Nel ringraziare la DG EMPL della Commissione Europea per la possibilità di dare il nostro contributo, sia pur nell’ambito di una consultazione informale sul Labour Mobility Package, la UIL condivide pienamente il documento inviato in bozza dalla CES.
Anche noi siamo preoccupati che una possibile revisione del Regolamento 883/2004 (e del regolamento di applicazione n. 987/2009) possa risultare in un peggioramento nell’accesso ai benefici sociali da parte dei lavoratori mobili e della loro famiglie.
Già oggi i lavoratori mobili soffrono non di rado di situazioni discriminatorie o di trattamento non equo, sia per quanto riguarda l’accesso al welfare, ma anche alle condizioni di lavoro, salario, sicurezza sociale o benefici sociali e fiscali.
In particolare la mancanza di coordinamento e omogeneizzazione dei sistemi di sicurezza sociale nei 28 Stati Membri, rende incerto l’accesso e a misura dei vantaggi per chi lavora in un Paese ma ha la residenza in un altro.
Negli ultimi anni la Commissione Europea ha sollevato più volte il problema del basso livello di mobilità intracomunitaria (solo il 3% della forza lavoro UE si sposta), cercando di rendere più appetibile l’idea della libera circolazione dei lavoratori.
Purtroppo, malgrado i principi ed i vantaggi propagandati, molti sono gli ostacoli che a tutt’oggi rendono difficile per i lavoratori UE spostarsi per cercare lavoro in uno Stato Membro diverso dal proprio. Ostacoli che sono andati crescendo vertiginosamente a conseguenza dell’aggravarsi della crisi economica ed occupazionale in tutta l’area dell’Unione e che ha accentuato tendenze xenofobe e richieste di limitazioni nei diritti dei lavoratori mobili o migranti.
Da alcuni anni abbiamo visto in atto una campagna, portata avanti da alcuni Stati Membri, secondo la quale ci sarebbe un abuso nell’accesso al welfare da parte dei lavoratori mobili (o delle loro famiglie) che operano in uno Stato differente dal proprio. Da qui il sospetto delle Trade Unions che il Labour Mobility Package possa essere utilizzato per restringere l’accesso dei lavoratori mobili e famiglie ai benefit sociali, quali l’accesso alla salute, all’educazione, l’indennità di disoccupazione, ecc.
In teoria, lo scopo principale del Labour Mobility Package – nelle parole della Commissione – dovrebbe essere quello di costruire un mercato interno più recettivo e più equo nei confronti dei lavoratori mobili e dei migranti.
Se così sarà, il Movimento sindacale lo saluterà come un importante successo sociale. La preoccupazione però, è che non venga utilizzato per fornire strumenti (ed pretesti) per limitare l’accesso ai diritti sociali, con la pretestuosa motivazione di voler combattere abusi e frodi.
Di fondo – crediamo – ci può essere l’idea – chiaramente espressa dal vicepresidente della CE Frans Timmermans, che “l’accesso al mercato del lavoro ed alla sicurezza sociale non sono la stessa cosa”. E cioè che trovare lavoro in un altro stato Membro non comporti automaticamente l’accesso ai benefici sociali per sé e per i membri della propria famiglia.
Questo diritto diventa particolarmente importante quanto l’accesso ai benefit riguarda persone che hanno perso il lavoro ed a cui non viene riconosciuto il diritto a fruire dell’indennità di disoccupazione, per la quale lo stesso lavoratore (ed il suo datore di lavoro) hanno pagato i dovuti contributi sociali.
Questo comportamento, praticato da alcuni Stati Membri, oltre che iniquo, è di fatto restrittivo della libertà di libera circolazione e viola la normativa Europea e quanto previsto nel trattato costitutivo.
Va ricordato infatti che nel 2013 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ordinato il ritiro di misure restrittive messe in atto dal Lussemburgo ai danni dei figli dei lavoratori stranieri non residenti nel Granducato. La Corte affermò allora nella sentenza che “i lavoratori migranti godono degli stessi vantaggi fiscali e sociali dei lavoratori nazionali”.
Bisogna dunque evitare che casi simili accadano ancora.
