Antonio FOCCILLO: comunicato Stampa del 05/07/2015
La crisi della legittimità del sistema di rappresentanza
La crisi della legittimità del sistema di rappresentanza
05/07/2015  | Sindacato.  

 

di Antonio Foccillo

 

Oggi purtroppo, il sistema di rappresentanza sta attraversando una crisi di legittimità, che si esprime nell’astensione elettorale, nell’apatia e nella non partecipazione politico-sociale che è sintomo di un totale rifiuto politico e mancanza di fiducia in tutta la classe politica, che viene progressivamente delegittimata dal crescente aumento dell’astensione dal voto. Tutto ciò è dovuto a molte cause, compresa la strategia di reprimere la partecipazione dei vari soggetti della democrazia, che non sono più ritenuti portatori di interessi diffusi ma vere e proprie palle al piede che frenano le scelte le decisioni dell’uomo solo al comando. Bisogna reagire per ricostruire l’autorevolezza e la legittimazione della rappresentanza quale strumento della democrazia partecipata e ristabilire le connessioni della società alle istituzioni, in assenza delle quali la convivenza civile viene meno e una comunità politica si sfalda.

 

Tutto ciò è da fare nonostante che le azioni di una parte rilevante del ceto politico italiano giustifichi le ragioni dell’antipolitica; la qualità della rappresentanza politica sia profondamente degradata e questo processo degenerativo non abbia trovato nelle élites anticorpi adeguati, bensì spesso collusioni interessate.

 

Tutti sintomi che sembrano preparare l’eclissi della democrazia stessa, che prelude non un ad un vero e profondo cambiamento, ma a possibili fuoriuscite autoritarie dalla crisi con nuove deleghe in bianco alla tecnocrazia o al populismo.

 

L’impotenza della politica alimenta giudizi generici e sommari, suggestioni antipolitiche che producono un avvitamento fatale, frutto di quella privatizzazione della politica che – con i suoi episodi eclatanti di corruzione, di uso personale dei partiti e delle funzioni pubbliche – è conseguenza del più generale processo di privatizzazione che ha reso subalterna la politica all’economia, secondo l’assunto che la politica non serve o al massimo deve assicurare il consenso a decisioni prese dai grandi poteri finanziari, obbedendo alla libertà dei mercati.

 

L’alternativa proposta a questa crisi di legittimità, che prescinde dall’analizzarne le ragioni strutturali e le conseguenze pericolose, è ridurre il peso della rappresentanza sostituendo alla politica la tecnica, come se questa fosse neutra e di per sé legittima.

 

L’evoluzione o meglio l’involuzione della politica rappresentativa ha inizio dai partiti di massa che, dal sistema di contatto strutturato con la propria base elettorale di cui percepivano velocemente le necessità e ne elaboravano soluzioni e strategie politiche, sono passati a privilegiare progressivamente l’esclusivo interesse personale - che ha prodotto casi di corruzione sempre più evidente, provocando la crisi del sistema, che dopo tangentopoli sembrava fossero stati spazzati via, ma che oggi sono venuti fuori con più virulenza.

 

La politica nel rinnovarsi (purtroppo non in meglio) ha compiuto il passaggio dalla leadership delle ideologie alla leadership del leader, sempre più mediatizzata e ridotta a slogan. Si è passati dalle ideologie all’imbonitore televisivo.

 

Tant’è che alcuni studiosi come Colin Crouch hanno cominciato a parlare di post-democrazia e di dittatura dei media, che avrebbero condizionato sempre più le intenzioni di voto del popolo sovrano, per evidenziare il percorso che avrebbe portato i sistemi democratici lontano dagli obiettivi della democrazia. La riduzione o l’annullamento del finanziamento pubblico ai partiti di fatto ha privatizzato il finanziamento della politica, mentre occorrerebbe porre argini forti all’influenza diretta o indiretta della ricchezza e ai conflitti di interesse, senza confidare eccessivamente in authorities e regolatori, le cui condizioni di indipendenza andrebbero sempre verificate e in particolare in Italia ricostruite dalle fondamenta. Dove più pesa il denaro nelle scelte politiche i partiti sono stati ridotti di fatto a comitati elettorali e collettori di raccolta-fondi ed il peso delle lobbies e dei loro finanziamenti agli eletti è tale da rendere quasi impossibili scelte politiche fatte nell’interesse esclusivo della collettività. I fenomeni di corruzione, strapotere della finanza sono strutturali e hanno ridotto la credibilità del sistema.

