva, la lettera inviata alla Meloni “non rappresenta né il primo caso, né un caso isolato, non soltanto nei confronti dei comuni cittadini, ma anche nei confronti dei parlamentari”. Il ministro ha aggiunto una considerazione ulteriore: "Credo che l'onorevole Meloni ben conosca questo schema di lettera a cui si è attenuto l'Unar, proprio perché fu voluto dall'allora governo Berlusconi di cui l'onorevole Meloni faceva parte come ministro e il responsabile che ha ideato quello schema tipo di lettera era allora la dottoressa Rauti. Questo nulla toglie – ha concluso - che per il futuro si possano valutare modalità diverse di comunicazione".

 

Caso chiuso dunque? Nient’affatto. E non solo perché la Meloni, delusa e insoddisfatta per la risposta, ha affermato che con essa il governo ha raggiunto “l’apice della falsità”. Restano aperti due problemi. Uno è ancora quello del vertice dell’Unar. La risposta della Boschi mette a tacere le voci che circolavano attorno a una immediata rimozione del direttore, ma il prossimo 25 settembre scade il contratto di De Giorgi. Prima del “caso Meloni” si dava per scontata la sua riconferma. Adesso cosa accadrà? Tra dieci giorni si vedrà allora se le pressioni del centrodestra hanno sortito qualche effetto.

 

L’altro problema è ben più complesso e riguarda la strutturazione dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. Infatti, se si è potuto parlare di “indebita interferenza”, è stato soprattutto perché l’Unar dipende dal governo. Non è cioè, al contrario degli omologhi organismi di altri Paesi, un’autorità indipendente. Solo per questa ragione il blandissimo e routinario richiamo alla Meloni è potuto apparire una “invasione di campo”. Il problema è dunque quello della natura giuridica dell’Unar, della sua strutturale limitata indipendenza. Si era già posto lo scorso febbraio quando l’Unar diffuse le “Linee Guida per un’informazione rispettosa delle persone Lgbt” ( Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). Allora ad attaccare l’Unar non fu solo il centrodestra ma anche la stampa cattolica. E anche allora la natura governativa dell’ufficio fu utilizzata alla stregua di una “aggravante”.

 

Il problema è sul tappeto da anni. In più occasioni i vertici dell’Unar l’hanno posto chiedendone la risoluzione. Se ne parla anche nella parte dedicata all’Italia dell’ultimo rapporto dell’Ecri (European Commission against Racism and Intolerance) dove si fa notare che le competenze dell’Unar ancora non sono state formalmente estese a tutti i casi possibili di discriminazione (cioè non solo quelli fondati sul colore della pelle, ma anche quelli fondati sulla religione, gli orientamenti sessuali, la lingua, la cittadinanza) e che ancora l’Unar non può intervenire direttamente in giudizio, ma può solo affiancare le vittime delle discriminazioni. Inoltre – osserva l’Ecri – dl punto di vista strutturale l’Unar continua a dipendere dal Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri e, per questa ragione, non gode della piena indipendenza che dovrebbe essere riconosciuta ad un organismo con le sue funzioni.