Per quanto riguarda la propaganda di alcuni Stati Membri in relazione a casi di abusi nell’accesso alle prestazioni sociale e a possibili frodi, questi si sono dimostrati episodi molto limitati e comunque socialmente non significativi. Indagini approfondite, portate avanti da organismi qualificati, hanno dimostrato infatti che i supposti abusi si sono rivelati essere limitati a casi individuali o di piccoli gruppi, e tali da non giustificare alcuna misura restrittiva nell’accesso a questi importanti diritti.
Bisogna anche aggiungere che l’assenza di coordinamento nei sistemi di sicurezza sociale dei vari Paesi ha creato problemi non piccoli per i lavoratori mobili, ed in particolare per i frontalieri che – avendo la residenza in un Paese differente da quello in cui lavorano – si sono trovati spesso negati diritti fondamentali, come l’accesso ai benefici sociali, la necessità di affrontare la doppia tassazione, condizioni di dumping lavorativo e sociale.
Ci auguriamo che la nuova direttiva 2014/54/EU serva ad assicurare una migliore applicazione – a livello nazionale – dei diritti dei cittadini a lavorare in un altro Stato Membro, con il pieno godimento dei benefici economici, sociali e fiscali previsti dalle norme.
Per quanto riguarda le domande espresse da ETUC ai propri sindacati affiliati, la UIL è dell’idea che:
a) Indennità di disoccupazione a lungo termine:
La UIL è favorevole che per chi è alla ricerca di un impiego in un altro Stato Membro, lo Stato di residenza paghi una indennità di disoccupazione per un massimo di sei mesi (oggi le norme prevedono da 3 a 6 mesi), a condizione che il beneficiario dimostri di cercare attivamente una nuova occupazione e/o di partecipare a corsi di riqualificazione professionale; le autorità del nuovo Stato Membro dovranno monitorare il comportamento del lavoratore, informando le autorità del Paese di residenza, ai fini dell’erogazione dell’indennità; il livello di compenso della stessa indennità dovrebbe essere commisurato all’ultima retribuzione percepita dal lavoratore. In caso di nuovo impiego nel differente Stato membro, salario ed indennità dovrebbero essere adeguate ai nuovi livelli retributivi e contributivi e riferirsi sempre ai parametri dello Stato in cui il lavoratore mobile opera e non in quello in cui risiede la famiglia;
b) I benefit sociali per la famiglia (anche quando rimasta a vivere nel Paese d’origine) dovrebbero sempre essere commisurati alla retribuzione ed alla contribuzione del Paese in cui il lavoratore mobile lavora e comunque alle condizioni di maggior favore. In caso contrario il rischio di dumping sociale sarebbe inevitabile;
c) Per quanto riguarda infine i benefici connessi all’assistenza sanitaria a lungo termine, urge coordinare le condizioni normative previste nei differenti Paesi, anche al fine di evitare discriminazioni e trattamento diversificato ed iniquo.
In buona sostanza, deve rimanere fermo e garantito il principio già affermato nel regolamento 883/2004 che in materia di sicurezza sociale il lavoratore mobile è soggetto alla legislazione del paese di occupazione (dove versa i contributi) e non a quella del paese di residenza.
In conclusione, si chiede alla Commissione Europea di coinvolgere pienamente le parti sociali nella fase di elaborazione delle nuove norme. In particolare:
1. Appoggiamo le proposte della CES alla CE volte, nella fase di revisione dei suddetti regolamenti, a garantire la piena attuazione dei principi di movimento equo e libero e parità di trattamento, e di raccomandare chiaramente che gli Stati membri attuino concretamente le disposizioni di legge e le azioni al fine di prevenire e affrontare ogni ostacolo illegittimo o ogni forma di discriminazione che possano causare la violazione di tali principi.
2. Appoggiamo le proposte della CES alla CE di sfruttare l'opportunità del Pacchetto mobilità per far rispettare il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale nell'Unione europea, attraverso il rafforzamento della cooperazione con le autorità nazionali e locali, e di fare un uso migliore degli obbligatori punti di contatto per fornire le informazioni necessarie ai lavoratori mobili ed alle persone attivamente in cerca di lavoro.
Roma, 9 luglio 2015