 

Comunque da tutte le varie analisi ne traiamo la conclusione che bisogna combattere la concezione patrimoniale della politica perché è funzionale esclusivamente all’egemonia neoliberista.

 

Il presupposto è una ricostruzione culturale e sociale della qualità della politica, partendo da una radicale messa in discussione della infezione ideologica “privatistica” che ha dominato, anche a Sinistra, l’ultimo ventennio.

 

Non è affatto facile confrontarsi sul problema drammatico dell’estinzione del discorso pubblico, soppiantato dalle simulazioni di una politica ridotta a reality, relegando i cittadini al ruolo passivo di spettatori, cui è consentito – ogni tanto - solo l’applauso o il fischio, il che ha fatto regredire la partecipazione a tifo da stadio. In aggiunta la “deriva leaderistica” ha concorso pesantemente a rafforzare questa espropriazione del diritto di poter partecipare alle decisioni collettive, autonomamente e criticamente, producendo crescenti fenomeni di rigetto nei confronti di “questa” politica, misurabile nell’aumento esponenziale del non-voto, o di movimenti anticasta la cui identità viene mistificata parlandone in termini di “antipolitica”. L’assenteismo viene considerato un banale raffreddamento della passione proprio da parte dei protagonisti della politica-reality; mentre tale fenomeno è la più radicale contestazione dell’esproprio di un bene prezioso quale la democrazia.

 

Tralasciando di fare discorsi sulla perdita dei valori, sul decadimento della morale sulla fine di quei sentimenti di collaborazione e di solidarietà sociale cercheremo di descrivere le nuove esperienze circa la rappresentanza, che, è bene premetterlo, essendo uno strumento non è presentato né deve essere percepito come soluzione della crisi politica.

 

Nella realtà sociale che, non completamente succube degli addomesticamenti dei mass media, ancora si interessa di politica emerge la necessità di una profonda riscrittura dei Patti Sociali e dunque dell’Alleanza Costituzionale, attraverso la più ampia partecipazione dei cittadini.

 

Il superamento dell’esperienza di democrazia partecipativa nasce dalla consapevolezza che la rivoluzione tecno-scientifica, quella degli strumenti di comunicazione e la loro velocità hanno radicalmente annullato le distanze rendendo definitivamente obsolete le “ritualità democratiche” fino a svuotare di fatto i Parlamenti della loro funzione centrale, cioè, rappresentare mediare e decidere.

 

Le regole classiche della democrazia, che esigono il dialogo, la consultazione, l’accordo dentro e con le minoranze, il riconoscimento e la tutela effettiva dei diritti umani, che spettano a ogni essere umano, indipendentemente dalla nazionalità e dalla cittadinanza, l’allineamento alle libertà storiche delle democrazie, cioè ai diritti civili e politici, dei sopravvenuti diritti sociali e dei sopravvenienti diritti culturali possono giovare a cercare una risultante pacifica e ordinata delle attuali società.

 

Purtroppo oggi l’opinione pubblica e quindi la coscienza civile è presa da problemi quotidiani e da interessi individuali, senza nessuna strategia e succube del particolare, e guarda con indifferenza e insofferenza a questi problemi, considerati generali, estranei dalla loro sfera di interessi. Così si è trasformata anche la cultura dominante non più interessata a battaglie per rendere la società più giusta, più coesa e solidale e quindi parole come globalizzazione, deregulation, mercato, competizione sono diventati slogan che hanno fatto da schermo ideologico alla delocalizzazione nei Paesi del terzo mondo di gran parte dell’apparato produttivo, alla marginalizzazione dello Stato, della politica e del ruolo del “cittadino”. La rivoluzione ideologica conservatrice, attraverso la delocalizzazione delle imprese che in tal modo potevano disporre di manodopera a prezzi stracciati, è riuscita rapidamente a svuotare la dignità del cittadino ed in particolare nella sua veste di lavoratore, ponendolo in diretta concorrenza per il posto di lavoro con il lavoratore senza tutele (suddito-schiavo) del Terzo Mondo. I suoi valori cardine, espressione del popolo sovrano, ovvero il principio di libertà, di indipendenza e il principio di uguaglianza (posta a difesa della sua pari dignità) sono diventati privi di interesse e subordinati al “mercato”.

 

Il principio generale di libertà è stato interamente assorbito dal principio di libertà economica, che è stato assunto a modello ideologico generale di tutta la società. Ne è nata una crisi, la più devastante e lunga nella storia dell’occidente. Le ragioni di tale crisi non sono poi così misteriose: mancano investimenti nella produzione che rilancino la base occupazionale e risanino la bilancia commerciale, ma questo è reso impossibile dall’attuale modo di funzionare dell’economia che spinge verso un crescente impiego finanziario di ogni dollaro o euro. Per invertire la rotta occorrerebbe una drastica riforma regolamentatrice della finanza, che non si è in grado neanche di tentarla perché il potere economico ha sempre contato in politica, mirando a condizionarne le decisioni.

 

Tutto genera come conseguenza una sorta di impotenza del cittadino e vi sono allarmanti segnali che preconizzano una conseguente riduzione delle democrazie: la scarsa partecipazione alla vita pubblica e politica dei cittadini, in tutta Europa; il ritirarsi nel privato ed una crescente sfiducia nella classe politica; una tendenziale e percepita perdita dei valori che accomunano i cittadini in una società; la perdita finanche delle regole pacifiche della convivenza sociale e di una educazione politica che induceva i consociati a sentirsi parte di una nazione, corpo di una società. E poi, non ultimo, la crisi dell’economia che fatica a trovare il suo regime di crescita in una società in cui il lavoro umano è considerato un’attività sempre meno indispensabile.

 

La democrazia rappresentativa è diventata una commedia il cui atto culminante sono le elezioni. Lo è tanto più oggi che, dopo la caduta del comunismo, tutti i partiti, a parte qualche eccezione senza rilievo, hanno accettato quel libero mercato che, insieme al modello industriale, è il meccanismo reale che detta le condizioni della nostra esistenza, i nostri stili e ritmi di vita e di cui la democrazia è solo l’involucro legittimante. Le antiche categorie di destra e sinistra non hanno più senso. Non esistono più le classi, ma un enorme ceto medio indifferenziato che ha, più o meno, gli stessi interessi. Stiamo vivendo una stagione di cambiamenti spesso contrari agli interessi dei cittadini e la loro scarsa partecipazione al voto, ancora una volta, dimostra come siano inadeguati. Troppa distanza, per non dire altro, fra chi decide e chi ne subisce le conseguenze.

 

In questo contesto di smarrimento e di impotenza dell’uomo a stabilire regole di convivenza adeguate alla realtà come si è configurata in questi ultimi decenni, riteniamo sia opportuno richiamare gli insegnamenti passati il cui valore intrinseco resta sempre valido. Va ripristinato un metodo laico e riformista del vedere la politica ed una centralità della persona nelle scelte economiche, riaffermando il metodo del confronto e della democrazia rappresentativa che quella cultura aveva portato cinquant’anni di Pace in Europa e di benessere sul piano economico e sociale. Due erano gli aspetti della battaglia politica che accompagnavano i valori di libertà e di uguaglianza ed erano solidarietà e coesione. Lo stato sociale e le conseguenti scelte di politica economica ne erano l‘espressione, non solo in Italia ma in tutta l’Europa democratica. Noi che veniamo da quella filosofia abbiamo rappresentato una concezione di sindacato laico, riformista e sempre pronto al dialogo. Siamo altrettanto convinti, anche oggi, che nel rispetto delle opinioni di tutti, il pluralismo è il sale della democrazia, e solo l’esistenza di relazioni anche contrapposte dove ogni soggetto svolge la sua funzione alimenta e dà forza alla democrazia. La Uil nella sua vita, a partire dai suoi padri costituenti, è sempre stata per il rinnovamento in una prospettiva di progresso e nella consapevolezza che ciò debba avvenire attraverso la partecipazione ed il confronto costante per tutelare prima i cittadini e poi i lavoratori. Questo è lo spirito che ci ha sempre accompagnato e sempre ci accompagnerà. Questo è il nostro Dna. Dobbiamo svolgere la funzione conseguente di ripristino di questa cultura, riaffermando una nuova concezione di ricostruzione dei valori per dare vita ad una opinione pubblica che abbia di nuovo la voglia di riprendersi gli spazi partecipativi e ridare fiato a regole di una società diversa nella quale comunque si possa realizzare sempre più democrazia.